Poemi italici/Rossini/Canto secondo

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CANTO SECONDO




I.



La Parvoletta volse gli occhi muta
alle sue stelle. Erano nuove ancora,
3ancora ansanti della lor venuta:

come quand’ella dirigea la prora
tra queste e quelle, stando presso al bianco
6timonier cauto che attendea l’aurora;

o quando sola era a vegliar tra il branco
ed i pastori: ella sentia crosciare
9le foglie secche ad un mutar di fianco.

Sola vegliava la crepuscolare
pia fanciulletta sulla terra oscura,
12soletta sull’irrequïeto mare.

Mirava in alto, alta gentile e pura.
Ed era pieno anche lassù d’erranti,
15navi sull’onde, greggi alla pastura;

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di lenti carri, d’uomini giganti,
pieno di draghi, pieno di chimere;
18e risonava anche lassù di pianti.

Vedeva dietro sartie nere o nere
quercie passare il cielo a poco a poco.
21Nascean le stelle al puro suo vedere.

Poi si spegneano come in terra il fuoco.
Raggiava allora qualche striscia viva
24come gli stami dentro fior di croco.

Era l’eternamente fuggitiva...
— Son come te: la prima: avanti giorno:
27rorida e fresca anche nell’afa estiva —

dicea fuggendo. - Fuggo sì, ma torno
sempre! — Ed il sole ecco appariva truce
30e solo; e tutti, con un guardo intorno,

traeva dietro il gran carro di luce.

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II.



E si scopriva, il mondo, a lei! Ma quanto
ella vedeva, ella voleva, piena
3di meraviglia, e lo chiedea col canto.

Tutto chiedeva l’esile Sirena
con dolci lodi: anche, prendeva andando
6una conchiglia od uno stel d’avena;

e vi soffiava l’alito suo blando,
che ciò che amava e trascorrea veloce,
9sostasse un poco, udisse il suo dimando.

Tutto fluiva verso la sua foce.
Ella ascoltava, ella cantava a prova
12gittando lor di terra la lor voce.

In mezzo a tanta meraviglia nuova
era quaggiù come l’uccello, attento
15da un ramo o di sulle sue tepide ova:

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studia e rifà le querule acque, e il vento
cupo, e la pioggia stridula, e, nel fine,
18lo sgocciolare cristallino e lento,

il crepito di scorze aspre e di pine,
i sussulti dell’eco ultimi, il frale
21fruscìo di frondi e sgrigiolìo di brine;

che impara a volo il sibilo dell’ale
sue stesse aperte... Anch’ella, sì, la romba
24dell’ale sue, la vergine immortale!

Fermava il volo sopra la sua tomba,
tremulo; appiè, gli accordi avea del mare
27che sciacqua, stride, squilla, urla, rimbomba.

Cantava ella, chiamando al lor passare
lo sciame, a sè, degli attimi disperso,
30e nel ronzante piccolo alveare,

libero, e suo, chiudeva l’Universo!

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III.



Ed ora è ancora, l’esile fanciulla,
quella che fu. Tutto le par novello.
3Ancor non parla; canta; e non sa nulla.

Tutto è fanciullo, tutto è suo gemello,
nato con lei; perciò le piace, e l’ama;
6e perchè l’ama, è così buono e bello!

Ell’è terrena verginetta grama,
ma il sole è pure della sua famiglia;
9e quando va, lo piange e lo richiama.

Sbocciano, dopo, sotto oscure ciglia
occhi ridenti. Sono le sue suore;
12tutta la notte ella con lor bisbiglia.

Qualcuna scende fino a lei: ne muore.
Ma le ritrova in mezzo alle corolle,
15essa, dei fiori, ancor tremanti il cuore.

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Tra fiori e fiori, in cielo e in terra, molle
di guazza anch’ella, muove tra il frastuono,
18de’ quattro fiumi, all’ombra del bel colle.

È il tempo primo, il primo tempo buono,
ch’è buona anche la Morte che deforme
21segue la vita come l’eco il suono.

Buona anche lei, la nera ombra senz’orme,
la vecchierella che sa dir le fole,
24trista bensì, ma che con quelle addorme!

Ognun la schifa. E la fanciulla suole,
benchè la tema, esserle pia: s’attarda
27spesso a sentire lunghe sue parole:

— C’è buio, sì. Non c’è che un lume, ch’arda.
Son io la guida del meandro vano;
30io cieca. E brutta... Non guardarmi! Guarda

solo il lumino. Io vo con quello in mano. —