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Allor da gioia e non da cure oppresso,
     Tu farai del mio seno a te riposo,
     Ed io de’ pregi tuoi gloria a me stesso.


II1


Quando partì da me ver la sua sfera
     Quel lume, che me pur fè noto al Mondo,
     Credei sepolta in cieco oblìo profondo
     Mia speme, e giunta la mia gloria a sera.
5Piansi, e la doglia mia torbida e nera
     Tolse alla mente ogni pensier giocondo,
     Ma vi lasciò per doloroso pondo
     Del Ben perduto la memoria intera.
Così come Nocchier, che senza vele
     10Scorse l’irato Mar pien di timore,
     Nè tanta ha forza per formare querele;
Muto giacev’anch’io nel mio dolore,
     Allorch’un mio pensier grato, e fedele
     Disse: Vive Alessandro, e l’hai nel cuore.


III2


Dov’è il gran carro, in cui superbo assiso
     Il Tiranno dell’Asia apparve in Campo?
     Dove del brando minaccioso il lampo,
     Ch’esser dovea di Cristian sangue intriso?
5Fugge il crudel suo Duce, e porta in viso
     Vergogna e morte; e nel cercar lo scampo
     Estinto cade, e fassi orrido inciampo
     Allo sconfitto Esercito diviso.
Or và, ritorci il carro, e il corso affretta,
     10E giulivo se puoi, ti mostra al Xanto,
     Che l’alte imprese, e 'l tuo trionfo aspetta.
Ma se all’urto primier piegasti tanto,
     Di te Messenia ancor farà vendetta,
     E tue saran le sue catene, e il pianto.

  1. Per la S. Mem. di Alessandro VIII. Zio dell’Autore.
  2. In occasione della sconfitta dell’Esercito Turco al Savo.