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Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/353

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(2622-2623-2624) pensieri 341



*   Le nazioni civili dell’Asia, dopo la conquista d’Alessandro, erano veramente δίγλωττοι, cioè parlavano e scrivevano la lingua greca, non come propria, ma come lingua colta e nota universalmente  (2623) e letta da per tutto (e cosí deve intendersi il luogo di Cicerone, pro Archia), e come noi o gli svedesi o i russi o gli olandesi scrivono il francese: noi (piú di rado) per cagione della sua universalità; quegli altri, come anche i polacchi, e al tempo di Federico i prussiani, per non aver lingua che sia o fosse ancora abbastanza capace ec. Né si dee credere che le lingue patrie di quelle nazioni fossero spente, neanche diradate dall’uso, e sostituita loro la greca nella conversazione quotidiana, come accadde della latina, nelle nazioni latinizzate. Restano anche oggi le lingue asiatiche antiche o dialetti derivati da quelle, o composti di quelle e d’altre forestiere, come dell’arabica ec. E vedi ciò che s’é detto altrove di Giuseppe Ebreo, e Porfirio Vita Plotini c.17, nel Fabricius, Bibliotheca Graeca t. IV, p. 119-120 (e quivi la nota) κατὰ μὲν πάτρων διάλεκτον. Di questi δίγλωττοι, che scrivevano in lingua non loro e pure scrivevano anche egregiamente, fu Luciano da Samosata (vedi le sue Opere, dove fa cenno della sua lingua patria), e tali altri di que’ tempi; anzi tutti gli asiatici  (2624) che scrissero in greco (eccetto quelli delle colonie, come Arriano, Dionigi Alicarnasseo ec.), alcuni Galli non marsigliesi né d’altra colonia greco-gallica (come Favorino), alcuni africani, massime egiziani (perché nel resto dell’Affrica, esclusa la Cirenaica, trionfò la lingua latina, ma come lingua de’ letterati e del governo ec., non come popolare, per quanto sembra), alcuni italiani (come Marcaurelio) ec. ec. (9 settembre 1822). Questo appunto fu quello che la lingua latina non ottenne mai, o quasi mai, cioè d’esser bene intesa, parlata, letta, scritta da quelli che non la usavano quotidianamente come propria, e cosí si deve