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E vidi un Garzoncello infra la Gente
Muover colà non men veloce il piede:
Questi era Amor, che i gravi danni suoi
10Sotto finte piangea spoglie mortali,
Gran parte avendo nel comun dolore,
Cui dissi, da Costei, Fanciul che vuoi?
Io (risposemi Amor) voglio i miei strali,
Ed io (dissi) da lei voglio il mio cuore.
XI
Questo, che fa doglioso a noi ritorno,
Nunzio di pene, infausto giorno e rio,
Questo è quel tristo, e lagrimevol giorno,
In cui sul Legno il Redentor morìo.
5Piange ogni cosa: e di vergogna, e scorno
Tinto la fronte io sol non piango, ed io
Sento la Terra, il Mare, il Cielo intorno,
Tutti gridare: è morto, è morto un Dio.
Morto, pur muore ancora; io son, che il crine
10Le mani, i piedi, e gli trafiggo il lato,
Io gli rinnovo e Croce, e chiodi, e spine.
Così muore, e morrà nudo, e piagato
Fino al gran dì, ch’il Mondo avrà pur fine,
E col Mondo avrà fine anche il Peccato.
XII
Solo, se non che meco è il mio dolore,
Che i tristi giorni miei conduce a sera,
Io della mente entro segreto orrore
Mi chiudo, e intorno ho dè pensier la schiera.
5E in quel silenzio io chiedo loro: il cuore
Avrà mai tregua, se non pace intera?
Temprerà mai l’innato aspro rigore
Quella nostra, e d’Amor Nimica altera?
Vano pensiero, allora, e pien d’inganno,
10Che lusingando or da me parte, or riede,
Dice: Sì ch’avrà fine il duro affanno.
Gli altri ascolto gridar: Folle ch’il crede.
Il veggio anch’io: ma cieco al proprio danno,
Godo ingannarmi, e al rio pensier dò fede.