Per la Facciata del Duomo di Milano

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Luca Beltrami

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ARCH. • LVCA • BELTRAMI



PER

la Facciata del Dvomo

DI

Milano


Parte Prima

Le Linee Fondamentali


MDCCCLXXXVII

Milano - Tip. A. Colombo & A. Cordani


[p. 4 modifica]Pianta del Duomo di Milano
DAI COMMENTI A VITRUVIO
pubblicati da C. Cesariano nel 1521 in Como

(vedi pag. 16 e seg.)

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ALL’AMICO E COMPAGNO DI STUDII

GIUSEPPE MENTESSI

[p. 9 modifica]Il tema di una nuova facciata del Duomo di Milano, la quale corrisponda all’organismo particolare della costruzione e alle caratteristiche della originaria decorazione del monumento, può essere studiato e risolto seguendo due vie assai diverse.

Chi si accinge all’arduo problema può, lasciando libero campo alla fantasia, tentare una soluzione la quale, coll’impronta di concezione tutta di getto s’imponga, sorvolando a qualsiasi dubbio od incertezza presenti il problema; oppure, mortificando la fantasia e frenando ogni iniziativa della mente, può colle pazienti ricerche degli indizii e dei documenti storici, e colla minuta analisi delle forme e delle disposizioni originarie, mettere assieme, poco a poco, pietra a pietra, le linee fondamentali di una soluzione che miri ad essere la ricostituzione ideale del concetto primitivo.

Le due vie però non possono condurre con tutta sicurezza al risultato; poichè, mentre lo studio e le ricerche di documenti non bastano a ravvivare e rischiarare tutti i lati del difficile problema, l’assoluta libertà d’azione della fantasia, trascurando alcuni criterii fondamentali del tema, può raggiungere una soluzione, bella ed armonica per sè perchè svolta liberamente e senza restrizioni, ma non completamente coordinata a quella massa marmorea della quale deve costituire la nota principale. [p. 10 modifica]

Queste incertezze di risultato si possono, almeno in gran parte, evitare mediante l’accordo dei due procedimenti, facendo sì che lo studio diligente del problema in tutte le vicende storiche abbia a tenere la fantasia nei giusti limiti e lasciando che questa si spieghi ed intervenga solo al momento opportuno là dove le ricerche storiche non arrivano a sciogliere i dubbii che aggrovigliano il problema.

Il presente studio — pubblicato per la prima volta nella circostanza del Concorso della Facciata del Duomo, bandito nel 1881 dalla R. Accademia di Belle Arti in Milano, ed ora ristampato con qualche aggiunta per la circostanza più solenne del nuovo Concorso bandito dalla stessa Amministrazione della Veneranda Fabbrica del Duomo — svolge appunto tutti quei criterii che, basati sopra gli indizii e i documenti storici, possono servire di guida e di norma per gli studii della nuova fronte, e possono apportare — come avvertiva la prefazione alla prima edizione — «il contributo di indagini e di convinzioni cresciute e rafforzate nello studio pratico del soggetto, affinchè il complesso delle idee e delle opinioni che, tratto tratto, si risvegliano intorno tale argomento, vada sempre più districandosi dalle pastoie di criterii troppo scolastici, e si sottragga ad opinioni le quali, perchè facilmente diffuse, tentano accaparrarsi l’autorità di tradizione; perchè insomma il difficile problema si affini sempre più sotto l’azione di una critica minuta e spassionata, la quale non speculi sulle opinioni popolari, nè sulle attrattive di concetti che impressionino facilmente di preferenza d’altri, ma abbia le sue radici nella autorità dei documenti.

A questi criterii si ispirava il progetto presentato nel 1883 al Concorso della R. Accademia di Belle Arti, e ripresentato ora — con qualche variante suggerita da ulteriori studii e da una più famigliare conoscenza dell’argomento — al Concorso Internazionale bandito dall’Amministrazione della Veneranda Fabbrica del Duomo.




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Nella facciata attuale del nostro Duomo, oltre all’accoppiamento di stili disparati e all’ibridismo di forme che si rivelano facilmente anche all’occhio del profano, si notano delle alterazioni alla disposizione logica e fondamentale dei contrafforti. Infatti, per malintesa regolarità e ricerca di simmetria nell’ordinamento di questi contrafforti, vennero ridotti trigemini quelli angolari, i quali dovevano risultare massicci e di larghezza eguale a quelli d’angolo nelle testate dei bracci di croce; di più, a fianco dei contrafforti della navata maggiore si aggiunsero due altri contrafforti aventi nessun ufficio statico, quindi superflui nell’organismo del tempio, e ciò con risultato riprovevole dal lato estetico, perchè si venne a restringere e ad immiserire, senza ragione alcuna, la parte centrale della facciata.

Levate anzitutto le discordanze e le scorrezioni di stile — quanto a dire tolta tutta l’attuale decorazione della fronte — eliminata la suddivisione dei contrafforti angolari e l’aggiunta dei contrafforti mediani, l’architetto si trova dinanzi, come campo per svolgere i suoi studii, un muro frontale rinfiancato agli angoli da due contrafforti, eguali in larghezza a quelli dei bracci di croce, e suddiviso, mediante i contrafforti intermedii — tutti di eguale larghezza — in cinque campi, dei quali il mediano per larghezza è doppio degli altri misurati da asse ad asse dei contrafforti stessi: il contorno superiore di questa facciata schematica, rudimentale, segue naturalmente i varii piani ascendenti della copertura.


Questa ossatura presenta anzitutto il grave difetto di proporzioni piuttosto depresse, risultanti dalla eccessiva larghezza della fronte del [p. 12 modifica]tempio — che è di m. 65 — rispetto alla elevazione, di soli 45 metri, e dal divario sensibile d’altezza fra le navate minori e la maggiore.

A correggere tale forma depressa si presentano due soluzioni, avvalorate entrambe da esempii; o destinare parte della facciata allo sviluppo del motivo dei campanili, oppure dare a tutta, o parte della facciata, una maggiore elevazione, affatto indipendente dall’organismo dell’edificio e costituita da elementi puramente decorativi. Questo secondo partito — mentre ha potuto, per facciate di secondaria importanza e di limitato sviluppo, trovare frequenti applicazioni, talvolta accettabili1, benchè presentino sempre, anche se abilmente svolte, l’apparenza di un ripiego — non può essere adottato in un problema capitale come il presente, perchè la soluzione si fonderebbe sopra l’intervento di una massa decorativa non intimamente legata all’organismo del tempio, e quindi nè richiesta, nè giustificata.

Il partito delle torri fiancheggianti la facciata si presenta invece con maggiore validità di esempii e con maggior serietà di argomenti: è il partito che noi vediamo adottato e quasi consacrato in quella lunga serie di Cattedrali gotiche, nella quale si vorrebbe generalmente inscrivere anche il nostro Duomo: grande è quindi l’autorità, l’influenza, o piuttosto l’attrattiva e il fascino che sopra l’animo di chi si accinge all’arduo problema, esercita questo partito così fondamentale nelle Cattedrali che, specialmente in Francia, sorsero dal 1180 al 1240 ad attestare la riguadagnata preponderanza del clero sulle associazioni monastiche, la vittoria del comune sulla feodalità: infatti i progetti di facciata che pel nostro Duomo si svolsero, dal XVI secolo al giorno d’oggi, tutti, o quasi, hanno reso omaggio a questo motivo ritenuto cardinale per l’architettura gotica religiosa.

Malgrado i numerosi esempii di fronti turrite che si possono considerare come dei precedenti, è necessario esaminare se il partito, tanto dal lato estetico, che dal lato organico del tempio, possa essere, anche in massima, accolto.


Dal lato organico del tempio, se dopo aver esaminata la disposizione planimetrica delle Cattedrali oltramontane, si getta lo sguardo sopra la pianta del nostro Duomo, non si può a meno di rilevare il profondo divario che passa fra gli elementi che la costituiscono e quelli che contraddistinguono quegli edifici d’oltralpe: in questi abbiamo una grande libertà e varietà nella forma, nello sviluppo e nella disposizione o combinazione di tutti gli elementi di sostegno, come contrafforti o piloni: il perimetro è generalmente assai accidentato e vario per la disposizione di cappelle sporgenti, circolari o poligonali: da questa varietà nello sviluppo [p. 13 modifica]sostegni, risulta uno squilibrio nelle masse delle varie parti della pianta la quale, considerata per sè, si presenta poco omogenea e generalmente ha il centro di gravità del suo sviluppo verso la fronte, alle volte sulle testate dei bracci di croce.

Nel nostro Duomo invece ciò che colpisce anzitutto è la uniformità degli elementi che lo compongono, la semplicità colla quale questi sono aggruppati a formare la pianta, la chiarezza e regolarità dello sviluppo di questa: infatti troviamo un muro perimetrale continuo, di costante spessore e di semplicissimo tracciato, rinfiancato all’esterno da contrafforti — di tipo e disposizione uniforme — in corrispondenza di ogni serie di piloni interni che determinano le navate, e questi piloni pure sono del medesimo tipo, anzi dello stesso spessore, eccetto i quattro centrali alquanto più robusti per sostenere il tiburio. Ne risulta una disposizione severamente semplice, di unità grandiosa, omogenea nelle masse dei sostegni, non essendovi parti di speciale sviluppo che richiamino l’attenzione di preferenza che su altre parti della icnografia: una disposizione di getto, che non si presta facilmente ad essere modificata e che non si potrebbe quasi immaginare diversamente: a questa semplicità di linee, che si riscontra raramente anche in edificii religiosi d’importanza secondaria, si deve se la pianta del Duomo presenta fra lo sviluppo dei sostegni e l’area coperta un rapporto così basso, da non essere raggiunto da altre consimili costruzioni2.

Ebbene, se a questa semplicità e chiarezza di linee, noi immaginiamo applicata la disposizione delle due torri-campanile sulla fronte, collo spessore necessariamente considerevole dei sostegni, si vedrà tosto alterata quella omogeneità di massa che si riscontra in tutta la pianta del Duomo, e ne forma — come già si è detto — una caratteristica3.

Si noti poi come queste torri, se si comprendono nella larghezza attuale della fronte, vengono inevitabilmente a guastare quella semplice e severa unità della interna disposizione delle navate, che costituisce uno dei pregi principali del nostro Duomo; se invece si dispongono all’infuori delle cinque navate — o interamente come ideò il Buzzi, o anche solo in parte [p. 14 modifica]come progettò il Seregni — si arriva indubbiamente al risultato di aumentare lo sviluppo in larghezza della fronte, accentuando quindi sempre più il difetto già segnalato delle proporzioni depresse nella facciata.


Questo dal lato puramente icnografico, e in relazione solo colla fronte se poi si passa a considerare le torri da un punto di vista più complesso, si trovano altri argomenti per una conclusione negativa. Il partito delle torri, una volta adottato, deve essere svolto completamente e senza restrizioni: la massa di queste torri quindi deve avere la preponderanza sull’assieme dell’edificio e costituirne francamente il centro di gravità. Ora è noto come nelle cattedrali del tipo turrito, in generale non si presenti, in corrispondenza all’incontro della nave maggiore colla trasversa, un motivo architettonico sviluppato come quello che vediamo nel nostro Duomo formare una disposizione caratteristica, e cioè il tiburio: se in molte di quelle cattedrali, all’incontro delle navi maggiori, troviamo la fléche, questa, per le proporzioni e per la materia di cui è costituita, forma solo un motivo dominante nella copertura dell’edificio, e non accenna a gareggiare colle torri della fronte4, nelle quali l’architetto volle condensare tutto l’effetto, quasi a richiamare particolarmente l’attenzione sulla facciata.

Ma poichè nel nostro Duomo il tiburio — immaginato ed iniziato fin dai primi anni della costruzione — richiama colla sua mole gli sguardi e il pensiero sopra un’altra parte dell’edificio, ben più importante della fronte, ne viene la necessità che le torri progettate debbano, colla loro massa, togliere ogni efficacia al tiburio, spostando decisamente il centro di gravità del tempio per portarlo sulla fronte: e per questo si richiedono campanili ancor più slanciati e imponenti di quelli della maggior parte delle cattedrali gotiche, affinchè abbiano a sorpassare e vincere l’elevazione della aguglia principale: se così non fosse — e cioè se la massa dei campanili si limitasse solo a bilanciare quella dell’aguglia principale, ne conseguirebbe una certa ambiguità e confusione nelle linee generali del Duomo — essendochè le tre elevazioni risultanti, pressochè eguali, impedirebbero per qualsiasi punto di vista, di comprendere prontamente l’organismo e l’orientamento del tempio come ora avviene, con effetto eminentemente [p. 15 modifica]artistico, particolarmente quando, da lontano, la Cattedrale giganteggia sulla distesa della città. Il tiburio — se non avessero prevalso dei dubbii e delle preoccupazioni statiche — avrebbe potuto raggiungere un maggior sviluppo e quindi maggiore imponenza e predominio sull’assieme del tempio: ma appunto per questo occorre che tale deficienza, già sensibile, non sia resa ancor più grave da un confronto colle masse considerevoli e slanciate delle torri sulla fronte.


Dopo aver considerato questo partito delle torri dal punto di vista estetico ed organico, dobbiamo pure farne l’esame dal punto di vista storico, colla scorta dei documenti e delle memorie attinenti al Duomo. Pochissimi sono i documenti grafici che ci pervennero, riguardanti le primitive disposizioni della Cattedrale: perciò di fronte a questa deficienza, alcuni dati, apparentemente di valore secondario, acquistano una speciale importanza, quand’anche si voglia proceder molto cauti nel fondarvi delle affermazioni positive.

Che non vi dovesse essere nel concetto primitivo del Duomo il partito delle torri sulla fronte, si può dedurre da varii indizii che non sarà inutile di richiamare.

Notiamo innanzi tutto come nei documenti abbastanza copiosi dei primi anni della costruzione non sia fatta alcuna menzione di campanili: si potrà, è vero, obbiettare che, in quei primi anni, l’attività dei cittadini si portò sull’abside e sui bracci di croce, nell’intento di affrettare il compimento di quella parte tanto importante ed essenziale del tempio, giacchè ad iniziare i lavori anche verso la fronte del tempio si opponeva la disposizione del vicino Palazzo Ducale, o Broletto vecchio, impedimento che — come è noto — si protrasse sino allo scorcio del XVI secolo, epoca in cui, demolita la parte anteriore di quel Palazzo, fu possibile completare, mediante la costruzione delle tre campate anteriori, la disposizione planimetrica originaria.

Ma questo stesso impedimento — malgrado non dovesse, all’epoca dei primi lavori, presentarsi come ostacolo irremovibile, giacchè bisogna ammettere che chi aveva ideato la pianta generale dell’edificio non poteva, senza qualche fondamento, aver preventivamente destinato allo sviluppo del tempio una parte dell’area del vecchio Broletto — riflesso non lieve per riconoscere, più che una adesione, un diretto intervento del Conte di Virtù nella fondamentale disposizione del tempio — questo impedimento ripeto, per quanto si presentasse momentaneo, non doveva mancare di influire in qualche modo sullo sviluppo organico del tempio, e, coll’obbligare la febbrile attività e l’impazienza dei cittadini a concentrarsi sul terreno allora disponibile, promuoveva, forse inconsciamente, il concetto originale di una costruzione col centro di gravità in corrispondenza al tiburio. Anche prescindendo da questo argomento, che può avere il valore di una semplice supposizione, resta sempre il fatto che il concetto di due torri frontali, se avesse formato parte dell’organismo primitivo, avrebbe dovuto [p. 16 modifica]preoccupare quegli architetti, ed essere menzionato e discusso in quelle gravi questioni d’indole generale che, nei primi anni della costruzione, non mancarono: invece, come si disse, nessun cenno di questo parte di grande importanza della costruzione, neppure per parte di quel Mignoto, così cavilloso nel cercare i punti di appoggio alle acerbe sue critiche, mentre il tiburio, tanto vagheggiato, era continuamente oggetto di preoccupazione e di studi, intendendosi, fin dal 1400, che dovesse innalzarsi quasi in paradixo Dominus Deus sedet in medio troni, circha tronum sunt quatuor evangelistæ secundum apocalissim5. Non troviamo forse in questa espressione rivelato ingenuamente il vero concetto che nella mente di quei primi architetti si era radicato, di un tiburio che dovesse primeggiare su tutta la massa del tempio, simboleggiando Dio scortato dai quattro evangelisti rappresentati da quattro gugliotti minori agli angoli?


Un documento cui è duopo annettere una non lieve importanza nella questione presente, è il disegno della pianta del Duomo che si trova a fol. XIIII recto dei Comenti a Vitruvio, pubblicati nel 1521 dal Cesariano6, coll’indicazione: ICNHOGRAPHIA FUNDAMENTI SACRÆ ÆDIS BARICEPHALÆ GERMANICO MORE A TRIGONO AC PARIQVADRATO PERSTRUCTA VTI ETIAM EA QVÆ MEDIOLANI VIDETVR. Questo disegno deve riguardarsi come la riproduzione di una pianta di molto anteriore all’epoca della pubblicazione dell’opera succitata: infatti, bisogna anzitutto escludere che quella pianta possa essere stata dal Cesariano desunta dal vero, giacchè vi troviamo indicate anche quelle tre [p. 18 modifica]Sezione del Duomo di Milano
DAI COMMENTI A VITRUVIO
di C. Cesariano — Fol. XV recto.
[p. 19 modifica]Sezione del Duomo di Milano
DAI COMMENTI A VITRUVIO
di C. Cesariano — Fol. XV verso.
[p. 21 modifica]campate verso la fronte le quali, come già si disse, vennero aggiunte solo alla fine del XVI secolo: oltre a ciò vi troviamo qualche particolarità di costruzione che poteva essere dedotta solo da un disegno originale. Ebbene, questa pianta, completa in sè, e presentata dal Cesariano come tipo di disposizione germanica, non ha la indicazione delle torri; la fronte, detta FRONS SACRÆ ÆDIS HEXASTILA, è suddivisa in cinque campi da quattro contrafforti, tutti eguali in larghezza, in corrispondenza alle serie di piloni interni, ed è conterminata da contrafforti angolari più larghi, simili a quelli che fiancheggiano le testate dei bracci di croce.

V’ha di più: il disegno porta la nota: TINTINABVLORUM TVRRIVM LOCA ADHVC INDISTINCTA FVNDATIO, cosicchè ci avverte come — mentre la pianta del Duomo era già stata concretata in ogni particolare — la questione delle torri-campanili fosse rimasta insoluta, col deciso proposito di tenerla affatto indipendente ed estranea all’organismo del tempio7.

A rinfrancare l’opinione che il disegno del Cesariano sia ricavato da disegni originali, anteriori ad ogni modo al secolo XVI, e perciò importanti, si aggiungono gli altri disegni a fol.° XV recto e verso rappresentanti due sezioni del tempio8 nelle quali, non solo riconosciamo tutte le particolarità dell’organismo del Duomo, ma notiamo alcune disposizioni che, all’epoca della [p. 22 modifica]pubblicazione dell’opera del Cesariano, erano già state mandate ad effetto in modo sostanzialmente diverso: infatti in quei disegni il tiburio s’innalza sopra la navata maggiore conservando ancora la pianta quadrata — concetto primitivo forse — mentre effettivamente, al tempo del Cesariano, il tiburio era già stato iniziato secondo le idee del Dolcebuono, dell’Omodeo, e di Francesco di Giorgio Martini, a pianta ottagonale coi gugliotti d’angolo; disposizione che nella tavola a fol. XV recto, di fianco al disegno della sezione generale, venne notata dal Cesariano con uno schizzo prospettico, a modo di variante9.

Dobbiamo pure accennare, di fronte alla penuria degli indizii e documenti, il dipinto su tavola di Stefano da Pandino10, rappresentante Gian Galeazzo in atto di offrire alla Vergine il modello della Cattedrale: in questo modello che si presenta dalla parte dell’abside, mentre si nota il tiburio corrispondente approssimativamente, nelle proporzioni, a quello costrutto, non si vede nessuna disposizione di campanile: ora l’epoca e l’autore del dipinto hanno una grande autorità, poichè la tavola fu eseguita nel 1412 (Stephanus de Pandino me fecit 1412) da un artista famigliare assai alla costruzione del Duomo per avervi dipinto le vetrate: e certo, disegnando il modello del tempio in un’epoca in cui la costruzione [p. 23 modifica]non era arrivata che alle vôlte, egli dovette appoggiarsi a disegni originali che a quell’epoca — soli venticinque anni dal principio dei lavori — dovevano esistere, oppure si conformò ai concetti che allora si ventilavano; per il che ci è lecito presumere non fossero allora progettate le due torri frontali.


Ed, ora, allo scopo di esaurire l’argomento, dobbiamo esaminare il partito della fronte turrita da un punto di vista affatto generale, facendo astrazione dal Duomo. È assai diffusa l’opinione che questo partito costituisca un principio cardinale delle costruzioni acute d’oltralpe; tale opinione però non è altrettanto esatta, poichè il vero principio cardinale, nella sua origine, doveva consistere nelle quattro torri innalzate agli angoli dei bracci di croce, dalla massa delle quali risultavano poi giustificate le torri della fronte, quasi come motivo complementare del primo: ma questo principio cardinale, così grandioso, anzi troppo grandioso, non ebbe mai completa effettuazione, per le vicende che vennero ad interrompere, o modificare sostanzialmente lo sviluppo delle cattedrali; nelle disposizioni planimetriche però ne rimase l’indizio, come si può constatare ancor oggidì, specialmente nel nord della Francia; e citeremo le cattedrali di Reims e di Chartres per tacere d’altri esempii, meno noti, ma non meno autorevoli per avere dato norma al successivo sviluppo dello stile gotico. Le torri della fronte si debbono quindi considerare come la conseguenza del principio cardinale anzichè un vero principio per sè stesse: e a provare come il loro sviluppo non abbia generalmente avuto carattere di motivo fondamentale, e decisamente preponderante su tutto l’organismo dell’edificio, sta il fatto che raramente il motivo stesso raggiunse il compimento. Il volere quindi individuare in questo partito delle torri il tipo della cattedrale gotica, per concentrarvi tutta la vitalità del problema della fronte, non può nemmeno corrispondere ad una logica interpretazione, nè ad una fedele applicazione del concetto gotico; tanto meno poi quando questo partito non trova, nella disposizione planimetrica, il terreno favorevole per svolgersi, come è appunto, per quanto si disse, nel caso del nostro Duomo.


Risultando dal sin qui esposto, come per correggere la proporzione depressa della fronte, non si debba ricorrere nè a sopralzi puramente decorativi, nè al partito delle torri d’angolo, bisogna ricercare quali siano i provvedimenti che possono condurre alla soluzione del difficile problema.

Non sarà inutile il richiamare a questo riguardo come qualsiasi soluzione di un problema architettonico si debba raggiungere cercando di superare le difficoltà e di correggere i difetti dell’ossatura colla semplice e razionale distribuzione delle masse e coll’accorta applicazione dei motivi decorativi; nel caso concreto quindi, il mezzo per rimediare al difetto delle [p. 24 modifica]proporzioni depresse della fronte, non deve consistere nel provvedimento radicale e grossolano di modificare effettivamente le dimensioni della fronte, alterandone di conseguenza l’organismo, ma sta nel cercare che la decorazione, opportunamente distribuita, abbia a mascherare quelle sproporzioni che sono imposte dalla disposizione interna. Uno dei mezzi che si prestano a ciò, è quello di raccogliere in particolar modo la decorazione e l’interesse della fronte sulla parte mediana, riservando agli scomparti corrispondenti alle navate estreme, l’ufficio quasi di appendice, o di transizione fra la fronte e il fianco. Per queste parti estreme della facciata, dopo aver ridotto il contrafforte angolare — ora trigemino — ad un solo e massiccio contrafforte, compartito e decorato come quelli delle testate dei bracci di croce, basterà risvoltare la falconatura a trafori che corona il fianco e le robuste profilature del basamento, racchiudendo fra queste ricorrenze orizzontali una finestra eguale, per dimensioni e decorazione, a quelle del fianco stesso; tra il contrafforte d’angolo e il successivo di fronte si potrà sviluppare, arricchendone la decorazione, il motivo dell’arco di controspinta che si trova in corrispondenza ad ogni campata, cosicchè si intravveda sulla fronte questo elemento caratteristico del sistema costruttivo, allo stesso modo che appare nelle testate dei bracci di croce, sebbene quasi dissimulato dalla falconatura inclinata. Per verità questo elemento statico, nella forma in cui si presenta in corrispondenza alla parte anteriore dell’edificio, non è dei più riusciti; ed è a lamentare che sia stato abbandonato il concetto originario il quale si proponeva di controbilanciare le spinte laterali delle vôlte, mediante degli speroni massicci inclinati superiormente secondo l’angolo di un esagono avente un lato verticale: da questa particolare inclinazione risultava che gli speroni delle navate minori erano affatto indipendenti da quelli delle navate mediane per modo che l’acqua piovana, raccolta sulle falde della navata maggiore, doveva, per scaricarsi, percorrere due tratte distinte di canali. Questa disposizione — da nessuno sin qui rimarcata, e che si può vedere nelle sezioni già citate del Cesariano11 — venne sostanzialmente modificata col sostituire al doppio ordine di speroni indipendenti, un unico ordine di archi rampanti di contro-spinta; e poichè si volle che la linea superiore di questi costituisse un unico canale collettore delle acque piovane in corrispondenza ad entrambe le navate laterali, si dovette adottare una inclinazione assai più ripida di quella determinata dal lato dell’esagono: è appunto tale continuità e tale inclinazione esagerata della linea superiore di questi archi di contro-spinta che non si collega colle linee mosse e varie di tutto l’organismo [p. 25 modifica]del tempio: si aggiunga a ciò che la decorazione di questi archi, già per sè alquanto monotona e di fattura quasi meccanica, venne riprodotta generalmente con nessun sentimento. Gli è per queste circostanze che il motivo degli archi di controspinta si presenta, come si disse, poco riuscito, e difficilmente può prestarsi a costituire un vero ornamento della fronte, mentre del resto non è un motivo assolutamente necessario, quand’anche lo si consideri nel suo ufficio secondario di canale di scarico delle acque piovane. Ad ogni modo questo elemento — se pure non s’intenda di abbandonarlo in corrispondenza al muro frontale — potrà esser riprodotto purchè venga in parte dissimulato dalle falconature della fronte e purchè sia arricchita la rigidità della sua linea con qualche motivo statuario anche nella breve tratta in cui appare nel complesso della fronte12.

Con questo partito di risvoltare integralmente la decorazione del fianco sulle due campate estreme della fronte, assegnando a queste [p. 26 modifica]una importanza secondaria rispetto alla parte mediana da considerarsi come nucleo della facciata, si viene però a portare una non indifferente modificazione nelle disposizioni attuali della facciata, poichè implicitamente si ammette la soppressione delle due porte corrispondenti alle navate estreme. Ora questa riduzione del numero delle porte, da cinque a tre, non può passare senza qualche considerazione che ne spieghi, e ne giustifichi il fondamento di fronte all’opinione pubblica la quale, per varie ragioni, ma sopratutto in omaggio ai fatti compiuti, è disposta a dichiararsi in favore del numero attuale.

È necessario quindi far rilevare come, nel concetto primitivo, tre fossero le porte che si dovevano aprire sulla fronte. La icnografia del Cesariano infatti presenta sulla fronte solo le tre porte corrispondenti alle tre navate mediane: altre due porte stanno in corrispondenza alle testate della grande navata trasversa. Questa originaria disposizione venne alterata all’epoca del Pellegrini allorquando, come osserva il Mongeri nell’Arte in Milano, «di nulla fu tenuto conto, nemmeno del numero delle porte coll’aprirvene cinque invece delle tre convenute al principio del secolo XVI.» E l’aumento del numero delle porte nella fronte da tre a cinque, si spiega come conseguenza della soppressione — che a quell’epoca si fece — di quelle due porte che si aprivano nelle testate dei bracci di croce.

Benchè il provvedimento di ripristinare queste porte dei bracci di croce, mediante la rimozione delle cappelle absidali colle quali vennero ostruite, non si connetta sostanzialmente alla riforma della fronte, noi non crediamo che, nel risolvere questo problema, si debbano mantenere e perpetuare le conseguenze delle alterazioni fatte ai bracci di croce, subordinando a queste alterazioni il numero delle porte nella facciata: tanto più che la giusta preoccupazione del conservare la facilità di accesso al tempio nella misura attuale, non può nè deve ridursi a vincolare il partito decorativo della nuova fronte al numero attuale delle porte, giacchè si possono adottare altri provvedimenti per mantenere l’attuale comodità di accesso al tempio, anche ripristinando il numero delle porte quale era stato stabilito nel concetto primitivo13: e per confortarci in questa opinione, oltre al già menzionato disegno [p. 27 modifica]del Cesariano, abbiamo dei dati positivi nei documenti dei primi anni della costruzione; infatti vi troviamo riportati alcuni dispareri di quegli architetti riguardo al partito di destinare le navate minori ad uso di cappelle, il che escludeva implicitamente la possibilità di far corrispondere delle porte a quelle navate minori. Si parlava già di cappelle in vicinanza alla crociera nell’aprile 139014. Al 19 marzo 1391 gli ingegneri addetti alla fabbrica, e cioè Simone da Orsenigo, Giovannino de’ Grassi, Giovanni Scrosato, Galeto fabbro, Lorenzo de Spazii, Giacomo da Campione e Tavanino da Castel Seprio discussero sulla convenienza di dividere con tramezze le navate minori per formarvi tante cappelle, rendendo quindi necessarie delle modificazioni tanto ai piloni adossati alla parete, che a quelli isolati, e ciò, aggiunge il Nava, «perchè nel disegno originale non erano indicate le cappelle, nè dovevano, per quanto pare essere fatte.» E si venne alla determinazione «quod differatur ad deliberandum supra facto intramezaturam fiendarum in Ecclesiæ usque ad eventum Ingig. teutonici quem Anes Fernach ire debet ad accipiendum et ducendum, et sic etiam super facto pillonorum ad dictas capellas fiendorum

Per verità il provvedimento delle cappelle qui si presenta come un ripiego, forse costruttivo più che altro; e sgraziatamente nella recente pubblicazione degli Annali della Fabbrica il documento sul quale il Nava fondava il suo parere, invece di essere stampato in extenso non è che sommariamente citato. Al 1.° maggio del successivo anno però, nel resoconto di un’altra Adunanza di ingegneri, fatta per chiarire alcuni dubbi costruttivi, coll’intervento di Enrico di Gamodia, troviamo:

Dubium. Utrum debeant mediari sive intramezari capellæ ipsius ecclesiæ muro una ab altera, nec ne?

Responsio. Declaraverunt quia non egent ipsæ capellæ aliqua alia fortitudine, quod remaneant et fiant sine alio medio seu sine muro mediano.

Dal che si può arguire che — per quanto il motivo che spingeva ad innalzare delle tramezze fra le campate delle navate minori fosse un espediente costruttivo di rinforzo — il concetto di destinare le navate stesse ad uso di cappelle rimaneva affatto estraneo a tale provvedimento.


Spiegato così il concetto decorativo delle parti estreme della fronte, e giustificate le modificazioni sostanziali che vengono introdotte nella attuale disposizione, passiamo ai tre comparti mediani, quelli che debbono costituire il nucleo della fronte.

La nota capitale di questa parte della fronte sta senza dubbio nelle tre porte: lo studio di queste però non è facile, poichè la massa stessa del Duomo presenta ben pochi elementi che possono servire di guida e di caposaldi: infatti, mentre la fronte non potè svilupparsi che in [p. 28 modifica]epoca in cui le genuine tradizioni dello stile erano andate completamente perdute, le testate dei bracci di croce, iniziate nel periodo migliore dello stile originario, vennero appunto spogliate di quella parte di decorazione che era stata già eseguita per le porte, cosicchè, salvo alcuni frammenti statuarii di cui si trasse nuovamente partito15, non rimase alcuna traccia della disposizione architettonica di quelle porte: i documenti non danno indicazioni attendibili, poichè i varii disegni di porte che si conservano, sia nella Raccolta Bianconi all’Archivio Civico di S. Carpoforo, sia nella Raccolta Ferrari, o nei volumi di Disegni all’Ambrosiana, si presentano come studi eseguiti in un’epoca in cui già si era affievolita la tradizione dello stile primitivo, e non hanno quindi l’impronta dell’intimo carattere del Duomo16. Non si può quindi consigliare di attingere i criterii direttivi in quei documenti. Un solo indizio riguardo la forma di tali porte, ci dà il resoconto già citato di quella seduta 1 maggio 1392, dove si legge: Dubium. Quid sibi videatur de designamento unius portæ gemellæ croxerie versus Compedum cum tota facie ipsius croxeriæ?

Responsio. Ea visa et perspecta declaraverunt quod ipsa est valde pulchra et bona ac honorabilis et quod super ea procedatur.

Dal che sembra si progettasse una porta gemella, cioè divisa in due vani con pilastro mediano, disposizione per verità caratteristica delle porte di stile d’oltralpi: questo indizio però è troppo vago perchè possa servire come criterio direttivo nello studio delle porte17. Si potrà invece trar partito, [p. 29 modifica]in giusta misura, dalle porticine interne delle sacrestie e specialmente da quella verso mezzogiorno, giacchè l’altra presenta le traccie dell’intervento di due artefici nell’accoppiamento di alcune forme che risentono ancora la tradizione lombarda, con altre che rappresentano l’influenza nordica. Si aggiunga come le stesse proporzioni limitate di queste porte abbiano lasciato prevalere l’elemento figurativo a scapito della ossatura architettonica, cosicchè piccolo è il partito che se ne può ritrarre per una applicazione ad un motivo di dimensioni assai più grandi: risulta quindi necessario studiare la decorazione di alcune porte che ci rimangono di quell’epoca e che accennano alle caratteristiche dello stile del Duomo, anche se di edificii civili, nelle quali troviamo, non di rado, il motivo di quella incorniciatura rettangolare che circoscrive le linee arcuate della porta18: a questa disposizione, di carattere civile, si può opportunamente accompagnare la cuspide a trafori che aggiunge carattere religioso e dà slancio alle proporzioni della porta. Per verità questo motivo della cuspide, benchè sia un vero elemento archiacuto, non presenta un esempio di qualche importanza nel Duomo: ne troviamo però un accenno negli scomparti della intelaiatura del finestrone absidale, opera di Filippino da Modena: e non si potrà dimenticare come lo stesso partito generale della falconatura a piccole cuspidi traforate che corona tutto l’edificio, si possa considerare come il fondo e la preparazione di un motivo principale, il quale può trovare appunto sulle porte il suo posto d’onore.

Prima di abbandonare il motivo delle porte, menzioneremo un partito decorativo complementare che viene opportuno, non solo a dare maggiore unità e carattere a questa parte inferiore della facciata, ma ad aggiungere altresì quella ricchezza necessaria a rendere particolarmente solenne l’ingresso al tempio. Questo partito è quello della decorazione ornamentale in oro applicata alle profilature e ai fondi del bianco marmo: partito assai in uso nel periodo di poco anteriore alla costruzione del Duomo: lo troviamo, per citare un esempio assai notevole, nel monumento a Bernabò Visconti, già nella chiesa di S. Giovanni in Conca, ora al Museo Archeologico, dove l’applicazione della doratura si sviluppa in tutte le parti architettoniche e figurative, con motivi originalissimi; troviamo tale applicazione in altri monumenti funerarii, pure dell’epoca, — come nella chiesa di S. Marco, nel monumento a Lanfranco Settala: sappiamo pure che fu applicato nello stesso Duomo, sia per traccie ancora visibili, che per menzione fatta in documenti della prima epoca19. Tale [p. 30 modifica]decorazione trova opportunamente il campo di una razionale applicazione limitato al motivo complessivo delle tre porte, e concorre, mediante una serie di ornamentazioni geometriche basate sopra i citati esempii, ad accentuare sempre più la caratteristica dello stile del Duomo con un nuovo e potente legame in tutta la decorazione di quel motivo importantissimo.

Passando alla parte che sovrasta le porte, ci troviamo dinnanzi a tre comparti di facciata limitati dai contrafforti e riproducenti la stessa ossatura delle testate dei bracci di croce; la decorazione di questi piani verticali si fonda anzitutto sul motivo delle finestre: pei due comparti minori le finestre hanno le dimensioni e proporzioni, diremo quasi, imposte dallo stesso organismo interno della navata e risultano eguali a quelle laterali dei bracci di croce; e qui torna opportuno avvertire la decorazione particolare di queste finestre la quale è alquanto diversa da quella delle altre e più caratteristica, poichè nella insenatura esterna del contorno, invece delle statue a tutto rilievo portate da mensole, si hanno figure a rilievo meno pronunciato e facenti corpo colla costruzione stessa, alternate col motivo di vegetazioni fiorite ravvolte da filaterio a spirale con iscrizioni. Questa variante caratteristica delle testate dei bracci di croce si presta ad essere riprodotta sulla facciata nelle corrispondenti finestre delle navate mediane, col che si raggiunge anche lo scopo di rompere alquanto la monotonia di quel partito di statue sostenute da mensole, che, nelle finestre dei fianchi, ebbe eccessivo sviluppo all’epoca in cui l’elemento statuario prevalse nella decorazione del tempio.

Nel campo centrale della facciata, che è il più importante, il motivo della finestra deve necessariamente avere uno sviluppo assai maggiore, e in rapporto colla superficie piana nella quale si apre. Riguardo all’ossatura da adottare per questa finestra non vi hanno grandi incertezze: le fronti, più volte citate, dei bracci di croce, malgrado le alterazioni subite, mostrano le traccie del partito originario di ampie finestre che richiamavano quelle delle pareti absidali: il motivo è quindi indicato per essere riprodotto, coll’identico rapporto, nella fronte, sviluppandovi una decorazione di intelaiatura marmorea in relazione a quella delle finestre dell’abside e particolarmente allo stupendo motivo della finestra centrale disegnato da Filippino da Modena. Ma poichè il concetto di una finestra circolare nel mezzo della fronte ha trovato dei fautori non solo a parole, ma anche in progetti, così torna opportuno analizzare quale valore possa avere tale partito. Il fatto che moltissimi e cospicui esempii di finestre circolari si trovano, non solo negli edificii religiosi dell’architettura lombarda — nella [p. 31 modifica]quale anzi formava un motivo caratteristico e quasi fondamentale — ma anche negli edificii religiosi d’oltralpi, induce facilmente a riprodurre tale forma anche nella facciata del Duomo: e di fronte alla dibattuta questione se l’architettura di questo proceda piuttosto dal lombardo che dal gotico, sembra veramente una occasione eccezionale questa di poter adottare un motivo che risponde a quei due diversi indirizzi. Eppure la questione non può essere risolta da questo punto di vista generale, giacchè è veramente questo il caso in cui bisogna escludere ogni argomento o conclusione che si fondi su concetti teorici o scolastici di stile, per consultare invece direttamente il monumento, allo scopo di ricavarne quella soluzione che sia tutta sua, nata dalle sue forme e dal suo organismo. Percorriamo il Duomo, frughiamo in ogni angolo più remoto, e, dal minuto esame di tutte le sue forme, noi desumiamo il fatto che la forma circolare è sistematicamente esclusa come elemento o base dei motivi architettonici: non consideriamo tali, ben inteso, gli scomparti geometrici di dettaglio, nè le parti superiori delle intelaiature di finestre, che sono subordinate alla ossatura delle finestre stesse: una sola eccezione sarebbe data, per verità, da quelle piccole aperture dei sottotetti delle navate mediane che si veggono verso l’interno della navata maggiore, le quali hanno la forma circolare inscritta in un quadrato, richiamando una disposizione tutta lombarda; ma quelle aperture son così piccole da non aver peso nella impressione generale, potendo essere considerate come parti molto secondarie dell’organismo. Questa assenza assoluta della forma circolare nel Duomo non deve quindi dissuadere dall’introdurre, proprio nel mezzo della facciata, un motivo che ritrae appunto tutta la caratteristica sua grandiosità dalla forma circolare, e che sarebbe una vera stonatura in tutto lo sviluppo decorativo del Duomo? A chi credesse di poter ricavare sufficiente autorità dall’esempio dei motivi ornamentali delle finestre absidali, si potrà far rilevare tutta la cura colla quale il motivo circolare della intelaiatura, per quanto di ragguardevoli dimensioni, sia stato subordinato alle profilature molto pronunciate del contorno delle finestre: non si tratta infatti che di una cordonatura esile e semplicissima la quale, col vario intreccio, forma il motivo circolare. Volendosi invece sviluppare la finestra circolare col motivo della rosa conforme agli esempi dell’architettura lombarda, ognuno sa quanto debbano essere sviluppate e mosse le profilature che ne formano il contorno, e come queste, affinchè completino l’effetto del motivo, si richiedano altresì ricche d’intagli: ebbene, un’altra caratteristica della decorazione architettonica è la mancanza assoluta di profilature intagliate20.

Si noti finalmente come la intelajatura nel motivo della rosa sia generalmente costituita da un comparto radiale del quale sono un elemento [p. 32 modifica]importante le colonnette che si impostano o si raggruppano al centro: ma un’altra caratteristica spiccata di tutta la decorazione del Duomo è appunto l’assenza del motivo delle colonne, le quali invece, nell’architettura, sia lombarda che gotica, entrano come uno degli elementi principali della decorazione, potendo trar partito da una libertà assoluta nelle proporzioni fra l’altezza e il diametro.

Se invece si vuol cercare negli edifici d’oltralpe l’ispirazione per il motivo della finestra circolare, si troveranno svariatissimi esempii, i quali però si possono distinguere in due grandi categorie: quelli che sono inscritti nella forma archi-acuta della grande finestra centrale della fronte21, e che rientrano quindi nel tipo delle finestre absidali del nostro Duomo — benchè in qualche raro esempio, come a Reims, la rosa cerchi quasi di svincolarsi dall’arco-acuto, ed assuma una particolare robustezza di forme — e gli altri esempi al contrario che sono indipendenti da altre forme, e che perciò si accostano al già descritto tipo lombardo22: ma in tal caso la forma circolare francamente svolta nella rosa, è circondata da altre forme simili che le creano, diremo così, l’ambiente. Si osservi appunto l’esempio di Nôtre-Dame, nella testata del braccio di nord, dove il motivo interessantissimo della rosa si trova accompagnato da un grandissimo numero di altre forme circolari di svariate dimensioni.

Riassumendo, la decorazione caratteristica del Duomo non si presta allo svolgimento di una finestra circolare secondo il tipo lombardo, e quale si presenta anche in molte cattedrali gotiche; al tempo stesso non si presta nemmeno a che questa forma circolare, adottata come motivo di intelajatura di finestra a sesto acuto, abbia a svilupparsi con troppa libertà e importanza: ed è perciò che nello sviluppo della finestra principale della fronte bisognerà attenersi agli esempj forniti dall’abside23.


Veniamo finalmente alla parte più alta della facciata, nella quale — allo scopo di evitare, come già si disse, ogni sopralzo puramente decorativo sopra le navate, — si dovranno conservare approssimativamente le [p. 33 modifica]proporzioni dell’attuale: il suo contorno superiore, seguendo le pendenze della copertura, si disegnerà sul cielo con quella falconatura a trafori che corona tutte le linee superiori del Duomo, riproducendo così lo stesso organismo che già si nota sulle testate dei bracci di croce. Ma poichè anche per la parte superiore della facciata principale si richiede una maggior ricchezza decorativa, la quale non solo abbia a bilanciare la ricchezza della parte inferiore, ma sia contrassegno della speciale importanza della fronte sulle altre parti del tempio, così — senza allontanarsi dagli elementi già forniti dal Duomo — si potrà ottenere tale ricchezza, col motivo frequente della decorazione, quello cioè della statua portata da mensola e sormontata da baldacchino: e volendo dare varietà alle linee superiori, converrà adottare, per le tratte corrispondenti alle due navate mediane, una disposizione orizzontale, cosicchè le finestre restino inquadrate fra il motivo della porta e quello di questa serie di statue portate da mensole ed allineate orizzontalmente per modo da formare un motivo che arieggia quello della Galerie des Rois, così caratteristico nelle cattedrali francesi: nella parte centrale, invece, le due serie di statue, seguendo la inclinazione della falconatura, potranno convergere ad un motivo centrale opportuno per accentuare la parte più elevata della fronte, il posto d’onore24: e queste statue, affinchè assecondino meglio la inclinazione del loro allineamento e formino assieme col motivo centrale — svolto in forma di edicola colla figura della Vergine in trono — potranno disporsi secondo una doppia schiera di angeli ginocchioni rivolti in atto di preghiera verso la Vergine che li domina: col quale motivo si viene a completare e a chiudere il partito centrale della porta maggiore e della finestra centrale.

Questi sono criterii coi quali si può quindi tracciare, a linee generali, la decorazione della facciata del nostro Duomo, coordinata tanto all’organismo interno che a tutte le ricorrenze architettoniche esterne, senza allontanarsi dalle caratteristiche spiccate della decorazione originaria.


Se il problema della fronte rimane con ciò completamente risolto nelle sue linee generali, restano però ancora a trattare due questioni secondarie, ma collegate alla soluzione di quel problema. Essendo stato escluso il motivo delle torri nel concetto della fronte, la questione del collocamento razionale delle campane reclama ancora uno speciale provvedimento, poichè — come è noto — le campane, le quali, sino ad un venticinque anni or sono, erano rimaste allogate in una costruzione di [p. 34 modifica]carattere provvisorio che si innalzava sopra la navata maggiore, ora si trovano disposte in uno dei vani interposti fra la volta e la copertura del tiburio: e questa collocazione, benchè non presenti sinora alcun inconveniente dal lato statico, non può essere certo considerata come definitiva. A questa questione sì aggiunge l’altra che si riferisce alla decorazione attuale della fronte la quale, col progetto di riforma, deve necessariamente essere rimossa: ma se il toglierla dal posto che occupa è una conseguenza inevitabile dell’attuazione di una nuova fronte, non ne deve perciò risultare la conseguenza che questa decorazione, così ricca di pregi d’invenzione e di esecuzione, debba andar dispersa, giacchè — malgrado sia in aperta dissonanza collo stile fondamentale del tempio — rappresenta un’epoca importantissima dell’arte nostra. Il disperdimento di questi frammenti, considerati per lungo tempo con disprezzo, come frutti di decadenza dell’arte, costituirebbe ai nostri dì un vero atto di vandalismo: anzi già si manifestano gli indizii di una corrente di idee secondo la quale tali frammenti, non solo debbono essere salvati per l’intrinseco loro valore artistico, ma debbono essere lasciati in posto perchè nel tentativo stesso di accordo colle disposizioni dello stile originario del Duomo, presentano un fatto interessante per la storia dell’arte. Non è il caso, ora, di estendere la questione a questi concetti i quali, una volta ammessi, costituirebbero una pregiudiziale a tutta la questione della riforma della facciata: questo lato storico e archeologico della questione potrà, anzi dovrà essere largamente trattato allorquando sarà da esaminare e ponderare con tutta serietà se realmente il progetto che si vorrà tradurre in atto è tale da giustificare la scomposizione della attuale facciata e da offrire sicura garanzia di compensarne largamente i pregi e l’interesse storico: ma di fronte all’attuale problema di una nuova fronte messo avanti senza alcuna restrizione, non v’è luogo a tali preoccupazioni archeologiche. Ciò non toglie che si possa fin d’ora studiare quella soluzione la quale elimini tali preoccupazioni avvenire, col trar partito opportunamente di tutta la decorazione attuale; e la soluzione che si propone viene ad associarsi ad uno dei partiti coi quali si può sciogliere il problema del collocamento delle campane. Di questi partiti uno sarebbe quello di riformare la parte superiore del tiburio, per modo da svilupparvi una cella apposita centrale per le campane: l’altro è quello di svolgere il motivo del campanile affatto separato dall’organismo della chiesa, ripristinando uno dei concetti dell’antica cristianità. Il concetto che si presenta più spontaneo è quello di sviluppare la decorazione del campanile nello stile del Duomo; e su questa via nessun dubbio che si possa arrivare ad una soluzione soddisfacente, benchè le caratteristiche dello stile del Duomo, e specialmente la mancanza di quelle riseghe dalle quali principalmente l’architetto può trar partito per restringere la massa, man mano che s’innalza, rendono abbastanza difficile la soluzione del problema. Si aggiunga che la torre isolata, svolta conforme allo stile del Duomo, richiede di essere collocata dì fianco e non molto discosto dalla facciata: l’ubicazione della torre in tali condizioni può non riuscire opportuna, sia dal lato della viabilità, che dall’effetto estetico [p. 35 modifica]risultante dalla sua massa considerevole adossata all’organismo del Duomo. Se invece si abbandona l’idea di sviluppare conforme allo stile del Duomo la torre in questione, questa potrà innalzarsi opportunamente discosta dal Duomo ed occupare una posizione che si colleghi invece colla disposizione della piazza, concorrendo non solo a completarne un lato, ma a migliorarne l’effetto estetico, di più, nella costruzione della torre si potrà utilizzare buona parte della decorazione della attuale fronte del Duomo. Ecco le ragioni sulle quali si fonda il concetto di una torre-campanile nello stile della fine del secolo XVI, innalzata sul prolungamento all’incontro dell’asse della Galleria Vittorio Emanuele, coll’asse del porticato settentrionale, e precisamente sull’area destinata a quella Loggia Reale che era stata progettata dal Mengoni per mascherare la testata in isbieco del Palazzo di Corte. Il motivo di una torre dell’altezza di circa m. 8o, oltre che raggiunge più facilmente lo scopo del concetto Mengoniano, senza schiacciare le modeste proporzioni del Palazzo di Corte, può facilmente collegarsi, nella parte inferiore, alla testata di questo palazzo, e soddisfare ancora al concetto di una Loggia Reale. Le proporzioni della torre renderebbero, per contrasto, meno pesante e grave il palazzo settentrionale, pur facendo un sufficiente riscontro di massa all’arco di ingresso della Galleria Vittorio Emanuele. La decorazione caratteristica del Pellegrini verrebbe a trovarsi facilmente impiegata non molto discosto da quella fronte per la quale venne immaginata, non perdendo così completamente il suo interesse storico, e guadagnando in effetto, non solo per il fatto che si troverebbe fusa in un concetto tutto omogeneo di stile, ma perchè si presenterebbe orientata in modo vario, secondo i lati della torre.

Un’iscrizione attesterebbe di questi frammenti non solo la provenienza, ma il sentimento di rispetto e di ammirazione che ne consigliò la conservazione a decoro della città25.

Risolte così in modo pratico e decoroso anche le due questioni accessorie del collocamento razionale delle campane e della conservazione delle parti di pregio dell’attuale facciata, il tema della nuova fronte può considerarsi completamente svolto.





Note

  1. Citiamo, ad esempio, la facciata della Cattedrale di Monza, opera di Matteo da Campione, la quale presenta un sopralzo sulle navate così ragguardevole, che le finestre circolari della parte superiore sono puramente decorative.
  2. Nôtre-Dame dà per rapporto l’ottavo, mentre il Duomo dà il decimo.
  3. Ammettendo per il motivo delle torri la necessità di uno sviluppo considerevole ed eccezionale nei sostegni si è, apparentemente, in contraddizione coll’esempio del tiburio, la cui massa ragguardevole è sostenuta da soli quattro piloni, di poco più robusti degli altri: ma, per il caso del tiburio, bisogna considerare come, a sostenerne il peso, concorrano le vôlte che all’intorno vi fanno contrasto: elementi sussidiarii i quali, nel caso di una torre-campanile posta sull’angolo della fronte, mancherebbero completamente, richiedendo una speciale robustezza di sostegni, necessariamente evidente nella stessa disposizione planimetrica: escludiamo naturalmente la soluzione, già più volte tentata, di torri dissimulate in pianta e portate, in tutto o in parte, dai piloni attuali, giacchè sarebbe una soluzione contraria al principio logico e fondamentale d’ogni organismo architettonico, che ogni parte dell’edificio debba nettamente risultate nella disposizione planimetrica.
  4. La Cattedrale di Bayeux costituirebbe apparentemente una eccezione, e potrebbe essere citata come argomento in favore delle torri: l’autorità di tale esempio però rimane distrutta se si considera che il tiburio di quella Cattedrale è stato costruito più di due secoli dopo le torri della fronte: infatti nell’interno dei pilastri sui quali s’innalza il tiburio, si notano gli originarii pilastri della Cattedrale, di poco più forti degli altri pilastri delle navate, i quali furono appunto sensibilmente ingrossati per essere atti a sostenere il carico del tiburio. Si osservino a questo proposito i rilievi dell’architetto Flachat, eseguiti nell’occasione dei restauri. Vedi Reprise en sous-œuvre de la Tour centrale de la Cathédrale de Bayeux. — Paris, 1861.
  5. Risposta alle censure del Mignoto: Seduta 25 gennaio 1400 — Annali Fabbr. Duomo, Vol. 1, pag. 209, col. 2.
    Il Mongeri (Perseveranza, 1 aprile 1887) mette in dubbio che il tiburio fosse un concetto vagheggiato fin dai primi anni della costruzione e, menzionando il parere dato da Matteo da Campione, architetto della Cattedrale di Monza, di rinforzare i quattro piloni di centro della crociera, coll’assegnarvi un diametro di tre quarti di braccio maggiore degli altri, conclude: «non occorrerebbe quasi avvertire che siffatto ampliamento di base, sebbene fosse già una alterazione della pianta d’origine, non importava ancor la previsione di una grande cupola o di una guglia eccessiva in altezza come quella che vediamo, opera del secolo passato: ma poteva ben conciliarsi coll’esempio della Cattedrale di Colonia, e in generale col piramidare somigliante delle Cattedrali nordiche di questo stile a codesto punto dell’incontro della croce.» A togliere però ogni fondamento a tale conclusione, basta richiamare le parole testuali del Matteo da Campione «illi quatuor pironi tiborii Fabricæ augmententur seu ingrossentur per quartas tres in quadro plus aliis pironi» dalle quali parole appare confermato il concetto del tiburio fin dal 14 luglio 1390.
  6. «Di Lucio Vitruvio Pollione de Architettura Libri Dece traducti de latino in Vulgare affigurati: commentati et con mirando ordine Insigniti: impresso nel amæna et delecteuole Citate de Como per Magistro Gotardo da Ponte Citadino Milanese ne lanno del Nostro Signore Jesu Christo M.D.XXI•XV mensis Julii.»
  7. Il Mongeri (Perseveranza, 2 aprile 1887) menzionando questa pianta avverte: «tra l’altre cose dobbiamo a lui (il Cesariano) l’avvertimento delle torri laterali alla fronte, col segno quadrilatero icnografico ivi tracciato e le parole tintinabulorum turrium locu adhuc indistincta fundatio,» ecc.
    Ma è bene osservare come i segni icnografici che hanno fermato l’attenzione del Mongeri, non rappresentano affatto la pianta dei campanili — il che sarebbe stato in piena contraddizione colle parole succitate indistincta fundatio: quei segni si possono riguardare solo come l’indicazione del risvolto della piattaforma e della scalinata. L’unico punto nel quale il Cesariano può lasciar vagamente intravedere il concetto di una facciata colle torri sarebbe nel titolo di Baricephala assegnato al Duomo: ma la stravaganza abituale dello stile non permette di dare molta importanza a tale parola.
  8. Le tavole di sezione sono accompagnate da queste indicazioni:
    Idea geometricæ architectonicæ ab ichnographia svmpta • vt peramvssineas possint per orthographiam ac scænographiam perdvcere omnes quascvnqvæ lineas non solvm ad circini centrum • sed qvæ a trigono et qvadrato avt alio qvovismodo pervenivnt possint suum habere responsvm • tvm per evrythmiam proportionatam qvantvm etiam per symmetriæ qvantitatem ordinariam ac per operis • decorationem ostendere • vti etiam hec qvæ a germanico more pervenivnt distribventvr pene qvemandmodvm sacra cathedralis ædes mediolani patet etc.
    Si hanno disegni relativi al Duomo anche nella traduzione di Vitruvio fatta da Fra Giocondo ed edita pochi anni dopo quella del Cesariano: ma quei disegni, come in generale tutti gli altri del testo, sano evidentemente una copia, o meglio una contraffazione di quelli del Cesariano.
  9. Sotto al disegno si legge: IDEA • OCTOGONÆ HECUBÆ PHALÆ ET PIRAMIDATÆ SI PERCUMBERE EAM SUPER COLUMNAS QUATUOR PARIQUADRATI VOLUM TOTAM EXTRA SOLIDUM INVENIETUR QUOD CONTRA MENTEM SAPIENTUM ARCHITECTORUM SI MAXIMI ONERIS PERPETUITATEM OBTINERE VELIT.
    Anche nel testo (pag. XXIIII recto), il Cesariano non si mostra favorevole a tale cambiamento del concetto primitivo, e dice:
    «Como alcuni hano facto in tal modo et præso graue errore perche tuti li corpi de Architettura che nascono da uno suo principale ordine deno sequire di quello: et non fabricare fora del solido: si come han facto alcuno de nostri Patricii architetti maxime in la sacra Aede Cathedrale de Milano: essendo da construere sopra le quatro principale Pile Marmoreæ, La Hecubale seu Tholata Pinacula Piramidale, quale extracta da li solidi: hano facto lo octagono circumdamento mœniamo sopra li lateri de le Trigonale uolute epse fundate radicatione. et hano conclusi da luno lato al altro li arcuati uoluti con lo magno foramine ecentricato quale conspecula contra lo terrestre solo et Aere di epso Templo: sopra li quali uoluti uolendo collocare la maxima Piramide prædicta separata dal solido dil pluteale spectaculo. Cubiti sei circumcirca et douendo ascendere per la Trigonale ratione sopra data brachii 56 da la littera. L. A. Q. seu Y si tomo habiamo indicato: me pare cosa impossibile tanto maximo onero et immane altitudine si possa substinere senza retinaculi et tanta innumerabile ponderosità non corruere poi in breue tempo. Cum sia ciascuno brazo cubale di marmore pexa libre 800 quale libre s. no di uncie 28 de nostro pondo: quale figure sono dimostrate di sopra.»
  10. Era una pala d’altare a sette comparti, destinata forse fin dall’origine a decorare un altare del Duomo e che, tolta nelle successive trasformazioni degli altari, avvenuta specialmente all’epoca di S. Carlo Borromeo, passò pochi anni sono, dal museo privato Cavaleri, a Parigi.
  11. Si deve ammettere che questa disposizione e la primitiva, poichè, al tempo del Cesariano, gli archi di spinta del retrocoro erano già stati iniziati, almeno a giudicare dalla finezza e dal carattere delle profilature e degli ornati; quest’altro divario fra lo stato dei lavori quali erano stati condotti al tempo del Cesariano e i disegni di questi, è un nuovo argomento per farci ritenere che le indicazioni del Cesariano siano ricavate da vecchi disegni originali.
  12. Riguardo alla forma speciale dell’arco rampante, caratterizzata dagli archi decorativi sotto alla curva organica suddivisa in due archetti che vanno a terminare in un fiore, e dal traforo geometrico della linea superiore, dobbiamo ricordare il disegno su pergamena che il Boito, nel suo studio sul Duomo, ha pel primo segnalato e che si trova nel volume 1.° della Raccolta Bianconi, all’Archivio Civico: a nostro avviso però quel disegno non può riferirsi al Duomo e deve considerarsi, solamente, o come uno schizzo eseguito qui da noi da un architetto straniero a dimostrare il sistema archiacuto, o come un disegno spedito d’oltralpe come tipo o modello di contrafforti: ad ogni modo risulta evidente che il concetto decorativo di quegli archi di spinta servi certamente di modello per quelli che si costrussero nel nostro Duomo (Vedi facsimile del disegno).
  13. Uno dei partiti che potrebbe essere adottato — di fronte al proposito di avere delle porte sussidiarie alle tre della fronte — è quello delle porte aperte nei fianchi delle navi minori, conforme ai numerosi esempii che troviamo, tanto nelle cattedrali d’oltralpi che nelle nostre: nei fianchi queste porte potrebbero assumere una certa importanza decorativa senza disturbare l’effetto d’assieme. Se invece si vorranno conservare queste porte secondarie nella fronte principale, basterà limitarne le dimensioni e la decorazione in modo che non abbiano a distogliere l’attenzione dalla parte centrale della fronte. Ad ogni modo si dovrà pur tener calcolo del fatto che nella riforma della fronte secondo lo stile originario, le porte possono raggiungere una larghezza sensibilmente maggiore di quella delle attuali: le tre porte progettate raggiungono complessivamente la larghezza di m. 13.
  14. Vedi Annali Fabbrica Duomo, vol. 1, pag. 34.
  15. Molti scrittori d’arte hanno asserito che alcuni frammenti, già decorativi appartenenti a quelle porte, vennero nuovamente impiegati nelle cappelle laterali che hanno sostituito le porte stesse: asserzione però che non ci risulta abbastanza fondata da un minuto esame alle cappelle. Qualche dato relativo ad una di queste porte, lo ricaviamo da un documento che si trova a fol. 38 del Vol. 251, Disegni, all’Ambrosiana, firmato da Cristoforo Lombardo e Baldassare Vianello, nel quale si legge: «Dicemo che la porta laterale di detta giexa che sara verso li scalini, va larga br. 8 sive braza otto e alta braza sedici et le ante se aprirano per di dentro dreto ala parieta siue al longo di detta parieta et per di fora li va la projectura del vestibulo che verrà in fora tanto quanto he il fondamento vegio che sono in fora de detta parieta braza sette e mezo e longo braza sedici e meza sive in decesepte.» Queste misure citate per il vecchio fondamento del vestibolo davanti alle porte, corrispondono alle indicazioni date dalla pianta del Cesariano, e corredate dalle parole VESTIBVLORUM TRIVM FVNDATIONES ANTE JANVAS.
  16. A proposito della decorazione di queste porte dei bracci di croce, richiameremo come i Deputati alla Fabbrica, dopo avere nel 1503 ordinato dei disegni all’Omodeo, al Dolcebuono, al Solari, al Fusina, si occupassero di «cercare qualche esperto architetto nelle parti di Alemagna o altrove, affinchè faccia progetti non badando a spese e fatica.»
  17. Anche il Cesariano (fol. LXXV verso) pare accenni a queste porte dai bracci di croce, divise con pilastro mediano con queste parole: «Ma unde sono li dui β β iui constitueueno le duple fore ualuate che haueuano li itineri et aditi diretti al trigono A, quale con il suo parastatico separaua epsa ualue si como a la nostra Milanese Aede Baricephala li due che si respiceno: luna dal Septentrione: l’altra dal Meridiano sono collocate.»
  18. Citiamo a questo proposito la porta caratteristica di Casa Borromeo e quella della dimora di Gaspare Vimercati in Via Filodrammatici. Questa, benchè sia di molti anni posteriore alla fondazione del Duomo, riassume mirabilmente le caratteristiche dell’architettura locale, di fronte ai nuovi concetti che, in quello stesso periodo d’anni, e a pochi passi, si affermavano nettamente nella porta Medicea di Via Bossi (ora al Museo Archeologico).
  19. Già nel 1395 Si ordinava a Giovannino de Grassi di compiere le dorature alla porta della Sacrestia verso Compedo: l’anno dopo allo stesso artefice si ordinava «quod figura marmorea facta ad similitudinem Dei Patri adornatur cum auro et azuro et aliis necessariis suo ornamento.» Nel 1404 Si progettava la decorazione in oro e azzurro nelle volte della Sacrestia. Alcune traccie dell’ornamentazione in oro sono tuttora visibili sulle sculture delle Sacrestie.
  20. Le sole profilature intagliate che si veggono in Duomo appartengono a motivi puramente decorativi piuttosto che all’ossatura architettonica: tali sono quelle del monumento a Papa Martino.
  21. Si veggano le Cattedrali di Tours, Rouen, ecc.
  22. Si veggano gli esempii di Chartres, Amiens, Bordeaux, Fecamps, ecc.
  23. Si vegga nel Dizionario del Viollet-le-Duc riassunta la trasformazione dell’oculus primitivo nella rosa gotica. Il Viollet-le-Duc spiega la convenienza della forma particolare della finestra circolare nelle chiese che avevano nell’interno il triforio, giacchè una grande finestra a sesto acuto vi avrebbe prodotto una impressione disaggradevole: accenna pure ad una ragione speciale costruttiva per la quale la rosa riusciva opportuna sotto alle vôlte a pieno centro e nota infine, che «l’ècole normande, comme l’ècole anglaise fut très-avare de rose» osservazione di non lieve importanza poichè l’organismo del Duomo presenta dei punti di affinità cogli edifici religiosi di quelle regioni, e specialmente dell’Inghilterra; si veggano a questo riguardo gli esempi di Roslyn Chapel, Melrose Abbey e quello più notevole assai di Lincoln.
  24. Nei varii studii di completamento delle testate dei bracci di croce eseguiti sul principio del XVI secolo, e che si conservano all’Archivio Civico o all’Ambrosiana, appare con insistenza l’idea di sviluppare un motivo speciale di coronamento delle testate, motivo che all’atto pratico venne invece abbandonato: questi tentativi però non possono a meno di dare autorità al concetto di svolgere un motivo centrale di coronamento sulla fronte principale.
  25. Il progetto di questa torre — presentato al Concorso della nuova Facciata del Duomo — porta, in quest’ordine di idee, l’iscrizione:
    MARIÆ . VIRGINIS . ECCLESIÆ . REFORMATA . FRONTE . MIRA . PELLEG . PELLEGRINI . ARTIFICI . INVENTA . ANNO MDLXVII . A . S. CAROLO BORROMŒO . INCOHATA NE . PATRIÆ . DECORI . DEESSENT . HIC . RESTITUTA.