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| il paradiso delle signore |
fabilità d’un buon padrone che ha cura delle sue ragazze:
— E se ve lo chiedessi per piacere?... Lo sapete che conto faccio di voi...
Dionisia non perdé la sua rispettosa compostezza:
— Non so come ringraziarla della sua bontà per me, e la ringrazio dell’invito. Ma glie l’ho già detto: non posso; stasera m’aspettano i miei fratelli.
Il Mouret si ostinava a non capire. L’uscio era rimasto aperto, e lei sentiva che tutto il magazzino la spingeva nelle braccia del padrone; Paolina le aveva dato confidenzialmente della sciocca, le altre si sarebbero fatte beffe di lei, se seguitava a rifiutare. La signora Aurelia, che se n’era andata, Margherita, di cui la voce le giungeva sempre più forte, il Lhomme che, immobile e discreto, le volgeva la schiena, tutti volevano ch’ella cadesse.
E il rumore lontano dell’inventario, quei milioni di merci, smossi da tante braccia e di cui il prezzo volava nei gridi, erano quasi un vento caldo che soffiava la passione sino a lei.
Ci fu un momento di calma, ma di tratto in tratto il rumore copriva le parole del Mouret che si perdevano cosí nella clamorosa enumerazione d’un tesoro regale conquistato con le battaglie.
— Sta bene: ma allora quando verrete? — chiese di nuovo. — Domani?
Bastò questa domanda a turbare Dionisia, che perse un momento la sua compostezza, e balbettò:
— Non so... non posso...
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