Poesie (De Amicis)/All'ospedale

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Gli emigranti Miserie - Miseria
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ALL’OSPEDALE.


Scarna, con gli occhi da la febbre accesi,
Bianca nel volto come il suo guanciale,
Una donna languìa nell’ospedale
Incinta di sei mesi.

Lo sposo suo, corroso dal veleno
Dell’acquavite, un dì, bestia furente,
L’avea ridotta là quasi morente
Con un calcio nel seno.

Dalla fame consunta e dagli affanni,
Premendo appena il miserando letto,
Vecchia parea nel suo gentile aspetto
E aveva diciott’anni.

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Pur rassegnata e dolce, a quando a quando
Alzando al cielo i grandi occhi piangenti.
Al medico e a la suora in miti accenti
Parlava, sospirando.

« No, per il santo nome di Maria,
« Non è mia colpa, no, tenera suora,
« Se mio marito è in carcere a quest’ora;
« La colpa non è mia;

« Lui, poveretto, sì, lui fu imprudente
« A picchiarmi così fuor della porta;
« Piuttosto che tradirlo io sarei morta;
« Ma l’ha visto la gente.

« No, non è giusto ch’ei ne paghi il fio,
« Non era in senno nel compir quell’atto;
« Io sventata, l’offesi; egli è un po’ matto...
« Ci ho della colpa anch’io.

« Non è ver ch’ei m’ha tolta la salute
« A furia di tormenti e di percosse;
« È una menzogna; questa macchie rosse
« Son segni di cadute.

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« E non è ver ch’egli non m’abbia amore,
« Che sia un tristo, un feroce, un aguzzino;
« Se qualche volta mi maltratta.... è il vino
« Che gli perverte il core.

« E non è ver che giochi e vada attorno
« Ed io muoia di fame: egli lavora....
« Si sa; non campo come una signora;
« Ma ho del pane ogni giorno.

« E poi, che serve? Quel che è stato è stato;
« Non è la morte un mese all’ospedale;
« M’ha messa in letto: ebbene? È meno male
« Che se avesse rubato.

« Perchè mi guarda al collo impietosita?
« No, mi creda, sorella, io non l’inganno;
« Me la feci col fuso, è più d’un anno,
« Da me, questa ferita.

« Oh un anno fa, se avesse visto, suora,
« Che vita si facea queta ed onesta!
« Quando s’usciva insieme i dì di festa
« Fuori di Borgo Dora,

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« E s’andava pei campi all’impazzata,
« Io vispa e allegra come una gazzella,
« Lui contento e gentil con la sua bella
« Camicia ricamata,

« E s’avea cento scudi nel cassetto
« E tanta biancheria nova e pulita....
« Oh tornerà, se il cielo mi dà vita,
« Quel tempo benedetto.

« Io guarirò, mi renderà ’l suo amore,
« Staremo insieme, avremo un angioletto;
« E il bimbo nascerà senza difetto,
« Non è vero, dottore?

« Non vuol dir nulla, è ver, che da quell’ora
« Io non lo senta più mover nel fianco?
« S’intende: io son malata, il bimbo è stanco;
« Ma è vivo! oh è vivo ancora!

« Ah Suora, il dì che nelle braccia sue
« Vedrò ridere il bimbo, io n’andrò pazza;
« Ricanterò i miei canti di ragazza,
« Lavorerò per due,

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« Veglierò, patirò tutte le pene,
« Vivrò di pane, andrò coi piedi nudi,
« Per mettergli in disparte un po’ di scudi
« E per vestirlo bene!

« Ed ogni dì a quell’ora, al finestrino
« M’affaccerò, col mio lavoro in mano,
« E vedendo il mio sposo di lontano,
« Gli mostrerò il bambino;

« E lui risponderà con un sorriso....
« E vivremo così contenti e stretti
« Nel nostro nido appiccicato ai tetti
« Come in un paradiso.

« O il mio sposo dov’è? Caro dottore,
« Lei ch’è con me tanto amoroso e buono,
« Vada a dirglielo lei che gli perdono
« E che l’ho sempre in core.

« Pochi altri giorni ancora, e un’altra vita
« Comincieremo, se lo vuole Iddio,
« E avremo un bimbo.... O bimbo, o bimbo mio,
« Svegliati, son guarita!»

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Così disse, e col braccio scheletrito
Terse gli azzurri e dolci occhi stillanti,
E mostrò sorridendo i denti infranti
Dai pugni del marito;

Poi come assorta nel suo bel pensiero
Il volto reclinò bianco e sereno,
E la pia suora le posò sul seno
Un crocifisso nero.