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XII


Dov’è, dolce mio caro, amato Figlio,
     Il lieto sguardo e la fronte serena?
     Ove la bocca di bei vezzi piena,
     E l’inarcar del grazioso ciglio?
5Ahimè! tu manchi sotto il fier periglio
     Di crudel morbo che di vena in vena
     Ti scorre, e il puro sangue n’avvelena
     E già minaccia all’Alma il lungo esiglio.
A ch’io ben veggio, io veggio il tuo vicino
     10Ultimo danno e contro il Ciel mi lagno,
     Figlio, del mio, del tuo crudel destino!
E il duol tal del mio pianto al cor fa stagno,
     Che spesso al tuo bel volto io m’avvicino,
     E nè pur d’una lagrima lo bagno.


XIII


Cadder preda di morte e in pena ria
     M’abbandonaro e ’l Genitore, e il Figlio,
     Questi sul cominciar del nostro esiglio,
     Quegli già corso un gran tratto di via.
5Obbliarli io credea: com’altri obblìa
     La memoria del mal dopo il periglio:
     Ma sempre, o vegli o sia sopito il ciglio,
     Me gli offre la turbata fantasia.
Sol con queste due pene, iniqua sorte,
     10Sempre m’affliggi: or mancan altri affanni?
     Ah se ti mancan, chè non chiami morte?
Venga pur morte e rompa il corso agli anni:
     Amara è sì, ma sempre fia men forte
     Che la memoria de’ sofferti danni.


XIV


Bosco caliginoso orrido e cieco,
     Valli prive di Sole e balze alpine,
     Sentieri ingombri di pungenti spine,
     Scoscesi sassi umido e freddo speco;