Per la storia della cultura italiana in Rumania/II. Pietro Metastasio e i poeti Văcărești/5. Le rappresentazioni del "Catone" e della "Didone"

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II. Pietro Metastasio e i poeti Văcărești - 4. Periodo di decadenza - Traduzioni incomplete e citazioni frammentarie III. Per la fortuna del Teatro Alfieriano in Rumania
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5. Le rappresentazioni del „Catone“ e della „Didone“.

Il 28 aprile 1835, l’Albina românească usciva col seguente annunzio: „M. Paulo Cervati ténor, que les amateurs de la musique italienne ont admiré dans la pièce de „Caton en Utique”, engagé par des raisons de famille de séjourner quelque temps dans cette capitale (Jassy), se propose de donner des leçons [p. 282 modifica]de chant. On peut apprendre son adresse au théâtre”. Quali fossero le „ragioni di famiglia” del signor Cervati non avremo noi l’indiscrezione d’indagare. Si tratta probabilmente d’un eufemismo, sotto il velo del quale a noi par vedere un accenno a condizioni finanziarie poco rigogliose, o, con maggiore verosimiglianza, una excusatio non petita del suo prolungato soggiorno nella capitale della Moldavia in attesa d’un’occupazione onorevole che forse fin d’allora gli si era fatta intravvedere come possibile. Ci conforta in quest’ipotesi l’apprendere che facciamo dal Burada1 come l’anno appresso egli occupasse nel Conservatorio filarmonico-drammatico di Jassy2 la cattedra di musica vocale. Ma non è questo quello che ci preme assodare, sibbene la rappresentazione del Catone di Utica, della quale non ci è riuscito trovar altre notizie all’infuori dell’accenno contenuto nell’annunzio citato. Poi che il Cervati fu la prima volta a Jassy l’il aprile del 1833, quando, di passaggio, dette una recita straordinaria di qualche scena isolata del Barbiere di Siviglia e dell’Otello, è lecito argomentare, che, se il Catone in Utica fu davvero rappresentato a Jassy, ciò avvenne fra il 1833 e il 1835 e con ogni probabilità in quest’ultimo anno, se l’avviso può riferirsi al successo ottenuto dal Cervati come a cosa recente. Ma si trattò d’una vera e propria rappresentazione? La qualità di tenore del Cervati ce ne fa dubitare e l’aver egli cantato altra volta solo scene staccate del Barbiere e dell’Otello ci conferma nel dubbio. Ad ogni modo il Metastasio c’entrava di sbieco, come autor del libretto, e qui sì tratta del Catone in Utica del Leo assai più che di quello del Metastasio3. Non ci resta dunque [p. 283 modifica] che far le nostre congratulazioni al virtuoso tenore che vi „furoreggiò“ e rassegnarci senza troppi rimpianti a ignorare i particolari dello spectacolo, cui dovettero far seguito critiche e commenti esclusivamente musicali e che perciò, anche se li possedessimo, non potrebbero avere grande interesse per noi. Si ha un bel dire, ma quando l’uva è troppo alta, è sempre un gran sollievo potersene consolare ripetendo il detto della vulpecula esopiana: Nondum matura est, nolo acerbam sumere! E in che peccaron bambini i poveri critici, „allor che ignara di misfatto è la vita”, perchè un tal sollievo debba esser negato proprio ad essi, che ne han più degli altri bisogno?

Assai più fortunati siamo per ciò che riguarda la Didone abbandonata, la rappresentazione della quale (avvenuta nel marzo del 1833, prima dunque dell’arrivo del Cervati a Jassy), riuscì così bene, da far nascere in un manipolo di giovani rumeni il patriottico desiderio di mostrar coi fatti, come il rumeno non fosse poi linguaggio sì rozzo, da non potersi usare a esprimere i più delicati e riposti moti dell’animo, come, per un curioso pregiudizio, si soleva allora affermare.

Bisogna dunque sapere, che il 1833 furoreggiava a Jassy una compagnia francese, che richiamava ogni sera al Teatro delle Varietà quanto di più eletto offrisse allora la gentile capitale della Moldavia, non esclusi molti giovani delle due colonie straniere più numerose, la tedesca e l’italiana, che, infiammati dai successi della compagnia francese, incominciarono con non [p. 284 modifica] minore successo a rappresentare, ciascuno nella propria lingua, opere italiane e tedesche. Sappiamo dal Burada, che codesti giovani erano, per la maggior parte, allievi di convitti privati, che, incoraggiati dai rispettivi direttori, ardirono salire sul palcoscenico, sicuri d’un uditorio ristretto e benevolo, che, nella peggiore delle ipotesi, avrebbe almeno apprezzato il tentativo. Un pubblico più largo c’è da scommettere che li avrebbe accolti a fischiate tanto a quell’epoca era poca in Moldavia l’importanza che si dava alle arti e specialmente a quella del teatro. Si cominciò dunque alla chetichella con un dramma tedesco intitolato: Timur Can dei Tartari, che a me ricorda quello del Casti: Cublai Gran Can de’ Tartari (del quale in fin dei conti non sarebbe strano che fosse un rifacimento o magari una traduzione) e si seguitò con la Didone abbandonata del Metastasio. Il primo fu dato a beneficio di un signor Herfner, maestro di cappella della guardia moldava e direttore d’orchestra; il secondo a beneficio di un signor Livaditi, che aveva il merito d’aver dipinto le scene e la sala del teatro. Recite dunque assolutamente disinteressate da parte dei giovani filodrammatici, e che alla compagnia francese non potevano per nessun verso dispiacere. Dell’una e dell’altra rappresentazione ci dà notizia l’Asachi nel no. 21 (27 marzo 1833) della sua Albina românească, dove, a proposito della Didone, possiamo leggere il resoconto che segue: „Il secondo (dramma ad andare in iscena) fu il dramma italiano dell’immortal Metastasio, intitolato: La Didone abandonata (sic) che fu rappresentata a beneficio del signor Livaditi, il bravo decoratore del nostro teatro. La signora Livaditi nella parte di Didone ed il signor Kemingher in quella di Selene, seppero produrre nel pubblico la migliore impressione per la conoscenza perfetta che mostraron di possedere sia dell’arte della scena, sia della declamazione (recitazione teatrale) degli armoniosi versi del Metastasio. Il signor Nicoleti (sic) interpretò la parte dii Jarba con facilità piena d’intelligenza e di fuoco e similmente il signor Livaditi fece del suo meglio per contribuire al successo della rappresentazione italiana, che, facendo saltare agli occhi dei patriot non immemori (della loro origine latina) le simiglianze che corrono fra l’una lingua e l’altra, ha fatto rinascere il desiderio di veder sulle scene qualche opera (scritta e recitata) nella lingua della patria”. [p. 285 modifica] Il „patriota non immemore” era, com’è chiaro, proprio lui Asachi, che, meglio di ogni altro, poteva rilevare le affinità numerose fra le due lingue sorelle, essendo stato più anni in Italia4, e conoscendo la lingua italiana a segno da scrivere in essa in italiano madrigali, sonetti e canzonette5 sin troppo riuscite dal lato della forma, pur nella loro insipidezza arcadica, perchè possiamo crederle tutta farina del sacco suo; e, con ogni probabilità, codeste sue parole appunto dovettero destare nell’animo della gioventù moldava il desiderio di emular sulla scena i loro coetanei tedeschi e italiani. Sappiamo infatti dal Burada6, che queste rappresentazioni dei giovani dilettanti tedeschi e italiani destarono il desiderio dei dilettanti moldavi di prodursi sulla scena con opere recitate in lingua rumena” e che „aspettavano con impazienza di poter mostrare al pubblico di Jassy che anche la gioventù moldava poteva elevarsi alla medesima altezza di quella straniera”. Ma la cosa restò per allora allo stato di puro desiderio. Recite di dilettanti rumeni ce ne furono, ma in francese, come lo stesso Burada è costretto ad ammettere, e, salvo un tentativo fatto il 1819 al Teatro della Fontana Rossa di Bucarest, la lingua rumena dovrà aspettare la fondazione della Società Filarmonica e del Teatro Nazionale per salire definitivamente agli onori della ribalta, e ciò doveva avvenire a Bucarest per opera di Ioan Heliade Rădulescu, e non a Jassy, malgrado la prima idea ne fosse balenata ad Asachi. Habent sua fata libelli! E questa volta il fato era che, non al tenero abate, ma al fero allobrogo toccasse l’onore di tenere a battesimo il nascente teatro rumeno, destinato da Heliade a infranger le catene di un secolare servaggio e bisognoso perciò del ruggito di libertà del leoncello alfieriano, più che delle ariette leggiadre del Metastasio7. [p. 286 modifica]

Con le quali parole non intendo, naturalmente, detrarre al merito grandissimo che pur ebbe questo elegante poeta, del quale, a dir del Văcărescu, la poesia italiana s’è adornata, ma soltanto rilevare, in omaggio alla verità, come, intorno al 1833-35, il suo teatro non fosse più all’unisono col sentimento generale e le idee dominanti così in Rumania come altrove8. Ciò spiega, come, mentre fin dal 1784 e dal 1797 la Clemenza di Tito e l’Achille in Sciro9 fossero già tradotti, nessuno se ne ricordasse [p. 287 modifica] quando, dopo il 1830, il teatro rumeno cominciò ad affermarsi, che anzi il primo non vide neppur mai la luce per le stampe10. Del resto sottoscrivo di gran cuore alle belle parole del Galletti, colle quali mi piace chiuder questo capitolo sulla fortuna del Metastasio in Rumania, memore delle piacevoli ore trascorse nella lettura delle soavi scene dell’Attilio Regolo e della Didone, quando non ancora codesto tristo mestiere di critico mi rubava alla compagnia consolatrice dei più alti spiriti che abbiam mai onorato e reso sopportabile questo nostro misero mondo: „Lo squisito, il sottile, il melodioso genio metastasiano offerse non all’Italia soltanto, ma si può dire a tutti gli stranieri capaci di sentimento poetico, in una coppa elegante e delicatamente cesellata un sorso di quella poesia, una goccia del filtro magico e persuasore di sogni, di cui parevano allora dovunque esauste le fonti. I limiti della sua fantasia e del suo sentimento parvero angusti alle generazioni che vennero poi: e veramente egli non fu che il poeta dell’amore, delle contraddizioni, delle illusioni, delle disperazioni amorose; stese un velo di sospirosa o giocosa melodia sulle varie e sottili complicazioni di questo tema eterno dell’arte umana, ma qui egli fu veramente poeta: il poeta più vario e delicato che l’Europa abbia avuto in quel secolo: l’erede e il successore legitimo, sebbene meno profondo e civile, del Racine11.




Note

  1. Cfr. Arhiva, XVII (1906), p. 34 e n. 2.
  2. Il conservatorio fu inaugurato solennemente il 15 novembre 1836 e si può argomentare, che, fin dall’anno prima, i promotori avessero posto l’occhio addosso al tenore italiano per affidargli la cattedra in questione.
  3. Nell’avviso si parla infatti di „amateurs de la musique italienne”.La cosa è tanto chiara che potrebbe persino sembrare ozioso l’insisterci. Bisogna però tener presente che molte volte la stessa compagnia rappresentava a un tempo drammi e opere in musica. Ce ne fa fede il Filimon (Ciocoii vechi și noi) a proposito della compagnia Dilli-Steinfels che fu la prima a fare una tournèe in Rumania, e recitò al Teatro della Fontana rossa fondato a Bucarest da Domnitza Ralù. (Cfr. Cap. XX: Teatru în țara românească, pagine 178-79 dell’edizione „Minerva”, București, 1902). „Puțin însă după aceia [dopo cioè che Domnitza Ralù ebbe trasformato in teatro la sala da ballo della Fontana rossa] veni in București un antrepenor de teatru melodramatic cu o trupă formată astfel în cât să poată reprezinta tragediĭ, drame, comediĭ, și chiar opere”. [„Poco dopo questi avvenimenti giunse a Bucarest un impresario di teatro melodrammatico con una compagnia formata in modo da poter rappresentare tragedie, drammi, commedie ed anche opere in musica"]. E poco dopo: „Repertoriu.... se compunea din cele mai frumoase producțiuni dramatice și opere muzicale ale școlilor italiană și germană; dar piesele care întâmpinau o primire mai favorabilă în publicul teatrului nostru erau: Saul, Pia de’ Tolomei, Briganziĭ și Faust, precum și operile: „La gazza ladra, Moise in Egipt, Cenerentola, Flautul magic, Idomeneu, și câteva altele... cele trei opere dintâi de Rossini, iar celelalte de Mozart”. [„Il repertorio si componeva delle migliori produzioni drammatiche ed opere in musica delle scuole italiana e tedesca; ma quelle che ottennero sul nostro teatro maggior successo furono: il Saul, la Pia de’ Tolomei, i Masnadieri e il Faust, e, tra le opere in musica, La gazza ladra, il Mosè in Egitto, la Cenerentola, il Flauto magico e l’Idomeneo, le prime tre del Rossini, le altre due di Mozart“].
  4. Di Asachi e della sua dimora in Italia ha tempo fa trattato Elena Bacaloglu in un suo articolo Bianca Milesi e Giorgio Asaki, pubblicato nella Nuova Antologia del 1-o settembre 1912.
  5. Pubblicati quasi tutti nella rivista romana: Il Campidoglio.
  6. Cfr. Arhiva, loc. cit.
  7. Cfr. nella Gazeta Teatrului del 1836, n. 12, p. 96, l’interessante campagna condotta da Ioan Voinescu II e Barbu Catargiu contro le pochades, le farse, ...satirele personale, comediile lipsite de spirit, dar pline de fatalitați, scrierile reci alcătuite fară stil, fără miezul, fără un țel moral și o formă estetica”, che „înlocuiau splendorile luĭ Voltaire, luĭ Shakespeare, luĭ Alfieri, luĭ Molière, luĭ Kotzebue, ori Schiller pe scena noastră, care, ca și publicul, aveà nevoe de lècuri sufletești întăritoare, nu de îndemnuri la amăgiri și la desfrîu” [„...le satire personali e le commedie prive di spirito, ma piene di falsità, male imbastite, senza stile, senza capo nè coda, senza fine morale e senza forma estetica”, che „sulla nostra scena, bisognosa (come il pubblico nostro) di medicine morali corroboranti, non di eccilamenti alle illusioni e alla sfrenatezza dei costumi, avevan usurpato il posto agli splendori del Voltaire, dello Shakespeare, dell’Alfieri, del Molière, del Kotzebue e dello Schiller”].
  8. L’Albina românească infatti, che, pochi giorni prima, annunziava l’arrivo a Jassy di un „Mr. Avanzo, jongleur italien avantajeusement connu dans les principales Capitales de l’Europe”; a qualche numero di distanza, crede invece doversi occupare del „fameux Mazzini” e di „autres membres de la Giovine Italia”, che, „repandaient partout des proelamations signées par le gouvernement provisoire révolutionnaire, tendantes à exciter le peuple à la révolte. Mais comme les habitants ne prenaient aucune part à ce mouvement et eroe Romarino [leggi naturalmente: Ramorino] avait appris le mauvais résultat de l’expédition, il abandona ses gens et se sauva sur le territoire de Genève”. Da Mr. Avanzo a Mr. Mazzini; dal successo ottenuto dal giocoliere italiano „dans plusieurs maisons distinguées” di Jassy, all’esito infelice della spedizione di Savoia! Un vecchio mondo di virtuosi che scompare colle sue boriuzze, le sue miserie, le sue vergogne, un mondo nuovo che nasce e par soccombere nei primi tentativi di sovrapporsi al vecchio!
  9. Ad una rappresentazione (almeno progettata) dell’Achille in Sciro mi farebbe però pensare la lista dei personaggi, che, nell’esemplare posseduto dall’Accademia Rumena, porta le traccie di due diverse distribuzioni delle parti:

    obrazile comedii

    [Puică] LICOȘIΔ împăratul Schirii Aresti
    [Debenor] ACHILEFS în haine femeiești numit
    [Anah] PIRA și ibovnicul Deidamii Debenor
    [Debenor] ΔEIΔAMIA fiica lui AICOMIΔ și ibovnica lui Achilefs Popescu
    [Puică] OΔIΣEFS, solul elinesc Puică
    [Zisso] THEAGENI Domnul Colchidi logodnicul Deidamii Vrana
    [Gesti..] NEARH paznicul lui Achilefs Gestian
    [Vrana] ARCAΔIE credinciosul lui Odisefs Popescu
  10. Le medesime ragioni valgono a spiegare come Budai-Deleanu non continuasse la traduzione che aveva intrapresa del Temistocle. Cfr. il citato articolo di G. Bogdan-Duică, Despre Țiganiada, ecc., in Convorbiri Literare, XXXV (1901) p. 484, n. 3.
  11. Cfr. la recensione cià citata del Galletti al volume del Maugain sull’evoluzione intellettuale dell’Italia dal 1657 al 1750 nel Giorn. st. d. lett. it., LVIII, 221