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(4290-4291) pensieri 237

pernicieuse doctrine» (Hist. du concile de Constance, préface de Lenfant, p. 47). Examen critique des Apologistes de la religion chrétienne, par M. Fréret, chap. X, édit. de 1766, p. 188-9. (Firenze, 19 settembre 1827).


*    Io non credo vero quel che dicono i critici che gli antichi, per esempio ebrei, greci, latini orientali ec. non avessero nelle loro lingue il suono del v consonante, ma solo l’u vocale. Credo che il vau dell’alfabeto ebraico non sia veramente altro che un uau o u, credo che gli antichi latini non avessero segno nel loro alfabeto per esprimere il v consonante, e che il V non fosse in origine che un u; ma con ciò non si prova altro se non che gli antichi non ebbero il v nel loro alfabeto, il che non prova che non l’avessero nella lingua. Considerato come un’aspirazione (non altrimenti che l’f, il quale ancor manca negli antichi alfabeti, giacché il fe ebraico fu anticamente pe, e il φ greco è una lettera aggiunta all’alfabeto antico, e considerata come doppia o composta, cioè di π e di κ, ossia come un π aspirato), esso v, per l’imperfezione degli antichi alfabeti, mancò di segno proprio, giacché non si ebbe bastante sottigliezza per separarlo dalle lettere su cui esso cadeva, per avvedersi che esso era un suono per se, un elemento della favella. Perciò da  (4291) principio esso non fu scritto in niun modo, come nel latino amai per amavi; poi scritto come aspirazione, digamma ec., per esempio amaƑi ec.; finalmente, sempre privo di segno proprio, esso fu scritto con quel medesimo segno che serviva all’u, ond’è avvenuto che nel latino maiuscolo il V sia ora vocale ora consonante, e cosí l’u nel latino minuscolo, la qual confusione dura ancora, non ostante che i moderni abbiano fatto di quest'u due caratteri, u e v; giacché si vede, ciò non ostante, nei dizionari l’u e il v considerarsi come un solo elemento diversamente