Per la storia della cultura italiana in Rumania/III. Per la fortuna del Teatro Alfieriano in Rumania/4. Apprezzamenti e giudizi intorno all'arte di Vittorio Alfieri

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4. Apprezzamenti e giudizi intorno all’arte di Vittorio Alfieri.

Emilio Bertana — con lui ho cominciato, con lui mi piace di finire — apre il ventesimo capitolo (La Gloria) della sua bella monografia, con le seguenti parole: „Chi oggi loda l’Alfieri poeta, pensa, anche se non le ha mai lette (cosa che purtroppo avviene), alle sue tragedie. Ebbene; all’Alfieri tragico qual gloria arrise, e quanta glie ne resta? O, a dir meglio, per quali vicende passò la fortuna del suo celebre teatro? Chi scriverà codesto interessante capitolo di storia letteraria, dovrà mettere in chiaro che forse mai si dette un altro prodotto d’arte, su cui la critica abbia potuto esercitarsi con minore impaccio di preoccupazioni extraestetiche e di preconcetti perturbatori del giudizio”, visto che anzi „il poeta stesso subì l’influsso di tali preoccupazioni e preconcetti, e la critica, anche per le speciali circostanze dei momenti storici, in cui più s’esercitò intorno alle opere di lui, non potè liberarsene che troppo rare volte”1. Orbene „preoccupazioni extraestetiche e preconcetti perturbatori del giudizio” ce ne furono naturalmente anche in Rumania, dove, come in Italia, il successo dell’Alfieri fu in realtà un successo politico assai più che letterario. Anche in Rumania la musa dell’Alfieri „spronò i deboli e gli esitanti alla lotta”, „giovò a formare una coscienza nazionale, attizzò ne’ cuori ancor sonnolenti l’amore d’una patria indipendente ed unita”2. Nessuna dunque delle critiche cui, in Italia è fuori, fu fatto segno il suo teatro, trovarono eco sulle rive del Danubio latino, dove l’Oreste, il Filippo II, la Virginia e più di tutte il Saul non riscossero che lodi, per quanto espresse in modo da far dubitare, se non della sincerità, certo della oggettiyità di chi le pronunziava. Ciò appare tanto più degno di nota, quanto meno può ritenersi probabile che delle critiche mosse all’Alfieri proprio nulla fosse trapelato in Rumania. Qualcosa intanto avrebbe dovuto saperne l’Asaki, del quale abbiamo altrove ricordato il non breve soggiorno in Italia e l’amore che lo avvinse ad una delle più ferventi ammiratrici dell’Alfieri. Inoltre molte eli tali critiche compaiono, frammezzo [p. 347 modifica]a lodi ispirate a criterii, per non dir altro, strampalati e a paragoni.,.., per non dir altro, ridicoli 3 sì nella Prefazione che il Pètitot premise al primo volume delle sue Oeuvres dramatiques de V. A. 4, che nelle note aggiunte alle singole tragedie. Tutto ciò, senza contare che, data la conoscenza che Heliade, Aristia e Negruzzi avevano della letteratura tedesca, par strano che fossero allo scuro delle critiche mosse all’Alfieri in Germania [p. 348 modifica] dal Platen5 p. es. e da W. A. Schlegel6. In fatto che di tali critiche nulla trapeli dagli articoli che in quella occasione furono scritti nei varii giornali letterari a me sembra non si possa spiegare colla sola ignoranza in cui gli autori di quelli potevano trovarsi delle cose italiene, poi che tali critiche dilagarono in Francia più che altrove e allora, come oggi, i rumeni erano perfettamente a cognizione di qualunque cosa si stampasse o si pubblicasse in Francia. Due ragioni fortissime — di opportunità l’una e l’altra — dovettero ai patrioti rumeni, che in quegli anni si servivano con tanta abilità della letteratura per iscuotere dal sonno i dormenti, consigliare il silenzio su quelle critiche, e cioè in primo luogo il fine patriottico che si proponevan raggiungere (cui non sarebbe certo giovato il porre in discussione quelle medesime tragedie, ad ammirar l’arte delle quali invitavano il pubblico); in secondo luogo il rispetto e l ’ammirazione, che ognuno allora tributava a Heliade, onde il più piccolo accenno a un qualsiasi difetto delle tragedie da lui fatte rappresentare al Teatro Nazionale sarebbe sembrata un’offesa a quei sentimenti di simpatia per tutto ciò che riguardasse la l’Italia e la sua letteratura, che tutti sapevano essere tanto a cuore di quella simpatica e veneranda figura di letterato e di patriota.

Ciò posto, non ci meraviglieremo nè della scarsa messe di giudizi che ci verrà fatto di raccogliere nè della banalità delle lodi che quasi tutti contengono.

D’altronde i giudizi riguardano quasi esclusivamente il Saul „tragedia grandiosa, magnifica quanto è possibile (immaginare)”, come la chiama Aristia nella dedicatoria a Heliade (La prieten [p. 349 modifica] meu) esortandolo ad ammirare „come parlano i poeti pontefici e imperatori (del regno delle lettere), sulla cui fronte posa la corona del genio che solo il Creatore può concedere ai miseri mortali”, e la Virginia „dell’immortale tragico Alfieri, argomento patriottico, argomento romano, tradotta da un cosmopolita e offerta a un rumeno (I. Văcărescu) degno de’ suoi maggiori per ingegno, per cuore, per patriottismo”.

Il merito dell’Alfieri sta tutto qui. „Più che di eccelsa poesia”, non posso trattenermi dal ricordare le belle parole del Farinelli, che sembrano scritte apposta per noi, „la nazione aveva bisogno di parole incendiarie, più che di artistiche riproduzioni della vita tranquilla e contemplativa, di cenni a movimenti rivoluzionarii”7. Tragedia d’argomento patriottico, d’argomento romano era la Virginia: che importava il resto? Per Aristia essa valeva, in quanto tale, assai più di qualsivoglia altro capolavoro dell’arte tragica ispirato a criterii di pura bellezza; valeva, forse e senza forse, più del Saul medesimo, cui non tocca che la fredda lode che può contenere l’aggettivo di „grandioso” o di „pomposo”. La questione estetica insomma non si poneva: Alfieri era sì il patriarca de’ tragici italiani, uno di quei poeti sommi (imperatori e pontefici della Poesia) sulla cui fronte posa la corona del genio, che solo Iddio può dare ai poveri mortali; ma solo in quanto le sue tragedie insegnavano a


schiavi spregiare ed aborrir tiranni;


perciò la sua fama si accettava, non si discuteva.

Nessuna dunque delle questioni, cui il teatro alfieriano dà luogo, poteva in tali condizioni d’animo e d’ambiente interessare; nè la sostituzione dei monologhi ai dialoghi coi confidenti, nè l’esclusione dei sentimenti teneri, nè la voluta durezza del verso.

Discutere intorno a tali quisquilie sarebbe a quei tempi sembrato un delitto di lesa patria, o, quanto meno, un bizantinismo di fannulloni, una insopportabile e colpevole pedanteria. „Constructii robuste” si espresii energice” notava forse Aristia nella poesia dell’Alfieri, e alle difficoltà offertegli da tali [p. 350 modifica] caratteristiche dello stile alfieriano aveva forse il pensiero, quando asseriva, che nessun’altra lingua al mondo si presta meglio della rumena a tradurne di simili dal greco antico, dall’italiano e da altre lingue; ma il suo pensiero è così poco chiaro, il suo ragionamento così fuorviato dalla preoccupazione polemica, che non possiamo dedurne nulla di specifico e di concreto; neppure, a mo’ d’esempio, che il traduttore si fosse accorto di quelle determinate caratteristiche di robustezza e d’energia nello stile delle tragedie dell’Alfieri. L’impressione che riportiamo dalle sue parole è ch’egli non faccia in esse che estendere all’italiano (e dall’italiano al greco antico e ad altre lingue, che non sappiamo neppure quali si fossero) le caratteristiche più appariscenti dello stile alfieriano; che, insomma, movendo dall’Alfieri, la cui poesia sembrava ad Asaki „tanto sublime, adorna ed eccellente”, da riuscir quasi impossibile al traduttore rumeno di renderla nella propria lingua, senza usare di una tal quale libertà d’interpretazione; Aristia si proponesse ribattere all’avversario che non soltanto la poesia dell’Alfieri, ma qualunque altra, in qualunque altra lingua, offrisse uguali difficoltà di traduzione e presentasse uguali caratteristiche di robustezza e di forza; poteva assai bene tradursi in rumeno senza troppo scostarsi dal testo. Questa l’impressione che le parole di Aristia fanno a me; ma, dato pure che fosse quella di tutti i miei lettori; chi mai potrà assicurar loro e me che la cosa sia andata per l’appunto come crediamo?

Un giudizio meno generale, sembra darci del Saul l’Asaki nell’articolo più volte citato; ma, anche qui, che valore potremo attribuire a un tal giudizio, quando sentiremo lodare una tragedia dell’Alfieri nientemeno che di semplicità? quando ci accorgeremo, che, abituato a lodar la dolcezza della lingua italiana, ci parlerà dell'armonia del verso alfieriano? Ecco le sue parole, dalle quali non risulta in fondo che una grandissima e incondizionata ammirazione per l’Alfieri:

„Quest’opera (il Saul) è una delle più classiche e più difficili tragedie dell’Alfieri, che ha scolpito nel tempio di Melpomene imprese immortali. Ivi si veggono fantasmi d’innamorati della patria che ad essa si son sacrificati, di uomini virtuosi che hanno sofferto per la verità, fantasmi di vendetta e di amore tradito, curvi sulle tombe, facenti risonar l’aria di gemiti commoventi, [p. 351 modifica] che spronano, incantano, soggiogano il lettore, lo muovono a sdegnarsi o gli strappali le lagrime dagli occhi”.

Come, nella Virginia, Aristia non vedeva che „una tragedia d’argomento patriottico, una tragedia d’argomento romano”; così Asaki non vede, nel Saul, che „immagini d’amor patrio”, evocanti fieri fantasmi di giovani eroi sacrificatisi all’idea, „schiere infinite di martiri della verità”. Tutto quello che nel Saul non c’è, o per lo meno occorre molta buona volontà per vederci. Ma nel nome dell’Alfieri — lo abbiam visto — si era combattuto (1836) e si combatteva (1844) una grande eroica battaglia di libertà, in cui il Saul era stata la bandiera attorno alla quale i patrioti rumeni s’erano stretti e ordinati all’assalto! Ora una bandiera non è che un simbolo, ed un simbolo è pur sempre un’astrazione del nostro spirito, che non regge alla critica fredda della ragione, ma ha le sue radici profonde nel sentimento. Non possiamo perciò rimproverare ad Asaki e agli altri rumeni del suo tempo, di non aver posta — trattandosi dell’Alfieri — la questione estetica. „La grandezza vera dell’Alfieri”, — ben dice Arturo Farinelli, — „consiste nell’azione possente che il poeta ha esercitato, al pari del Rousseau, sulle posteriori generazioni, nell’incitamento che n’ebbero il Parini, il Foscolo, lord Byron, il Platen, il Leopardi, il Manzoni, il Mazzini, il Prati ed altri, infinitamente più che nel suo carattere eroico, magnificato fuor di misura, e nel valore poetico delle sue opere”.8

Noi siam lieti di poter aggiungere ai nomi del Byron e del Platen quelli di Heliade, di Negruzzi, di Aristia, di Asaki a mostrar l’influsso che la poesia del nostro tragico esercitò fuor dei confini della penisola; mentre, per ciò che riguarda l’arte del poeta, ci contentiamo che ad Asaki sia parsa qual’è veramente, e quale Alfieri la volle:


senza pari, nella lingua d’Italia!”.



Note

  1. Bertana, op. cit., p. 546.
  2. Cfr. Arturo Farinelli, Vittorio Alfieri nell’arte e nella vita, in Rivista d’Italia (ottobre 1903), pp. 541 e 545.
  3. Come p. es. quello, da cui il povero Schiller esce conciato così male. Cfr. l'Examen de ’Filippe II’ a p. 439 del vol. IV: „De nos jours un poète allemand, nommè M. Schiller, auteur de plusieurs pièces, où le brigandage, la rèvolte eontre les autoritès lègitimes, la haine desinstitutions sociales, sont èrigès en vertus, a fait un gros volume de Dialogues, auxquels il a donnè le nom de dom Carlos, tragèdie. Jamais le cynisme philosophique n’est allè plus loin...” e faccio grazia al lettore del resto. L’Alfieri invece „n’est tombè dans aucun des dèfauts du poète allemand. Le pian de sa pièce est tracè avec sagesse et règularitè; son style, peu correct et peu formè, a cependant de la force, de la rapiditè et de la noblesse” ecc. ecc.
  4. Oeuvres dramatiques du Comte Alfieri, traduites de l’italien, par C.-B. Petitot, A Paris, chez Giguet et Michaud, imprimeurs-libraires, 1802 (an. 10). Che, intorno ai tempi, dei quali ci occupiamo, quest’opera fosse nota in Rumania, è cosa assai probabile. Tre volumi (manca proprio quello che contiene il Saul e la Virginia) ne possiede la Biblioteca dell’Accademia Rumena e proviene da quella di A. Odobescu (1837-95). Ora, visto che dopo il 1844 della corrente italianista troviamo tracce sempre più deboli, e dell’Alfieri in particolare non si parla più, è da pensare che l’acquisto di quei volumi risalga a un periodo di tempo anteriore e coincida assai probabilmente con le rappresentazioni del Saul del 1836. Siamo confermati in questa nostra opinione dalla seguente considerazione: che pare assai probabile che A. Odobescu abbia ereditato quei volumi dal padre, il generale Ion Odobescu vissuto appunto ai tempi (1793-1857), nei quali in nome di V. Alfieri si combattevano le note battaglie letterario-politiche al Teatro Nazionale. Orbene, Ion Odobescu fu precisamente quegli che, il 19 giugno 1848, entrò nella sala delle deliberazioni del governo provvisorio costituitosi dopo i moti rivoluzionarii di quell’anno ed arrestò Heliade e gli altri che vi si trovavano. Ufficiale nell’esercito russo era entrato con questo in Rumania e col medesimo grado di colonnello era passato a far parte del nuovo esercito. Il 1836, quando si rappresentava il Saul al Teatro Nazionale, era aiutante del Principe Ghica, onde non par strano, date le sue tendenze russofile, che in quel diavoleto suscitato dalle rappresentazioni del Saul e della Virginia' avesse pensato a procurarsi una traduzione francese delle tragedie dell’Alfieri, per vedere un poco che specie di merce si fosse il teatro del nostro astigiano, legale o di contrabbando, e poter dare in buona coscienza... russa un buon consiglio al suo augusto padrone.
  5. Cfr. A. Farinelli, op cit., pp. 544-5: „Aridità sconfortante rinfacciano all’Alfieri i tedeschi, specie nel tempo del grande e ricco entusiasmo per i drammi del Calderon. Il Platen lesse, verso il 1819, il Timoleone, e nei Tagebücher chiamò il dramma „insipido, asciutto, scabro e privo d’intrinseca profondità”. El mayor encanto amor, El castigo eri tres venganzas del Calderon, lo affascinavano, quando proponevasi di leggere l’Alceste dell’Alfieri, ma trovò che, accanto all’esuberanza delio spagnuolo, „la semplicità piemontese” appare „scipita”. Sovra ogni altra tragedia gli piacque la Mirra: „l’insieme però commuove e scuote il cuore ben poco... La fantasia manca quasi da per tutto”.
  6. Strano, che, mentre lo Schlegel accusa l’Alfieri di antimusicalità e gli rinfaccia, seguendo il pregiudizio de’ contemporanei anche italiani, „le più gravi dissonanze”, in Rumania sì riconoscesse invece l’armonia e la musicalità del verso alfieriano. Cfr. Farinelli, op. cit., p. 548.
  7. Farinelli, op. cit., p. 545.
  8. A Farinelli, op. cit., p. 549.