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I 82 IV - GIUSEPPE

Al perverso e all’ innocente
comparte ugualmente
il sole i suoi raggi,
la terra i suoi frutti.
La natura in dar suoi beni
non esclude e non elegge,
ma giusta in sua legge
è provvida a tutti.
Azanet. (Mai si turbato Sofonea non vidi.)
(a Sofonea) Se la perfidia altrui, sposo, t’affligge...
Giuseppe. Azanet, il mio duolo
radici ha piú profonde. Ecco il momento
in cui del chiesto arcano io t’abbia a parte.
Azanet. Momento a’ voti miei non fu piú caro.
Giuseppe. Questi onor, questi applausi, il crederesti?
fanno la pena mia. Fra tanti viva
la mia terra natia piú mi sovviene.
Il mio amabile padre ancor lá vive,
ma vive inconsolabile e dolente.
Azanet. Onde la sua miseria?
Giuseppe. Dalla fame crudel che i suoi distrugge
giá si fertili campi e i grassi armenti
e la fida famiglia e i dolci figli.
Aimè ! lo preme angustia e noi soccorro,
e per lui solo spargo inutil pianto.
Azanet. Che noi chiami in Egitto? E chi tei vieta?
Giuseppe. O Dio! Può questa terra essergli infausta.
Temo il re, temo Egitto, ...e temo il padre.
Azanet. Perdonami. Egli è ingiusto un tal timore.
È tuo del re, tuo degli egizi il core.
Giuseppe. Tu non intendi, o sposa,
quanto sia mobil cosa
d’un popolo l’affetto
ed il favor d’un re.