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Illeso, e con immensa ampia ruina
L’alte torri, ed i monti apre, e fracassa.
XII1
Così girassi men veloce, e presta,
Cieca Fortuna, il tuo volubil legno;
Deposte l’arti ed il fallace ingegno,
Meno avversa a noi fossi, e men molesta:
5Che or non vedresti in quella parte, e in questa
Giacere al suolo di vendetta in segno
Il Tempio tuo, che pien d’ira, e di sdegno
Tra l’erbe ognun co’ piedi urta, e calpesta.
Tu di giusta in sembiante a i voti arridi
10Dell’Uomo, e poi di lui giuoco ti prendi,
E sul grave suo danno esulti, e ridi.
Vè, come il Tempo il tuo costume ammendi,
E come sprezzi tuoi lamenti, e gridi:
Or vanne iniqua, e a serbar fede apprendi.
XIII
Qual misero Cultor, che al campo arriva
Dopo fiera tempesta, e mira oppresse
In un colla sperata arida messe
L’acerbe poma, e la ferace oliva;
5Si batte l’anca il meschinello, e in riva
Si pone al fonte, e di querele spesse
Empiendo l’aere, pallide, e dimesso
Volge le luci: e or va, dice, e coltiva.
Tali sarebbon all’aspetto, e ai pianti,
10Se lo spirto tornasse, onde fu sciolto,
Gli eroi Latini, che fiorito avanti;
Seppur fra le rovine il Lazio involto
Mirando, ed archi e moli e templi infranti,
Non si coprisser per pietade il volto.
- ↑ Sulle ruine del Tempio della Fortuna.