Pagina:Zeno, Apostolo – Drammi scelti, 1929 – BEIC 1970951.djvu/181

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gli sta ’l dolor del suo Giuseppe estinto.

D’allor mai di non sorse e mai non cadde,
che noi trovasse e noi lasciasse in pianto.
Giuseppe. (Dio, sostien mia fortezza!)
(a Simeone) E quel Giuseppe,
come ebbe morte?
Simeone. In folti boschi, errando,
giovane incauto, il divorar le fiere.
Giuseppe. Le fiere il divorar? Tu ne vedesti
gli artigli insanguinati?
I brani lacerati? Eh! che vi sono,
vi son uomini in terra, io ne conosco,
crudi piú delle fiere.
Simeone. (Qual favellar?)
Giuseppe. (Trema da capo a piede.)
Simeone. Del tuo sospetto...
Giuseppe. Il mio sospetto è giusto.
Sappi ch’io nel piú chiuso entro de’cori;
mal mi si asconde il ver. Siete impostori.
Simeone. Impostori? Ah, si, nel volto
mi sta scritto
il mio delitto.
Nego in vano. Io l’ho commesso.
Empio core
traditore,
puoi celarti all’altrui guardo,
non a Dio, non a te stesso.
Giuseppe. Partito è Simeon. Mi tolsi a lui
sdegnoso in vista, o mi tradiva il pianto.
Azanet. Mio Sofonèa, ti vedrò sempre in doglia?
Giuseppe. Chi del pubblico ben sostiene il peso
sotto assiduo travaglio uopo è che gema.
Azanet. Gode l’egizio impero
piena felicitá. Tu la facesti