Per la storia della circolazione monetaria nell'Italia nord-occidentale tra l'XI e la prima metà del XII secolo/Vercelli e il Vercellese - fine XI secolo

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Vercelli e il Vercellese - fine XI secolo

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Introduzione Novara e territorio novarese

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2. Vercelli e il Vercellese tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII

Come si è già visto, nel 1095 è attestata nel Vercellese la presenza di moneta del Poitou: nell’ottobre di quell’anno Germano e sua madre Gariunga vendettero a due fratelli una porzione di arativo e una di bosco in Caresana, località poco a sud di Vercelli, sulla riva destra del Sesia, al prezzo di venti

[p. 13 modifica]soldi di buoni denari di Poitiers (Pectavensium)1. Di notevole rilievo nel quadro complessivo che qui si traccerà, questa testimonianza è purtroppo isolata nella documentazione vercellese dell’XI secolo. Occorre risalire addirittura al 10242 per avere una precedente attestazione di passaggio effettivo di denaro, ma il prezzo venne espresso allora in modo del tutto generico: quaranta buoni denari d’argento, senza ulteriore specificazione, come accade nella più gran parte della documentazione dell’Italia nord occidentale dell’XI secolo. Procedendo invece in avanti, se da un lato non si hanno altre prove della circolazione nel Vercellese di moneta Pictaviensis, dall’altro si riscontra il persistere da parte dei notai della volontà di offrire informazioni più precise riguardo alla moneta scambiata. Prima in un documento monferrino del 1100 poi in uno relativo al territorio appena citato di Caresana di pochi anni posteriore cominciarono a essere menzionati dei non meglio individuati denarii novi3. Dopo un vuoto documentario completo di alcuni anni, questi stessi denari nuovi tornarono ad essere ricordati nel 1113. Nel settembre di quell’anno, in una stanza del palazzo vescovile di Vercelli, il vescovo Sigefredo, solennemente costituito in presenza di chierici, capitanei, vassalli e cittadini di Vercelli, investì gli uomini di Caresana del bosco di Gazzo in cambio di una somma computata in quaranta lire di moneta nuova («libras quadraginta denarii novi»)4. Si trattava, come chiariscono alcuni documenti degli anni seguenti cui accennerò tra breve, di denari di conio pavese5.

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La novità e l’importanza della nuova coniazione dovettero essere fortemente sentiti all’interno degli ambienti ecclesiastici vercellesi. Lo si vede bene in un documento del dicembre di quello stesso 11136: il vescovo cedette ai tesorieri della chiesa vercellese – il tesoriere allora in carica, Antonio, era stato elencato come primo degli intervenienti nel documento relativo al bosco di Gazzo – una serie di importanti diritti pubblici nel comitato e diocesi di Vercelli e la piena sovranità sui possessi detenuti dagli stessi tesorieri in Masserano (a est di Biella), con il patto che questi ultimi provvedessero a far coprire tre parti del portico antistante la cattedrale eusebiana. Venne prevista una pena espressa in marche d’argento, se la violazione dell’accordo fosse venuta da parte vescovile e comitale, mentre la composizione dovuta dal tesoriere al vescovo, nel caso in cui non si fosse provveduto alla copertura del portico, avrebbe dovuto essere corrisposta in una somma pari a dieci lire di moneta nuova7. Mancanza di simmetria assai caratteristica, nella quale al riferimento generico a enormi quantità d’argento – da conferire metà alla camera regia e metà alla vittima dell’iniuria – si contrapponeva una cifra più modesta, espressa in una moneta di nuovo corso.

Se l’ambiente che mostrava uno spiccato interesse per la nuova moneta era quello episcopale, i gruppi ai quali la si richiedeva o la si imponeva come misura di valore erano da un lato quegli stessi che facevano capo al potente e organizzato milieu ecclesiastico della cattedrale eusebiana, dall’altro la comunità degli uomini di Caresana ovvero, semplificando in modo forse indebito, gli abitanti di quel villaggio che costituiva il centro amministrativo e demico della curtis che l’impero aveva donato sul finire del secolo X alla chiesa di Vercelli8. La novità proveniva, come si è accennato, dalla zecca pavese. Un canone annuale misto in natura e denaro documentato in quello stesso torno d’anni venne fissato, per la porzione in moneta, a sedici «denarios novos vel denarios Papienses»9. Anche in questo caso la circolazione di denaro era stimolata dalla mobilizzazione del patrimonio della chiesa vercellese e ancora una volta destinatario dei pagamenti era il clero cattedrale, un cui rappresentante era ritratto nell’atto di agire nei luoghi stessi, sfolgoranti d’argento e di pietre preziose, nei quali si manifestava nel modo più intenso la consistenza simbolica del potere ecclesiastico: «in eclesia Sancti Eusebii, ante crucem Domini que est prope canonicam ipsius eclesie».

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Se si rammentano le anticipazioni proposte nell’introduzione si avrà chiara quale può essere la linea di lettura dei dati appena visti. Pur in assenza di dati utili per quasi tutto l’XI secolo (assenza attenuata da quanto si può evincere da una interessante carta novarese del 105410, come si vedrà nel prossimo paragrafo, e dal quadro d’insieme che si andrà formando nel corso del lavoro), l’attestazione isolata della moneta pittavina nel Vercellese della fine dell’XI secolo, subito seguita all’alba del secolo successivo da rade ma inequivocabili testimonianze della circolazione – certamente in primo luogo come standard di riferimento – di un denaro di nuova coniazione, che era il denaro nuovo pavese menzionato da tante fonti relative ai primi anni del XII secolo, possono essere interpretate come espressioni della pressante esigenza di sostituire alla più forte moneta “vecchia” in circolazione nei decenni precedenti (con tutta probabilità la moneta pavese battuta sino alla fine dell’XI secolo) una moneta dal potere liberatorio più basso, che fu dapprima il denaro pittavino e poi, non appena fu disponibile, la moneta pavese di nuova emissione11.

Al Vercellese si tornerà verso la fine di questo lavoro. Ora, ampliando la visuale, occorre disegnare un profilo accurato della circolazione monetaria nei territori che contornano la diocesi di Vercelli, procedendo con qualche approssimazione in senso orario. Inizierò da Novara e proseguirò, con un itinerario un po’ irregolare, con Asti, quindi con la parte settentrionale della diocesi medievale di Torino (prendendo in esame il Pinerolese, Torino, l’area nelle sue immediate vicinanze e la valle di Susa), poi con Ivrea e Biella, per chiudere quindi il cerchio tornando al Vercellese.

Note

  1. BSSS 70, p. 68, doc. 59.
  2. BSSS 70, p. 50, doc. 41.
  3. Nel documento monferrino i «denarii novi» vengono menzionati in un’aggiunta fuori tenore, posta in calce a una donazione alla chiesa di Sant’Evasio di Casale (l’attuale Casale Monferrato, nella porzione della diocesi di Vercelli che si estendeva a destra del Po) e recante l’indicazione di un lascito: BSSS 40, pp. 6 sg., doc. 4 (8 luglio 1100, «infra iamdicta ecclesia ‹Sancti Evasii›»). In un documento del 1106 la vendita di un bene fondiario venne effettuata per trentatrè soldi «ex denariis novis»: BSSS 70, pp. 81 sg., doc. 67 (3 maggio 1106, «in loco Stripiana»). In altre vendite dei primi del XII secolo il prezzo è espresso in forma generica: Ch. I, col. 733 sg., doc. 440 (27 aprile 1102, «in civitate Vercellis»); BSSS 70, pp. 80 sg., doc. 66 (24 aprile 1106, «loco Arcamariane», quindi a Camerano nel Novarese, ma oggetto della vendita fu una casa posta in Vercelli «ad loco ubi dicitur via Caligaria, non multum longe de eclesia Sancti Eusebii»). Segnalo qui che alcune annotazioni sulla moneta a Vercelli nel XII secolo si trovano nel lavoro di P. Mainoni, Un’economia cittadina nel XII secolo: Vercelli, in Vercelli nel secolo XII, Atti del quarto Congresso storico vercellese (Vercelli, 18-20 ottobre 2002), Vercelli 2005, ppp. 311-352, in particolare pp. 324 sg. Sulla moneta in Monferrato si veda ora M. Matzke, La monetazione in Monferrato ed i primi denari monferrini, in La moneta in Monferrato tra Medioevo ed Età Moderna, Atti del Convegno internazionale di studi (Torino, 26 ottobre 2007), a cura di L. Gianazza, Torino 2009, pp. 35-57 (sulla fase di circolazione del denaro pavesi in particolare pp. 42-45).
  4. BSSS 70, p. 82, doc. 68. Su questo importante documento si veda da ultimo A. Barbero, Vassalli vescovili e aristocrazia consolare a Vercelli nel XII secolo, in Vercelli nel secolo XII cit., pp. 230 sgg.
  5. Cfr. qui oltre nel testo e, più avanti, il par. 6. Cfr. d’altra parte Capobianchi, Il denaro pavese cit., pp. 24 sg.
  6. BSSS 70, p. 83 sg., doc. 69. È possibile che questo documento vada ricondotto al dicembre 1112: reca infatti la sesta indizione, come il documento citato alla nota 36. La sostanza del discorso tuttavia non muta.
  7. «Si quis vero episcopus aut comes vel castellanus seu archivillicus atque gaustaldus inquietaverit vel molestaverit aliquem tesaurarius vel eorum rusticos in ea terra abitantibus, episcopus et comes componat nomine pene centum marcas argenti, alii vero sexaginta, medietatem camare regie, aliam cui iniuria inlata erit. Si quis vero teusorarius suprascriptus porticus non cooperuit, componat nomine pene libras decem denarii novi episcopo qui pro tempore erit».
  8. Cfr. H. Groneuer, Caresana. Eine oberitalienische Grundherrschaft im Mittelalter 987-1261, Stuttgart 1970 (Forschungen zur Sozial- und Wirtschaftsgeschichte, 15).
  9. BSSS 70, p. 84, doc. 70 (1115 marzo 30): va qui rilevato che l’attribuzione di un valore disgiuntivo al vel presente nella frase citata a testo le toglierebbe qualsiasi plausibile significato.
  10. Cfr. oltre, testo relativo alla nota 66.
  11. Vale a dire la nova moneta brunitorum pavese, che Caffaro scrive iniziò a circolare a Genova nel 1102 (Annali genovesi cit., I, p. 13). È interessante notare qui una circostanza che in genere gli interpreti omettono: al momento della divisione del bottino successiva alla presa e al saccheggio di Cesarea di Palestina (maggio 1101), a ciascuno degli ottomila uomini dell’esercito genovese vennero distribuiti quarantotto soldi computati in moneta pittavina. A questo passo tiene subito dietro quello relativo all’inizio della coniazione della nova moneta brunitorum. Si veda tuttavia M. Matzke, Die sieben Kreuzfahrermünzen und das Papstum, in «Schweizer Münzblätter», 44 (1994), pp. 13-19.