Panegirico di Plinio a Trajano/IV

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III V

[p. 32 modifica]Dai meriti nostri vive cagioni ritrarre; per cui indurre ti debbi a restituirne libertà, non mi sarà così lieve. Ma pure, prima, e potentissima cagione sia, e da bastar quasi sola, il desiderarla ardentemente noi tutti; possente ragione per meritarla. E non creder tu già, che io, nel dir libertà, altro intendere presuma, fuorchè di sempre obbedire a Trajano; cioè alle leggi, di cui egli sarà osservatore e difensore; ma che, cessando egli poi, possono nella persona di un altro potente quant’esso, un [p. 33 modifica]sovvertitore incontrare. Gli animi nostri adunque prontissimi sono a libertà ricevere, ed, ottenuta, a difenderla. Di ciò ti facciano piena fede le tante e sì spesse congiure contro i passati principi; le tante volontarie morti di chiari e potenti cittadini, di vita sfuggiti soltanto per involarsi alla insopportabil tirannide; l’acerbo odio del nome di re da ogni Romano, fino ai dì nostri, succhiato col latte, ed oramai trasferito ad ogni illimitata ed ingiusta possanza, che anche sotto altro meno insultante nome si eserciti. Grande tu per te stesso sei troppo, ed io libero troppo mostrare mi debbo per non parere indegno della causa ch’io tratto, perchè a tacerti io abbia, che il nome d’imperatore, i mali tutti di quello di re in se stesso adunando oramai, odioso non meno che quello di re ad ogni Romano si [p. 34 modifica]è fatto. Tacer non ti posso, che in te si amano, si adorano le doti, l’animo, le virtù di Trajano; ma che in te si abborrisce la possanza, la dignità, e il nome d’imperator re, di cui con ragione si trema. Ad animo generoso, quale il tuo, ardisco io esporre, come il primo dei meriti nostri, ciò che ad altro volgare principe ogni maligno e vile delatore esporrebbe come il primo dei tradimenti. Sì, Trajano, i cittadini di Roma, pe’ loro lunghi mali, per le orribili passate tirannidi, ed in ultimo più efficacemente ancora, pe’ brevi felici anni del tuo impero, rientrati in se stessi, e ritornati Romani, ogni qualunque freno abborriscono che può loro impedire di essere e di mostrarsi Romani; lo abborriscono, ed osano dirtelo per bocca mia. Ma, dove pur tanta altezza di pensieri dispiacer mai potesse a chi ne [p. 35 modifica]diede gli esempj ed i mezzi, te stesso ne incolpa, o Trajano, che lasciando respirar la città, hai fatto nei cittadini rivivere la calda memoria dei loro antichi e sacri diritti; cagione ad un tempo ed effetto della passata loro libertà e grandezza. A voler essere imperator tu di nome e di fatti, dovevi adunque colle solite imperatorie crudeltà incutere nei cittadini tremore, e alla oppressa virtù imporre eterno silenzio. Così almeno il meritato odio acquistando, gl’iniqui frutti raccolto ne avresti. Ma, poichè di libero governo piaceati l’apparenza mostrarci, perchè, col toglier la tirannide affatto, non assicurarne oramai in eterno la base? Beneficar puossi un popolo a mezzo? Il sollevarlo dalla oppressione, affinchè altri poi di nuovo riopprimer lo possa, più crudeltà che vera pietade sarebbe. [p. 36 modifica]

Ma tu, pietoso, umano, giusto, e sagace, hai forse in pensiero di adoperare tai mezzi, per cui il principato d’ora in poi sia per essere mite sempre, e fra limiti, e non contrario a virtù? Nè tu ciò credi, nè noi. Un uomo nella repubblica saravvi, il quale, o per adozione di principe, o per sognata eredità, o per elezion di soldati, o anche, se vuolsi, per irriflessiva elezione del popolo intero, salirà in dignità primaria, sola, perpetua, non frenata, non impedita, e avvalorata anzi da molti e possenti eserciti? costui sarà, (nè altrimenti Roma appellarlo mai puote) sarà un tiranno costui. Forse mite, forse giusto, forse buono, anche ottimo forse; ma odiosissimo pur sempre a liberi cittadini, e un mostruoso ente da essi a ragion riputato; perchè starà in lui, ed in lui solamente, [p. 37 modifica]il non essere, nè mite, nè giusto, nè buono. Un popolo, che, in tal guisa pensando, non ha del tutto ancora sovvertite le idee del retto; e che legittima autorità quella sola egli stima, che data, e con limiti, da chi potè darla può togliersi; un tal popolo, parmi, merita ancor libertà. E tale, o Trajano, egli è pur questo popolo che tu colle leggi governi; ed a cui provvedere tu dei (se ti cale la sua gloria e salvezza) che altri mai, fuorchè le sacre leggi, governare d’ora innanzi nol possa. Dall’odio dell’autorità tua, e dall’amore immenso di te, che moderatamente la eserciti, puoi dunque vieppiù imparare a conoscere, ed apprezzare, e il popolo tuo, e te stesso. A principe maggior del suo impero non altrimenti da un libero cittadino si parla.

Mi è noto, e nol niego, che sì [p. 38 modifica]nella plebe, che fra i patrizj, moltissimi uomini vi ha, che, dai passati governi nelle reità e nelle brutture travolti, d’essere Romani non sanno: e un tal numero forse, ove pur non soverchi, agguagliasi al numero almeno di chi caldamente il rimembra. Ma, che per ciò? tralascierà mai l’ottimo principe, il padre di tutti, di giovare a tutti, perchè gran parte nol merita? La virtù in pregio tornata, le severe ben eseguite leggi, e più d’ogni cosa, il chiaro e sublime esempio, possono, in pochi anni, i guasti a mezzo soltanto far rinsanire e rivivere; ed i putridi corrotti membri della repubblica, per la salvezza dei rimanenti, estirpare. Anche al cacciar che Roma facea dei Tarquinj, molti partigiani della tirannide, molti rei, molti vili, molti traditori entro il suo nuovo e ancor vacillante stato acchiudeva: [p. 39 modifica]ma che? lo splendido esempio d’un Bruto nei figli; le tante e sì alte virtù dalla stessa necessità procreate; tutto, in breve, contribuiva a far nascere quella Roma libera, alla cui gloria e possanza era poscia angusto termine il mondo. I cittadini tutti dividendo io dunque in due parti, dico; che ai buoni dei restituir libertà, perchè degni ne sono; ai cattivi, affinchè, per mezzo di quella, di esserlo cessino.