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VI


Vedesti mai nero sparvier che grifi
     Di pugno a l’altro un colombin di covo,
     Che mentre i due volgonsi incontro i grifi
     Pietà, grida, di strazio a lui sì nuovo?
5Misero, e mentre vien, che da l’un schifi
     Morte, ne l’altro incontrala di nuovo;
     Nè i solleciti fati ancor son schifi
     D’una vita, ch’appena uscì da l’uovo.
Meglio era al poverel spirar nell’ugna
     10Del primier, che crudel gli diè di piglio,
     Senza che strage a strage in lui s’aggiugna.
E meglio era pur anche al mio bel Figlio;
     Cui de’ Fisici rei straziò la pugna,
     Qual colombo morir un solo artiglio.


III


Dove, dove, o pensier? T’intendo, il mio
     Osmin tu cerchi, e ritrovar nol sai;
     Susurra il bosco, io gli fui ombra: ed io
     Specchio, mormoro il rivo, a’ suoi be’ rai.
5Ma deh qual bosco, oh folle te!, qual rio
     Fan che in traccia ramingo ancor ne vai?
     Qual del buon Figlio, e di te stesso obblìo
     Vuol, che altronde lo chiami, or che in te l’hai?
Tacqui: e in se stesso il mio pensier raccolto
     10Spia l’interno dell’Alma, e allor si vede
     Tutto ripien di quell’amabil volto.
Tal Fanciul, che smarrita aver si crede
     Treccia di fior, cerca ricerca: ah stolto!
     Chè d’averla sul capo alfin s’avvede.


CARLO MARTELLO


I


Uom, che d’Uom solo avea gl’accenti e ’l viso,
     Mosse al flauto le dita adunche, ed adre;
     Musico ingrato in paragon del padre,