Poesie della contessa Paolina Secco-Suardo Grismondi/Per la morte di Girolamo Pompei

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Per la morte di Girolamo Pompei

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Per la morte di Girolamo Pompei
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PER LA MORTE

DI

GIROLAMO POMPEI1


ELEGIA


Già tre volte d’orror cinto e di gelo
     Nudò il verno le selve, e di novella
     3Spoglia altrettante s’ammantò ogni stelo;

Poichè da morte ai buon sempre rubella
     Tolto a noi fosti, o caro amico, e il volo
     6Spiegasti ratto alla natìa tua stella.

Quanto io piansi per Te! ma un verso, un solo
     Verso non ti sacrai; che sul tuo fato
     9Confusa e muta mi ritenne il duolo.

Da me il canto fuggì; mesta da un lato
     La mia cetera giacque, e più non rese,
     12Se pur tentai le corde, il suono usato.

Così poichè di Cuma ai lidi scese
     Dedalo per sentiero audace e strano,
     15E il remeggio dell’ali a Febo appese,

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Tentò due volte il duro caso invano
     Del Figlio effigïar; due l’affannata
     18Cadde vinta al lavor paterna mano.

E pur cara, diletta, Ombra onorata
     Tu il mio tacer condanni; ognor gridarmi
     21Ti sento, quasi me chiamando ingrata;

Suonami in cuor tua voce; udirti parmi
     Dir: perchè intorno al cener mio non fai
     24Piangere, o Lesbia, i tuoi teneri carmi?

Se furon già dolce mia cura, il sai:
     Lena io lor porsi, e non avvezzi ancora
     27A più sublimi voli io gli addestrai:

E teco, oh rimembranza! io pur talora
     Venni cantando, e ne ascoltàr giulive
     30Le selve che l’amato Adige irrora.

Oh selve, oh fiume, oh glorïose rive!
     S’ora voi siete squallide e dolenti,
     33Ben è ragion. Decilio ahi! più non vive.

Voi lo vedeste un dì puri innocenti
     Piacer gustando di sua età nel fiore
     36Le labbra sciorre a pastorali accenti;

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Ed or lungo un bel margo, or fra l’orrore
     Degli arbori più cupi in dolce canto
     39D’Amarille accusar l’aspro rigore:

E a que’ lamenti suoi misti col pianto
     Oh come in voi la non fallace spene
     42Di ciò ch’Ei fora un dì, cresceva intanto!

Tal d’ampj faggi assiso all’ombre amene,
     Silvestri note meditar godea,
     45E modularle al suon di tenui avene,

Il chiaro Vate, che svegliar dovea
     Poscia l’epica tromba, e i varj errori
     48Del Trojano cantar profugo Enea;

E fra umili capanne, e fra pastori
     Nasceva il carme, che rapì all’Argive
     51E alle Lazie contrade i primi allori.

Oh selve, oh fiume, oh glorïose rive!
     Se lungo duolo ancor vi attrista e fiede,
     54Ben è ragion. Decilio ahi! più non vive.

Quand’Egli mosse alla stellata sede
     Noi qui lasciando sconsolati, oh quante
     57Fer di un lutto comun lagrime fede!

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Pianser le Muse il lor perduto amante,
     E pianser d’Elicona al pianto loro
     60Le conscie rupi, e le vocali piante;

E colle Grazie uniti in flebil coro
     I candidi costumi, e le più rare
     63Virtù dier segno di crudel martoro.

Ma più la Patria sua dagli occhi amare
     Versò fonti di doglia, e al Ciel rivolta
     66Chiamò fiero il destin, le stelle avare;

Poi colla chioma rabbuffata e sciolta
     Il funesto baciò gelido sasso,
     69Ove la cara salma era sepolta.

Nè più sapendo quinci trarre il passo,
     D’Andromaca simìl, gran lai s’udìo
     72Mandar dal petto addolorato e lasso.

E che valmi, gridava, o Figlio mio,
     Se pur vive il tuo nome in bronzi, o scolti
     75Marmi, contro cui frema il tardo obblìo?

Che mi giovano i lauri intorno avvolti
     A quest’urna feral, se il Ciel prescrive
     78Ch’io non ti vegga più, nè più ti ascolti?

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Oh selve, oh fiume, oh glorïose rive!
     Se al volger d’anni il vostro duol non cessa,
     81Ben è ragion: Decilio ahi! più non vive.

Lassa! ond’io sia più dal cordoglio oppressa
     S’affaccia al guardo mio di Lui, ch’io persi,
     84La trista immago in ogni oggetto impressa:

E con lacero core, ed occhi aspersi
     Di calde stille, giusto è ben che in bando
     87Starsene io lasci e la mia cetra, e i versi.

Ma fin ch’io spiri aure di vita, e quando
     Il dì a noi riede, e quando in mar si asconde,
     90Decilio andrò Decilio ognor chiamando:

E da queste, ove or seggo, Orobie sponde
     Alle mie note di conforto prive
     93Mesti gli arbori, i sassi, i venti, e l’onde
Risponderan: Decilio ahi! più non vive.

Note

  1. [p. 232 modifica]Girolamo Pompei patrizio Veronese tra gli arcadi Decilio, era unito alla contessa Grismondi con que’ geniali vincoli dell’amicizia, che sogliono stringersi dalle lettere. Pieno com’egli era di alta e sceltissima letteratura fu a Lesbia guida ed esempio sicuro ne’ piacevoli studj. La sua vita [p. 233 modifica]mortale ebbe termine li 4. febbrajo del 1788. I lamenti di Lesbia per la morte di Lui espressi in questa nobilmente flebile Elegia, sono pur quelli di tutta Italia. Questo componimento fu stampato nel tomo 6. delle opere del Pompei, nell’edizione fatta in Verona nel 1781.