Pagina:Zeno, Apostolo – Drammi scelti, 1929 – BEIC 1970951.djvu/259

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la ruggine che il copre, e dalla faccia

del re l’iniquitá: splende il metallo
di purissima luce,
e su stabil giustizia è fermo il trono.
Quel di Ezechia patir può crolli ed urti;
non mai cader. La sua pietá gli è base,
e lo sostien, benché battuto e scosso
degli eserciti il Dio. Tal lo scorgeste,
o vinti filistei, ch’entro i ripari
ben muniti di Gaza
tremaste ancóra, e lá respinti e chiusi,
vi giunsero a ferir l’orecchio e il core
le strida e le faville
di trafitti coloni e di arse ville.
SOBNA. Di mali assai piú atroci, o regai madre,
o saggia Abia, siam minacciati e cinti.
Abia. Onde, o Sobna, i perigli?
SOBNA. Dall’assirio infedel.
Abia. Con ben trecento
talenti in puro argento, e trenta in oro,
non si comprò da lui pace e amistade?
SOBNA L’iniquo la giurò, ma per tradirla.
Abia. Ecco il frutto de’ rei vili consigli.
Era allora assai meglio
di saldo ardire il petto,
e di santa costanza armar la fede,
che ceder si vilmente.
Sarieno ancor le lame d’oro affise
alle porte del tempio, e de’ tesori
regi e de’ sacri in basso omaggio offerti
ricco ancor fòra il santuario e il trono.
SOBNA. Gli andati casi il riandar che giova?
Abia. Ne’ presenti a seguir guida migliore.
Sobna. Oh la sapessi ! Contro noi giá scende
l’impetuosa irreparabil piena,
cui non vale, e ne manca argine e sponda.