Piceno Annonario, ossia Gallia Senonia illustrata/Capitolo VI.

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Capitolo VI.

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Capitolo V. Capitolo VII.
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CAPITOLO VI.


Città di Tufico.


La testimonianza di tre classici Autori ci toglie ogni dubbio, che nella sesta Regione dell’Italia composta dall’Umbria, e dall’Agro gallico secondo la divisione di Augusto vi fu una Città chiamato Tufico. La prima è di Plinio Seniore, che in tal regione annovera i Popoli Tuficani. Trebiates, Tuficani, Tibernates1. La seconda è di Tolomeo, che dividendo per più chiarezza le Città dell’Umbria in quelle degli Umbri, che sono sopra i Toscani, ed in quelle de’ Volumbri, che sono più orientali degli Umbri, pone Tufico in quelle degli Umbri, Aesis, Tuficum, Perusia. La terza è di Balbo Mensore, che dice Tuficum oppidum iter populo debetur pedibus LXXX. Ager ejus ea lege continetur, qua et ager Ateiatis. È vero, che nell’edizioni di questi Autori leggesi Tussicani, Iuficum, ed altre voci consimili. La sorte però ha voluto, che presentemente esistano lapidi antiche, in cui rimane TVF. TVFIC. TVFICANI, come in appresso si osserverà, le quali, che fecero i copisti de’ nominati Scrittori in tale parola.

Diversi sono i pareri de’ moderni geografi circa il sito, ove fu questa Città. Il Cluverio sospettò, che rimaneva ove ora è la Fratta di Perugia. L’Olstenio lo corresse, e la pone tra Matelica, e Fabriano circa a due miglia lontana dall’antico Attidio. Alcuni la collocano sopra le rive del Cesano, e pretendono, che sia Corinaldo: altri nelle vicinanze di Roccacontrada. Il Sarti nella storia de’ Vescovi di Gubbio la pone2 vicino ad Albacina presso il fiume Esi. Il Turchi nella Storia della Chiesa di Camerino3 asserisce, che le rovine di Tufico sono nella valle di Matelica, nella riva [p. 72 modifica]del fiume Esi distanti da Attidio non per due miglia, come asserisce l’Olstenio, ma per cinque: che ivi sono state scavate alcune iscrizioni antiche, nelle quali leggesi il nome di Tufico: che altre furono scoperte dalla corrente del fiume, e recentemente divulgate da’ Collettori, e conclude finalmente, che il Poggio corrottamente detto Ficano fu il Poggio Tuficano. Il Colucci4 seguendo il parere del Nintoma asserisce, che fu tra le Città di Matelica, e di Fabriano in una pianura del territorio di Albacina, lungo le sponde del fiume Giano, in distanza di un miglio circa da detto castello, due dal sito, in cui si veggono le rovine di Attidio, e quattro da Fabriano. Nel sentire tal diversità di opinioni mi volli portare nel breve viaggio, che feci, in tal luogo, ed osservarlo cogli occhi miei. Mirai dunque, che la Città di Tufico era situata nella pianura di Albacina lontana da detto Castello quasi per un miglio, e propriamente sotto quel luogo, in cui il fiume, che viene da Matelica5 [p. 73 modifica]si unisce al fiume Giano. A Ponente in distanza di miglia quattro era lontana da Attidio, a levante in distanza di miglia quattro da Castel Ficano: a mezzo giorno in distanza di miglia sei da Matelica: a tramontana in distanza di miglia quattro da Pierosara, e che Fabriano le rimane a ponente in distanza di cinque, e piu miglia, e la Genga tra Ponente, e Settentrione in distanza di miglia cinque. Avverto, che queste miglia non sono misurate, ma sono secondo il linguaggio de’ popoli di quelle vicinanze, i quali a me sembra, che hanno le miglia troppo lunghe. Imperocchè interrogandoli della distanza, che vi era da un luogo all’altro, mentre viaggiava, notai, che non finivano mai quelle poche miglia, che mi avevano dette. Ivi dunque si mirano gli avanzi di detta Città. Il fiume Giano o l’intersecava, o bagnava le sue mura. Il ponte odierno di detto fiume riposa sopra rottami di colonne, che furono poste per fondamenti, ed il pieno della Città rimaneva di rimpetto al diruto fabbricato dell’antico Ospedale dedicato a S. Maurizio, e Lazzaro. Il fiume Giano poco lungi dalla Chiesa di S. Vittore si unisce al fiume Sentino, che esce dalla divisa Montagna di Frasassi, e dopo questa unione prende il nome di Esi. Da Tufico si vede la Montagna di Frasassi, perchè non le rimane molto lontana, e così la piccola chiesa della Madonna dell’Acquarella situata sopra un monte alpestre, ove i Padri Cappuccini tennero il primo lor Capitolo Generale l’anno 1529, come narra il Vadingo6, in cui elessero il primo loro Vicario Generale, che fu Fr. Matteo da Basso. Questo monte è porzione del Monte altissimo detto S. Vicino, che si vede in tutta la Marca, e sotto di cui rimane Albacina, il quale a’ tempi di S. Pietro Damiano, che visse nell’undecimo Secolo, chiamavasi Suavicino, come egli narra nella vita di S. Romualdo. Non può dubitarsi, che in tal luogo sorgeva una Città, perchè le colonne, le medaglie, le lapidi, gli aquedotti, [p. 74 modifica]i pavimenti di mosaico, che sono stati sino ad ora scoperti, e che di tanto in tanto si ritrovano, ciò ci dicono. Similmente non può dubitarsi, che ivi fu Tufico, perchè nelle lapidi ivi trovate leggesi tal nome.

Il Nintoma crede, che il fiume Giano, che bagnava le mura, o passava in mezzo a Tufico, e che viene da Fabriano, sia stato così chiamato, perchè il console Decio quando sagrificò sè stesso agli Dei Mani cominciò la sua preghiera dall’invocare questo Dio, come racconta T. Livio. Iane, Iupiter, Mars pater, Quirine, Bellona, Lares, Dii novensiles, Dii indigetes: Divi, quorum est potestas nostrorum, hostiumque: Dii Manes, vos precor, veneror etc. Ma oltrechè il luogo, ove Decio fece tale preghiera è lontano, come dissi dal fiume Giano: non è credibile, che fu chiamato col nome di una divinità, che egli invocò, quando non pregò quella sola, ma Giove, Marte, Bellona. Al più poteva chiamarsi fiume della preghiera, se fosse vero, che Decio in tal luogo orò, o pure il nome di Giano avrebbe avuto il fiume sin da quel tempo. Al contrario la prova più antica, che il Nintoma riporta nella sua terza lettera7 è un verso di Leonora della Genga, che visse a’ tempi del Petrarca.

Di Smeraldi, di perle, e di Diamanti.
Copra il tranquillo Giano ambe le sponde.

Perchè dunque tal fiume fu così chiamato? Ce lo dice lo stesso Nintoma nella stessa lettera8 = E siccome i fiume, i quali hanno lo stesso nome colle Città, che bagnano, o da esse lo pigliano, o ad esse lo danno, come a ciascuno pratico della Geografia può esser manifesto: così la dinominazione di Giano al fiume è sempre antichissima. Imperocchè se l’ha presa dalla Città detta Faberjana, ella è antica colla medesima, se alla Città lo ha dato, la denominazione sarà più antica di essa = Se dunque i fiumi hanno lo stesso nome colle Città, che bagnano: così quel fiume [p. 75 modifica]ora detto Giano anticamente fu chiamato Tuficano, perchè bagnava Tufico. Il di lui nome fu col tempo adulterato, come fu corrotto il nome del fiume Suasano, che bagnava Suasa, e fu detto Cesano, lo che si rileverà da quanto sarò per dire. Questo Giano dalla sua sorgente sino al luogo, in cui scaricasi nell’Esi, non bagnava altro paese fuori di Tufico, perchè Fabriano non esisteva; e siccome il Nintoma nella stessa lettera chiama fiume di Cerreto quello, che si scarica nel Giano immediatamente sopra Tufico, perchè scorre vicino a Cerreto, che io antecedentemente chiamai col nome di fiume di Matelica: così gli antichi imitando il Nintoma chiamarono Tuficano quel fiume, che ora corrottamente chiamasi Giano, perchè bagnava le mura di tale Città. Se questo fiume avesse preso il nome dalla Città detta Faberjana si doveva chiamare Faberjano, e non Giano. Se poi diede il suo nome ad essa, questa deve dirsi Giana, e non Fabriana. Mi stupisco, come mai egli, che è piuttosto critico, abbia approvati i detti di Paolo Merula, dello Scaldero, e del Riccioli, i quali pretendono, che debba dirsi in latino Faberjanum, ovvero Faberjana la Città di Fabriano. Dunque per questo motivo noi dovremo dire Tusculum janum, Lucullum janum, Tullium janum, Plinium janum, e che tali luoghi presero il nome dal fiume Giano, o dalla preghiera, che fece il Console Decio, come di Fabriano dicono i Cronisti Fabrianesi, cioè il De Vecchi, il Flori, il Lori, ed altri. Non possiamo dir questo, ma crediamo, che Lucullano, Pliniano, Tulliano furono così detti, perchè erano luoghi appartenenti, e fabbricati dai Luculli, dai Plinii, dai Tullii, come appunto il Carcere Tulliano in Roma così fu detto, perchè fabbricato da Tullio. Essendo state distrutte due Città, cioè Attidio, e Tufico, alcuni artefici fissarono la lor dimora nella pianura, ove sorge Fabriano, e vicina al fiume, che loro era opportuno, e giovevole. Coloro, che seguirono ad abitare in Attidio, e Tufico, e che ancor parlavano la lingua latina, chiamarono quel sito, ove [p. 76 modifica]erano andati ad abitare i loro Cittadini Fabriano, cioè luogo de’ Fabbri. Si deve riflettere, che Faber in latino è un nome generico, e significa artigiano: e che per fargli significare qualche mestiere in particolare vi è bisogno di un’aggiunto: v. g. faber aerarius, calderajo: faber ligniarius, falegname: faber ferrarius, ferrajo: faber aurarius, orefice: faber materiarius, carradore etc. Quindi non vi saranno andati i legnajuoli, i cuojaji, di manierachè a poco a poco ne venne un luogo insigne, e pieno di industria, e di commercio quale presentemente è Fabriano9. Difatti questi non avevano ivi il fonte Battesimale, ed andavano in Attidio a far battezzare i loro figli. Guglielmo II. Vescovo di Camerino nell’anno 1254 permette, che il fonte battesimale di Attigio sia trasferito in Fabriano, come lo prova il Turchi10 con un’autentico documento. Torniamo a Tufico. Fu Municipio, come ci dicono le lapidi, ed i Tuficani erano ascritti alla tribù rustica chiamata Oufentina dal fiume Ufente vicino a Terracina. Il Sigonio così ne parla11 Ufentinae testimonium nobile est apud Festum. Oufentinae tribus, inquit, initio causa fuit nomine fluminis Ufentis, quod est in agro Privernate juxta mare, et Terracinam, postea deinde a censoribus alii quoque [p. 77 modifica]diversarum civitatum eidem tribui sunt adscripti. Ma vengo a riportare le lapidi. Comincerò con quelle, che riguardano le divinità venerate da’ Tuficani, e che rimanevano nelle facciate de’ loro tempj. La seguente è incastrata nella Chiesa del Castello di Cerreto riportata nelle sue cronache dal Conte de Vecchi12

CERERI
ALMAE
SACRVM


Le due seguenti sono collocate nella Parrocchia di Albacina

C. CAESIVS C. F. OVF
SILVESTER P P
AEDEM VENERIS
S. P. P. S. F.
____________

AVG . SACRVM
GABINVS TRIB. MIL. CVR. VIAR
PROVINC. AFRIC. PAT. MVN. P. S. F.


Alle memorie dei tre Tempj, che rimanevano in Tufico indicatici dalle tre riferite lapidi, ne abbiamo una eretta a C. Caesio P. P. Pontefice perpetuo, ed il Morcelli13 avverte, che nelle lapidi è frequentissima la memoria de’ Pontefici municipali, sebbene non si trovi negli scrittori. Rimane in Albacina

C. CAESIO C. F. OVF.
SILVESTRI P. P.
PATRON. MVNICIP.
CVRAT. VIARVM
ET . PONTIVM . VMBRIAE
ET . PICENI . ALLECTO . AB

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OPTIMO . IMP . T . AELIO
ANTONINO . AVG . PIO .
PP . IMP . II
LIBERTI . PATRONO
OPTIMO . AC . DIGNISSIMO
L. D. D. D.


La seguente, che rimane nell’atrio del palazzo pubblico di Fabriano, ci dice, che L. Musetio era Pontefice Municipale, ed Augure, uno de quattro giudici, di Tufico, e Protettore di tre Città

L . MVSETIO
L . F . OVF
SABINO
EQVO PVBLICO
PATRONO MVNICIP .
TVFIC . ET MVNICIP .
ATTIDIAT . ET CVPRENS
MONT . PONTIF . AVGVR .
IIII VIR . IVRI DICVND .
DECVRIONES ET PLEBS
EX EPVLIS SVIS OB MER .
EIVS L. D. D. D


La seguente, che rimane nel Molino di Moscano, ci ricorda una Sacerdotessa delta Dea Feronia, che abitava in Tufico

CAMVRENAE
C. F.
CELERINAE
FLAM . FERONIAE
MVNICIPI SEPTEM .
MVNICIPI ET INCOLAE
TVF . VTRIVSQVE SEXVS
OB MERITA EIVS
H . A . I . R .

[p. 79 modifica]I Duoviri erano il principale magistrato di Tufico, come ci testifica la seguente lapide riportata dal Colucci14

T. AVRIDIO P. F. NICEPHORO
PRIMIPILO LEG. II. ADIVT. IN
. BELLO CONTRA
DACIOS AB INVICTISSI . IMP . NO
STRO TRAIANO
FELICITER PATRATO CAS
TRENSI CORONA DONATO
ET IN ORDINEM EQVIT . RO
MAN . ADSCITO
L . GALERIVS VAFER ET
C . CAESIVS LISIMACVS II VIRI
HVIVS MVNICIP . PATRON .
B . M . P . C . VI XAL . IVLII


In casa Mauruzi al dir del Nintoma esiste la seguente, che ci ricorda la carica di quatuorviro juridicundo

L . TIFANIO L . F .
OVF . MARCEL
LO EQVO PVB .
IIII VIRO IVR .
DIC. PATRONO
MVNICIPI
CAMVRENA C. F.


Le famiglie di Tufico sono ricordate dalle seguenti.

VOLTEIA SATVRNINA
ALFIANA F .


Era questo un Sepolcro largo circa due piedi, e lungo quattro, ed ora convertito per riporvi le reliquie [p. 80 modifica]di S. Venanzio essendo stata rasa l’iscrizione di Volteia etc.

__________
TIFANIAE L. FIL.
POLLAE
L. TIFANVS FELIX PATRON.
OPTIMAE


La seguente è rotta, e rimane in una casa di un Contadino posta nel luogo ove sorgeva Tufico. Rimane incastrata nel muro allo roverscio

. . . MV . . . . . .
ET SE . . . . . .
COLLEGIVM . . . . . .
TVFICANI ME . . .
. . . . . . . . . .
. . . . . . . . . .
. . . EX PECVNIA SVA
ET MOX HONESTA EPVLAT .
VNIVERSOS PROSECVT .
. . . IVS DIGAT DECVRION

Tralascio alcune altre, perchè non sono intiere, e riportai la precedente, perchè stesamente in essa si legge il nome di Tufico.

Stimo col Turchi, e col Sarti, che Tufico ebbe la Cattedra Vescovile, e che S. Venanzio, il di cui corpo riposa in Albacina, fu Vescovo di detta Città, come ci accerta la seguente iscrizione riportata dal Sarti15

VT RESONAT PSALMVS JACET HIC VENANTIVS ALMVS
CORPVS NAM SANCTVM SATIS EST HIC GLORIFICATVM
IN STEPHANI FESTO FVIT INVENTVM BENE PRAESTO
ANNO MILLENO ET CENTENO SIBI PLENO
IPSE CVM PRIMO CORPVS SERVATVR IN HVMO'
AD CHRISTI VELLE FVIT INVENTVMQVE NOVELLE
NAN MANIFESTVM VENANTIVS IPSE VOCATVR'
EST ALBACINAE DATA SACRA SPESQVE MEDICINAE

[p. 81 modifica]Facendo rifare il pavimento della Chiesa il Sig. D. Paolo Gabrielli Parroco di Albacina, vicino all’altare maggiore in cornu epistolae lo ritrovò di nuovo li 14 Luglio 1823, come mi disse, e mi mostrò la lapide, che vi ritrovò, la quale così dice in caratteri gotici

IN NOMINE CHRISTI AMEN
A REPARATIONE DNI AN . MCXCVII
REGNANTE RIGO IMPERAT.
INVENI CORPVS BEATVM
VENANTII V . KAL . IVNII ET
HIC REQVIESCIT


Lungi circa a tre miglia da Tufico esiste anche a’ giorni nostri un’avanzo della Romana magnificenza, che il tempo, le guerre, la barbarie, la superstizione, e l’ignoranza non hanno saputo oltraggiare. È un tempio di non molta ampiezza situato alla destra del fiume Sentino alle falde della Montagna detta di Frasassi, o Valle Montagnana in un piccolo piano, chiuso da ogni parte da’ Monti, e da’ Colli. Ha tre navate, e Dorica è l’Architettura. Da quattro colonne è sostenuto nel mezzo un Torrioncello, il quale termina in catino di gotico disegno, come pure dello stesso modello sono le volte della nave. Ma queste gotiche fabbriche sono in data assai posteriore a tutto il corpo del tempio, e del Torrioncello, come giudicarono il P. M. Becchetti, e Gio. Antonio Antolini Architetto Romano, che lo esaminarono nell’anno 1784. Lungi trenta piedi dal tempio vi era anticamente un bagno medicinale. L’acqua, di cui in questo bagno facevasi uso, è indubitatamente quell’acqua minerale quasi perfettamente limpida, della gravità dell’acqua piovana, del colore dell’acqua comune impregnata di fegato di zolfo, e chiamata acqua solfatara, il di cui acuto odore si diffonde in tempo principalmente umido in distanza assai considerabile dalla sorgente, che è assai abbondante. Scaturisce alle falde di un’alto monte squarciato da capo a fondo, come in appresso dirò, chiamato monte di Frasassi, o Valle [p. 82 modifica]Montagnana, e poca lungi dal tempio. Alcuni condotti di terra cotta ritrovati sottoterra, che avevano la direzione verso il bagno, ed un canaletto scavato collo scalpello nello scoglio contiguo alla sorgente, al quale facevan capo gli accennati condotti, ne fanno una certa testimonianza. Trovansi inoltre sotterra alcuni rottami di pavimento fatto a modo di rete distesa, e composta da piccoli denti di marmo bianco, da tutti i quattro lati egualmente tagliato. Con avvedutezza il bagno fu costrutto in vicinanza della sorgente, acciocchè l’acqua sulfurea non perdesse di quel principio volatile aereo, di cui essa è dotata. Volesse il Cielo, che qualche valente chimico a vantaggio dell’umanità si prendesse la premura di analizzare la natura, le proprietà, e l’efficacia di tal’acqua. I contadini si servono di essa per liberarsi dalla rogna, e la bevono quando vogliono scaricare il lor ventre.

Come presentemente Nocera è celebre pe’ suoi bagni: così per essi dovette essere celebre anticamente Tufico. Penso, che il tempio, che ancora esiste, vi fu edificato, affinchè coloro, che andavano a bagnarsi, potessero esercitare commodamente gli atti di religione, e che era dedicato ad Apollo, o ad Esculapio, o alla Dea Sanità, a cui porgevano i ringraziamenti quei che dalle acque erano stati guariti. Da Cristiani fu dedicato questo Tempio al Martire S. Vittore, la di cui festa cade ai 14. Maggio, e nell’anno 1007. esisteva unito ad esso Tempio un Monastero di Monaci Benedettini, che nelle pergamene più antiche si appella fundo Victoriano, e di poi S. Victor de Clusis, forse perchè fu fabbricato dove la Valle si chiude. I Monaci nell’anno 1373 l’avevano abbandonato, e si erano ritirati entro Fabriano nel Monastero di S. Biagio, ove presentemente rimane il corpo di S. Romualdo Abate. Sono certo di non errare, se affermo, che i Monaci l’abbandonarono per le continue guerre, che un paese faceva contro l’altro, e per esser sicuri dalle rapine, e da’ saccheggi. Potrei in comprova addurre molti esempi: mi contento però di portarne uno solo. Il Saracini [p. 83 modifica]riporta un documento16, con cui i Monaci di S. Maria di Porto Nuovo di Ancona fecero istanza al Vescovo Niccolò de Ungaris di traslatare il loro Monastero entro Ancona nella Chiesa di S. Maria l’anno 1320. I motivi, che addussero per conseguir ciò, furono quia dictum Monasterium positum, et constructum est in loco deserto, et silvestri, et prorsus ab habitatione, et familiaritate hominum segregato, Abbas, et Monaci qui nunc sunt, et fuerunt pro temporibus in dicto Monasterio, multas impressiones, injurias, violentias, dirubationes, aggressiones, expensas gravissimas passi fuerunt, et patiuntur a Piratis, a Malandrinis, et Malfactoribus, et Monaci dicti Monasterii, et eorum fratres, et familiares in dicto Monasterio sine personarum periculo, damno, ac dispendio dicti Monasterii stare, morari, et habitare non possunt. Chi bramasse sapere più cose sopra tal Monastero, può andare a leggere il Mittarelli, e Costadoni negli Annali Camaldolesi, il P. Benedettoni, e Colucci17. Conchiuderò colle parole del P. Benedettoni = Si sono trovati sul dorso dell’Argano alcuni sepolcri scavati in terra arenosa assai compatta: e si sa, che gli antichi conoscendo l’asciuttezza, e la lunga durata dell’arena vi scavavano volentieri i sepolcri. = Io all’incontro dirò col Lanzi:18 era uso delle colonie lo scegliere o nè confini, o in luoghi men fertili un sito acconcio a’ sepolcreti, siccome si è osservato in Volterra, ed altrove, e come espressamente si legge in Flacco19 sepulchra in extremis finibus facere soliti sunt . . . et in locis saxuosis, et sterilibus. Quindi non mi stupsco, se i Tuficani portarono in tal luogo i loro defunti. Il presente Castello di Albacina era la fortezza di Tufico, perchè è poco lontano, ed una continuazione de’ muri da esso alla Città, ed i pavimenti di musaico intorno ad esso trovati così lo dichiarono. Per corso di venti anni fece tali indagini l’odierno Parroco Sig. Paolo Gabrielli.

Note

  1. Lib. 3. cap. 24.
  2. p. LXXXIV
  3. p. 47.
  4. Antic. Pic. T. 2. p. 210.
  5. Questo fiume, che si scarica nel Giano, ed il Giano, che poscia unito al Sentino forma il fiume Esi, chiamossi Esi anche esso. Nello Statuto di S. Anatolia fatto nell’anno 1344 così si legge. (In cap. de officii rub. de maleficiis) De reinveniendo cursu fluminis Exini: (quae rubrica sic se habet) Quoniam per increspationes etc. et varia impedimenta facta in flumine Exio etc. immo propter venae de Lavare is, a quibus dictum flumen principaliter habet ortum. etc. Così fu chiamato non tanto dalla Città di Jesi, che poscia bagna col portarsi nel mare, ma perchè anticamente la terra di S. Anatolia fu un Pago, o Castello chiamato Esa, in cui rimaneva un tempio di Giove Celeste, come ci testifica la presente lapide, che rimane nel Campanile della Pieve di S. Anatolia fedelmente riferita dal Muratori, il quale raggiunse nella prima linea le due lettere V. ed S. le quali due sole sono mancanti nella pietra, perchè è rotta

    NORTORI - - us
    N. F. POL.
    FEROX
    AESEA
    EVOCATVS AVG.
    IOVI CAELESTI
    V. S. L. M.


    Avendo poco sopra la sua origine il fiume, e passando vicino a tal tempio, ed al Pago di Esa, fu detto Esi, poscia fiume Tuficano nel confondersi, che faceva col Giano, e quindi riprendeva il suo primiero nome, perchè bagnava la Città di Iesi.

  6. Annal. Min. an. 1529.
  7. P. 11.
  8. P. 18.
  9. Il Turchi de Eccl. Camerin (p. 209) dice, che nella vita di S. Severino, e Vittorino, che trovasi nel Codice Palatino della Biblioteca Vaticana così leggesi: Innocentius vir sui nominis auctor adhuc, et unicus vicum Faverianum petens vidit noctis medio lucere silvas. Auctor secundae vitae S. Severini, et doctissimi ollandi (in act. SS. mens. Ian. T. 1. n. 11. p. 500) ajunt: Faverianum Fabrianum interpretatur nobile hac tempestate oppidum inter Sentinum, Camerinum, et Manthilicam, in cujus agro Attigio vicus in Attidii oppidi ruinis. Ex corruptione nominis Faveriani in Faurianum prius, mox in Fabrianum id potuit facillime evenire. L’etimologia di Fabriano, che dissi, è più semplice di questa, che riporta il Turchi, e per conseguenza è più verisimile. Lo stemma poi della Comune di Fabriano, che rappresenta un Ferrajo, che batte nell’Ancudine, ci dice, che prese il nome da’ Fabbri.
  10. P. 80.
  11. De Antiq. jur. Civ. Rom. c. 3.
  12. P. 79
  13. De stil. latin. inscript. lib. 1. p. 1. cap. 1.
  14. Antic. Pic. T. 2. p. 217.
  15. De Epis. Eugub. P. LXXXIV.
  16. P. 163.
  17. Antic. Pic. T. II. p. 240.
  18. Dis. di Pausola.
  19. Edit. Rigalt. p. 6.