Vai al contenuto

Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/168

Da Wikisource.
142 pensieri (42)

torno al piú squisito mondo, alle cose dei nobili piú raffinati alle vicende domestiche delle famiglie piú mondane ec. ec (come anche proporzionatamente era il ridicolo d’Orazio) sicché quello era un ridicolo che avea corpo, e come il filo d’un’arma che non sia troppo aguzzo, dura lungo tempo, dove quello come ha una punta sottilissima, (piú o meno, secondo i tempi e le nazioni) cosí anche in un batter d’occhio si logora e si consuma, e dal volgo poi non si sente, come il taglio del rasoio a prima giunta.


*   Un’altra prova dell’esser la nostra lingua italiana derivata dal volgare di Roma del buon tempo si trae dalle parole antichissime Latine poi andate in disuso presso gli scrittori, che ora si trovano nell’italiano, le quali è manifesto che con una successione continuata sono passate da quegli antichissimi tempi sino a noi, perché nessuno certo l’è andato a pescare negli scrittori antichissimi latini perduti poi ancora prima del nascere della nostra lingua, come Lucilio Ennio Nevio ec. Di maniera che tra questi antichi che le usavano e noi che le usiamo non bisogna lasciare nessun intervallo voto, perché non sarebbero piú rinate, se non vogliamo dire che sia un caso, il che non si lascerà credere appena agli Epicurei. Dunque non essendoci altra catena tra quegli scrittori e noi che il volgare Latino, giacché gli scrittori le aveano dismesse, resta che questo si riconosca per conservatore e propagatore all’italiano di quelle voci. Come pausa usata dagli antichi scrittori latini, poi disusata, poi tornata in uso a’ tempi bassi e quindi nell’italiano, (v. il Du Cange) certo non saltò da quei secoli antichi ai bassi cosí per miracolo, (giacché certo quei miserabili scrittori Latino barbari non la trassero dagli antichissimi autori forse già perduti e certo a loro o ignoti, o tutt’altro che letti e studiati) ma discese per una via continuata, la quale