Piceno Annonario, ossia Gallia Senonia illustrata/Capitolo V.

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Capitolo V.

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CAPITOLO V.


Città di Alba.


Di una Città del Piceno Annonario non solamente ignota al Cluverio, ed a tutti i moderni antiquarii, e Geografi, ma sino al Colucci, che impiegò quindici vasti volumi per trattare delle Antichità Picene, ed al P. Cimarelli, che fece la Storia della Gallia Senonia, presentemente mi accingo a parlare ripetendo quelle cose, che dissi in una mia lettera diretta al Sig. Conte D. Giovanni Sabbioni Canonico Penitenziere della Metropolitana di Fermo, e bibliotecario della libraria pubblica di detta Città. È vero, che fu nominata dal Cellario, ma però in confuso, e nulla seppe precisare, come può osservarsi nelle seguenti di lui parole: tandem et Alba in Piceno a Procopio memoratur1 circa urbem albam in Picenis sitam. Balbus ibidem2 Albensis ager locis variis limitibus intercesivis est adsignatus. Si Albam ad Fucinum lacum intellexit, Piceni fines nimium laxos habuisse oportet, e null’altro dice. Gli autori Marchegiani, che nominarono Alba, furono secondo il Nintoma3 alcuni Cronisti Fabrianesi, che la situarono in Albacina Castello di Fabriano indotti dalla somiglianza del nome, e dal non trovarsi Alba in altra parte del Piceno. Il Lili li seguitò, ed il Turchi4 lo confuta, e crede, che Alba [p. 63 modifica]nominata da Procopio fu l’Alba de’ Marsi. Il P. Scevolini5 dopo aver narrate le antichità ritrovate presso il Castello di Albacina crede, che esse appartennero non alla Città di Tufico, che ignora, ma ad Alba, e così dice ― Da questo, che qui scrive Procopio, siamo costretti dire, che nella Marca fosse una Città, e Città di grandissima importanza, la quale fosse domandata Alba. Ora fra quante o Città, o Terre, o Castelli della Marca sono al presente in piede, niuna ve n’è, la quale abbia questo nome, nè anco di quelle, che o al tempo de’ Goti, o de’ Lombardi furono distrutte, alcuna serba tal nome nella memoria degli uomini studiosi dell’antichità. Adunque bisognerà, che non avendo altro nome questa, di cui ragioniamo, di lei intenda Procopio. Tanto più, che il Castello in questo luogo edificato è detto Albacina nome diminutivo di Alba. Volendo inferire quelli, che gl’imposero tal nome, che dalla famosa, e gran Città di Alba questo piccolo castello trasse l’origine = Eppure nell’anno 537 di nostra salute non solamente era in piedi, ma era una città assai florida, come si ricava dal seguente passo di Procopio6

„Arrivando in Roma una moltitudine di milizie, Belisario avendo mandati a svernare i soldati a cavallo nelle vicinanze di Roma, comandò, che Giovanni figlio della sorella di Vitaliano colla sua cavalleria andasse nella Città di Alba situata nell’Agro Piceno, e che ivi svernasse con ottocento soldati a cavallo. Inviò con lui quattrocento soldati delle coorti di Valeriano, ai quali comandava Damiano figlio della Sorella di Valeriano, ed ottocento de’ suoi scudieri persone bellicosissime, ai quali diede per capi Sutano, ed Abigino, che erano armati di asta, e loro ingiunse, che seguissero Giovanni, a cui dati aveva i seguenti ordini, cioè, che osservasse cogli inimici [p. 64 modifica]le convenzioni fatte, finchè vedesse, che eran quieti. Se mirasse, che rompevano la triegua, piombasse all’improvviso con tutto il suo esercito nel Piceno, invadesse tutti i luoghi di tale provincia, e colla prestezza nell’opprimere gl’inmici la sua venuta prevenisse la fama; mentre era noto, che in quelle parti erano pochi i Goti, militando tutti sotto Vittige contro Roma, e che vi eran rimaste soltanto le donne con i ragazzi. Procurasse con tutta diligenza, di ridur tutti quanti in servitù, e di saccheggiar tutto: ma si guardasse di non portar danno a sudditi dell’impero. Se poi fosse giunto in qualche Città popolata, o ben fortificata, tentasse con tutto lo sforzo di ridurla in suo potere: che avendo espugnato un forte, corresse subito ad invaderne un’altro, e che per quanto gli fosse possibile non si lasciasse dietro alle spalle alcuna Città inespugnata ..... Avendo Belisario ingiunte tali cose a Giovanni, lo fece partire col suo esercito = Siegue a dire Procopio, che rotta la triegua, Giovanni si partì da Alba, ed inondò il Piceno, e lo mise a ferro, ed a fuoco nell’anno 537. Le crudeltà, che commise, furon quelle, che gli fecero dare il soprannome di Sanguinario da alcuni Autori. Disfece l’esercito di Ulitheo, Zio di Vittige, lo uccise, prese Aterno, ed Ortona, ed avendosi lasciato dietro Osimo, ad Urbino Città ben guarnite contro gli ordini di Belisario, s’impadronì di Rimini, in cui fu assediato da’ Goti, e sarebbe ivi perito, se non gli fosse stato dato soccorso contro i suoi meriti. La risoluzione di ajutarlo fu fatta in Fermo, ove Belisario, e Narsete avevan posti i quartieri d’inverno. Ma non mandando l’Imperadore Giustiniano rinforzi a Belisario, i Goti s’impadronirono di nuovo dell’Italia, e Totila assediò Ascoli, e Fermo, e le espugno.

Nè solamente Procopio ricorda Alba, ma ancora Appiano Alessandrino, e da esso si rileva, che fu vicino a Sentino. Ecco le di lui parole.7 „Il principio [p. 65 modifica]della presente guerra fu questo. Erano nella Città di Alba due Legioni di Lucio Antonio, tra le quali nacque grandissima discordia, e cacciati i capi loro, fecero segno di volersi ribellare. Ottaviano, e Lucio accelerarono di prevenire l’un l’altro in tirare al suo partito le prefate due Legioni. Ma Lucio fu innanzi, il quale e con denari, e con promesse confermò i soldati nella fede. Dopo questo Firmio venendo con un altro esercito a Lucio, fu tra via assaltato da Ottaviano, e perciò Firmio tirandosi indietro si condusse la notte alla Città di Sentia, fautrice della parte di Lucio. Onde Ottaviano temendo in quella notte di non incorrere in qualche pericolo di agguato, aspettò, che il giorno apparisse, e la mattina seguente pose l’assedio a Sentia. Lucio prese la volta di Roma„. Si rileva dunque da queste parole, che Alba, di cui parla Appiano, è la Picena, perchè era vicina a Sentino, il quale appena fatto giorno fu assediato da Ottaviano, che nella notte per timore di non incorrere in qualche agguato, erasi fermato nella campagna aperta, posta tra Alba, e Sentino, cioè nel distretto della Parrocchia ora detta di S. Giovanni.

È vero, che nel testo anche greco di Appiano, che volli rincontrare, non leggesi Sentino, ma Sentia: ma che per questo? È troppo visibile l’errore fatto dagli Amanuensi, non si può dubitare, che questi non barattarono la parola di Sentino in quella di Sentia, e si rileva da Dione8. Questi racconta, come Appiano, i principii, ed i progressi di quella guerra, che fu chiamata poi Perugina, e come è proprio degli storici, tralascia, o aggiunge alcune circostanze, che non furono narrate da Appiano. Ecco le di lui parole„ Norcia è una Città de’ Sabini. Cesare prima di ogni altro si accostò ad essa coll’esercito, e fugato il presidio, che ivi aveva il quartiere, e respinto dalla Città da Tisieno Gallo, e sceso nell’Umbria, con inutile [p. 66 modifica]sforzo assediò la Città di Seutino. Frattanto Antonio avendo mandati occultamente i suoi soldati in Roma a’ suoi amici sotto diverso pretesto, egli all’improvviso sopraggiunse, ed avendo vinta la Cavalleria, che gli andò incontro, ed avendo cacciati i soldati a piedi entro le mura, s’impadronì della Città, perchè i soldati, che aveva premessi assalivano entro i difensori di Roma, non resistendogli in alcun conto Lepido, a cui era affidata la custodia della Città, perchè era un’uomo per natura inetto, nè il Console Servilio, perchè era troppo amante della quiete. Avendo Cesare sapute tali cose, ed avendo lasciato Q. Salvidieno Rufo per espugnare Sentino, marciò verso Roma. Antonio poi partì da essa, prima della di lui venuta, essendosi adoprato, che come da un decreto gli fosse ingiunto di partire per la guerra . . . . Essendo andato via, come dissi, Cesare da Sentino, ed essendosi C. Furnio, che presedeva a tale Città, discostato lungi da essa per perseguitarlo, all’improvviso Salvidieno dando un assalto alia Città la prese, la saccheggiò, e le diede fuoco„ Seguita poscia Dione a dire, come Appiano, che L. Antonio si ritirò in Perugia, e che ivi fu assediato da Ottaviano. Da queste parole evidentemente si deduce, che Sentia di Appiano è Sentino di Dione, perchè ambedue raccontano la stessa guerra.

Non solo però si rileva ciò da Dione, ma ancora da Frontino, e mi servirò dell’edizione fatta in Amsterdam nell’anno 1661 colle note di Roberto Keuchenio. Ivi leggesi9: ager Sentino oppidum limitibus marittimis, et montanis lege triumvirali assignatus est, et loca ejus haereditario jure populus accepit. Parlandosi di bel nuovo di tale agro10 si dice. Sentis oppidum. Ager ejus limitibus marittimis, et montanis lege triumvirali est assignatus, et loca haereditaria populus ejus accepit. Finitur sicut consuetudo est regioni [p. 67 modifica] Piceni. Ognuno vede, che Sentis è Sentino, e che gli amanuensi come guastarono tal parola in Appiano, cosi la corruppero in Frontino perchè la divisione del di lei agro è la stessa con i medesimi confini, che erano in uso nella provincia Picena. Inoltre essendo Sentia di Appiano Città dell’Italia, nè presentemente, nè per lo passato ha esistito mai nell’Italia alcuna Citta, che avesse tal nome. In Cesare trovasi la parola Sontiates, che eran popoli nella Guascogna. In alcune edizioni leggesi in Sotiatium fines exercitum introduxit .... oppidum Sotiatium oppugnare coepit11, in altre Sentiatium, e Sontiatium. Questi popoli sono nominati anche da Plinio12, e da Ateneo13, e non rimanevano nell’Italia, ove fu Sentia nominata da Appiano

Nello stesso Frontino trovasi Alba segnata in mezzo alle Colonie Picene, ed ecco la divisione del di lei territorio. Albensis ager locis variis limitibus intercisivis est assignatus: terminis vero Tiburtinis, qui Cilicii nuncupantur, et in limitibus constituti sunt. Aliis vero locis sacra sepulcrave, vel rigores, quorum ratio distat a se in pedes CCCCL, et infra, et quam maxime limitibus est assignatus. Terminatio autem ejus facta est VI Id. Octob. per Cilicium Saturninum centurionem cohortis VII, et XX mensoribus intervenientibus, et termini a Cilicio Cilicii nuncupantur. Haec determinatio facta est ab Orfito Seniore, et Quinto Scitio, et Prisco Consulibus, che secondo il Muratori14 eran consoli nell’anno 149. dell’era Cristiana. Fra tante misure degli agri delle Città, che riporta Frontino, niuna è più solenne, e specificata di questa. Non solo ricorda il giorno, il Mese e l’anno in cui fu fatta, ma ci fa sapere, che fu posta in esecuzione da Cilicio Saturnino Centurione coll’intervento di venti agrimensori.

[p. 68 modifica]Nel libro intitolato juris civilis antejustinianei reliquiae pubblicato da Monsig. Mai Prefetto della Biblioteca Vaticano così si legge15 Dat. IIII Kal. sept. ap. FF. ad Correctorem Piceni Aquileia. Accepta XIIII Kal. Oct. Albae Constantino Aug. III Conss. e detto editore nella nota dice. Ap. FF. num explicandum apud Fiscum Frumentarium? Albae nominatim Piceni unus fortasse hactenus meminerat Procopius16. Da ciò chiaramente si rilevano due cose. La prima è, che il Piceno Annonario era governato dal Correttore, come dissi. La seconda, che egli risedeva col suo consiglio in Alba, e che questa era il Capo-luogo, ossia Metropoli del Piceno Annonario montano nell’anno di Cristo 313, come del Piceno annonario marittimo sarà stata Pesaro, Fano, o altra Città. Imperocchè da Frammenti di Ulpiano, e dalla parafrasi greca di Teofilo si deduce, che i giudizj solenni non si facevano senza l’intervento del consiglio composto da venti giudici, e che per la ragunanza di questi consessi, che si chiamavan Conventi, si sceglievano tre, o quattro, e più Città a misura dell’estensione della provincia, e situate in modo, che qualunque parte della provincia ad esse fosse vicina. Il tratto di paese subordinato ad ognuno di questi Conventi, che noi chiamiamo ora Contado, Delegazione, appellavasi Diocesi avanti Costantino. Ma osserviamo ove fu Alba.

Tra Sassoferato, e Rocca Contrada, ora Arcevia, e di rimpetto all’alto Monte detto Cameliano, e precisamente tra le Parrocchie di S. Giovanni, di S. Stefano, di S. Donnino, rimane un Colle chiamato Civita Alba. È lontano da Arcevia quattro miglia, cinque da Sassoferrato, che risorse dalle rovine di Sentino, come dissi, e sei dal Castello della Genga. E inaccessibile dalla parte di mezzo giorno, e di ponente; ma è ameno, e fruttifero dalla parte di tramontana, e di levante. Non vi si osservano ruderi, perchè sono seppelliti: [p. 69 modifica]e nell’esaminare tal sito non altro vidi, che gli avanzi delle mura della Fortezza, la quale era molto vasta, ed i campi seminati di tegole, di altri rottami. Veniva in mia compagnia il Sig. D. Biagio Severini Parroco di S. Giovanni, con cui ho dell’amicizia, ed alcuni Contadini, e questi indicandomi i siti mi dicevano: in questo luogo sono stati trovati condotti di piombo: qui sotto resta una chiavica: in quel sito rimane un pavimento di mosaico: in quell’altro muri grandi. Qui anni sono si affondò il terreno. Vi discesero tre persone, e vi trovarono alcune camere. Essendo giunti alla terza, loro parve vedere una persona in piedi, che stava appoggiato al muro, e che moveva la testa. Impauriti fuggirono senza andare più innanzi, e due di essi si ammalarono per la paura. Il terreno ha ricoperto ora l’adito, ma sapendosi il sito, ora subito si ritroverà, se si scaverà. Dicendomi essi, che la tradizione di quei luoghi affermava, che ivi fu una Città, e chiamandosi ora tal monte col nome di Civita Alba: ecco dissi l’Alba Picena nominata da Procopio, e da Appiano. Tal tradizione rimane in Sassoferato, ed in Arcevia, la quale trasse l’origine dalle rovine di Alba, e di Pitulo, perchè rimane in mezzo a queste due distrutte Città. Non si può dunque dubitare, che ivi fu una Città, perchè lapides clamant, e che si chiamò Alba, perchè cosi nominasi anche presentemente, e così ci dice la tradizione, che vale più di una lapide, in cui si leggesse il di lei nome. Imperocchè non può credersi falsa, o ivi portata, come potrebbe credersi di una pietra, se ivi esistesse.

Penso, che fu chiamata Alba, perchè essendo il monte, sopra cui torreggiava, composto di sabbia, non solamente comparisce bianco nel luogo, ove fu Sentino, in cui bene si scorge, ma ancora altrove dalla parte di mezzogiorno, e di ponente. Dalla parte poi di levante, e di tramontana il terreno cosi non appare, ed è fertile, e la Città rimaneva quasi in perfetto piano. Siccome i Siculi, al dir di Plinio, non solo occuparono il Piceno, ma anche la Gallia togata; [p. 70 modifica]così penso, che Alba da essi riconosca l’origine. Erano soliti questi imporre i nomi a’ luoghi secondo la qualità, o la figura, che formava il terreno. Piegandosi la spiaggia, in cui sorge Ancona, a guisa di gomito, la chiamarono Ancon, che significa gomito secondo Pomponio Mela, e S. Agostino. Cacciati dal Piceno, ed essendosi fissati secondo l’Alicarnassense, nelle vicinanze di Roma chiamaron Albula il fiume Tevere, perchè le sue acque sono sempre di un color biancastro, ossia di sabbia. Secondo T. Livio, ed Ovidio17 fu chiamato poscia Tevere, perchè ivi si sommerse Tiberino Re di Alba longa, mentre lo passava

Abula, quem Tiberim mersus Tiberinus in undis
Reddidit, hibernis forte tumebat aquis.


e Plinio18 Tyberis ante Tybris appellatus, et prius Albula.

Tralasciando le Città chiamate Alba, che sono fuori dell’Italia, quattro ne rimanevano nella nostra penisola, e tutte avevano il soprannome, affinchè uno le distinguesse. La prima rimaneva nel Lazio, e chiamavasi Alba longa ora Albano19.

Albaque ab Ascanio condita longa duce.


La seconda rimaneva nè Marsi presso il lago di Fucine, e denominavasi Alba Marsorum, ora Alba, che si ridusse a Castello: la terza nella Liguria di là dal Po, vicina al Tanaro, e si diceva Alba Pompeja: la quarta Alba Picena, che distrutta essendo rimane nella Marca di Ancona. Questa deve aggiungersi ne Lessici, nelle geografie, e carte, che trattano dell’Italia antica. Nel medio evo la Città di Alba erasi ridotta ad un Castello chiamato Cavalalbo, di cui era padrona la famiglia Federici, la quale fece la dedizione di esso ad Arcevia l’anno 1226, come può vedersi nel libro intitolato le scienze ec. ravvivate in Arcevia 20 D. Fridericus Friderici dat suos homines, et castra Cavalalbi, et Col della Noce D. Tholesendo Ugolini consule.

Note

  1. Lib. 2. Goth. c. VII.
  2. P. 120.
  3. Let. 3.
  4. De Eccl. Camerin. p. 5.
  5. Antich. Picene T. XVI. p. 37.
  6. Lib. 2. c. 7. de Bello Gothor.
  7. De bel Civil. lib.
  8. Lib. 48. p. 368.
  9. Pag. 343.
  10. Pag. 365.
  11. De Bel. Gal. l. 3. c. 14.
  12. Lib. 4. c. 14.
  13. Lib. 6.
  14. Thesaur. ve. inscrip. p. CCCXXX
  15. Pag. 10.
  16. Got. lib. 7.
  17. Lib. 2 Fast.
  18. Lib. 3. c. 5.
  19. Tibul. l. 2. Eleg. 5.
  20. Pag. 170.