L’orror del nembo, ch’a pentirci è invito,
D’aver pianto perduta la memoria,
Il tornare a peccar rassembra gloria. 65Se Tu stendi la mano onnipotente,
Ch’al primo Nulla ritornar ci puote,
Quanto da noi far si convien, repente
Con voglie promettiam pronte e divote;
Ma se ascondi il flagello, ecco si pente 70Ciascuno, e vanno le promesse vuote;
Tanto, fatto natura, in noi presume
Del continuo peccar l’empio costume.
Se Tu irato ferisci, il Ciel si assorda
Da’ nostri prieghi, perchè tu perdoni; 75E se Giustizia con Pietà s’accorda,
Perchè la destra il fulmine abbandoni,
Del passato timor non si ricorda
a mente più, che più non sente i tuoni,
E l’alma impura iniquamente ardita 80Con nuovi error nuovi gastighi irrita.
Ecco, Signore, a’ piedi tuoi prostrati
Noi confessiamo il nostro fallo atroce;
Per noi, Signor, Tu degli umani fati
Portasti il peso, affisso a dura Croce; 85Ma poi se Tu, gli sdegni tuoi placati,
Or non soccorri al nostro mal veloce,
Noi, tuoi figli, del Ciel nati alla sorte,
Giusta preda sarem di cruda morte.
Padre, dunque e Signor, che tutto puoi, 90Quanto chiediam, benchè di merto privi,
Piacciati per pietà donare a noi
Pria, che di vita il tuo furor ne privi:
Tu, che dal Nulla degli abissi tuoi
Ne traesti, e a pregarti ognor ci avvivi, 95Deh ne ascolta, e non sia tuo inutil dono
Il pentimento in noi senza il perdono.