Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/123

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(2216-2217-2218) pensieri 111

ella molto a poter essere applicata alle virtú non forti, non vive per gli effetti e la natura loro, alla pazienza (quella che oggi costuma), alla mansuetudine, alla compassione ec. Qualità che gli scrittori latini cristiani chiamarono virtutes, non si potrebbero nemmen oggi chiamar cosí volendo scrivere in buon latino, benché virtú elle si chiamino nelle sue lingue figlie e con nomi equivalenti nelle altre moderne. Di ἀρετὴ (da ἄρης) vedi i lessici e gli etimografi: sebbene la sua etimologia, perché parola piú antica o piú anticamente frequentata dagli scrittori, sia piú scura. E cosí credo che in tutte le lingue la parola significativa di virtú non abbia mai originariamente significato altro che forza, vigore (o d’anima o di corpo, o d’ambedue, o confusamente dell’una e dell’altro, ma certo prima e piú di  (2217) questo che di quella). Tanto è vero che l’uomo primitivo e l’antichità non riconosce e non riconobbe altra virtú, altra perfezione nell’uomo e nelle cose fuorché il vigore e la forza, o certo non ne riconobbe nessuna che fosse scompagnata da queste qualità e che non avesse in elle la sua essenza e carattere principale e forma di essere e la ragione di esser virtú e perfezioni (3 dicembre 1821).



*    Didone:
                      Moriemur inultae,
Sed moriamur, ait. Sic, sic iuvat ire sub umbras.
                                (Aen., IV, 659 seg.)


Virgilio volle qui esprimere (fino e profondo sentimento e degno di un uomo conoscitore de’ cuori ed esperto delle passioni e delle sventure, come lui) quel piacere che l’animo prova nel considerare e rappresentarsi, non solo vivamente, ma minutamente, intimamente e pienamente la sua disgrazia, i suoi mali; nell’esagerarli, anche, a se stesso,  (2218) se può (che