Poesie (Eminescu)/LXIII. Epistola I

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LXIII. Epistola I

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Mihai Eminescu - Poesie (1927)
Traduzione dal rumeno di Ramiro Ortiz (1927)
LXIII. Epistola I
LXII. La preghiera di un daco LXIV. Epistola II
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LXIII.

EPISTOLA I.


Quando, colle palpebre stanche, la sera soffio sulla candela,
solo l’orologio seguita il suo viaggio sulla lunga strada del tempo;

poiché, quando scosto le tendine, e nella stanza
la luna versa su ogni oggetto la sua luce voluttuosa,

5quella luce fa sorger dalla notte del ricordo tutta un’eternità
di dolori, che noi sentiamo come in sogno, uno per uno.

O luna, signora del mare, tu scivoli sulla volta del cielo
e, ai pensieri dando vita, fai dimenticare il dolore;

migliaia di deserti risplendono al lume tuo verginale,
10e migliaia di boschi rivelan nell’ombra tremolio di sorgenti.

Su quante migliaia di flutti la tua signoria si stende,
quando navighi sulla mobile solitudine dei mari!

Quante sponde fiorite, quai palazzi e qual città,
avvolti nella tua luce mostri tu a te stessa!

15E in quante migliaia di case sei penetrata dalla finestra,
quante fronti chine dal pensiero, pensierosa hai guardate!



Ecco un re che ne’ suoi piani irretisce il mondo per un secolo,
mentre il povero a mala pena al domani può pensare.

Benché sorti differenti trasser fuori dell’urna del Destino,
20egualmente li governa la tua luce e il genio della Morte,

poi che schiavi ovver potenti, genii o idioti
trascinan tutti la medesima servii catena di dolore.

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Uno scruta nello specchio come inanellarsi il crine,
l’altro scruta il vero eterno nel tempo e nello spazio.

25Dalle pagine ingiallite toglie un altro fatti obliati
e nomi e date scolpisce sul rabój,

mentre il vicino dà legge al mondo calcolando dal suo banco
quanto oro il mare trasporta sulle sue navi nere.

Ecco là il vecchio Maestro, colla sua giacca consumata ai gomiti,
30che, sprofondato in un calcolo senza fine, somma e somma,

e, tremante di freddo, s’abbottona la vecchia zimarra sul petto,
nasconde il collo nel bavero e colla bambagia si tura gli orecchi.

Raggrinzito com’è, curvo e miserabile,
l’universo smisurato sta nel cenno del suo mignolo,

35poi che sotto la sua fronte il passato col futuro si fonde,
e la profonda notte dell’eternità ei la traduce in formule.

Come, nei tempi andati, Atlante reggeva il cielo sugli omeri,
cosi egli fa poggiare il mondo e l’eternità su di un numero.

Mentre la luna risplende sulle costole dei tomi,
40migliaia di secoli indietro lo rapisce il pensiero,

lo rapisce ai principi del mondo, prima dell' essere e del non essere,
quando ogni cosa era priva di vita e volontà,

quando nulla era ignoto, benché tutto fosse ignoto,
quando, inteso da sè stesso riposava il non-inteso.

45Fu voragine? abisso? immensa distesa d’acque?
Mondo conosciuto non ci fu, nè mente che lo conoscesse;

poi ch’era tutto una tenebra come un mare senza luna
e non potè vedersi, nè esistè occhio che lo vedesse;

l’ombra delle cose non fatte non aveva cominciato a diradarsi
50e, paga di sè stessa, dominava la pace eterna!

Di botto un punto si muove.... primo e solo! Eccolo
che del Caos si fa madre e lui diventa il padre,

e quel punto in movimento, assai men consistente d’un atomo di spuma,
è padrone assoluto, oltre i confini del mondo.

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55Da quell’attimo fino ad oggi, colonie di mondi perduti
sorgon dalle grige valli del Caos per vie non conosciute,

e, in sciami luminosi zampillando dall’infinito,
sono attratti nella vita da un desiderio senza fine,

e in questo gran mondo, noi figli del mondo piccolo
60fabbrichiamo sulla terra città di formiche,

nazioni microscopiche, re, soldati, imperatori,
succedendo gli uni agli altri e tenendoci per grandi,

moscerini effimeri su d’un mondo che si misura col
rotiamo nell’infinito, dimenticando affatto

65che questo mondo intero è un attimo sospeso,
dinanzi al quale e dietro non vediamo che tenebre.

Come danzano i corpuscoli nella luce di un raggio,
milioni di punti d’oro che muoiono collo sparir del raggio,

cosi nell’infinita, profonda notte dell’eternità
70abbiamo l’attimo, abbiamo il raggio della vita presente....

Spento il raggio, tutto muore come un’ombra nelle tenebre,
poi ch’è sogno inesistente il chimerico universo.


Al presente non si ferma la mente del filosofo,
che in un attimo vola innanzi per mille secoli:

75il sole, oggi si superbo, lo vede triste e consumato
nascondersi, come in una ferita, tra nere nuvole.

e i pianeti raffreddarsi e razzar ribelli nello spazio,
sottrattisi al freno della luce e del sole;

e i poli del mondo oscurarsi sprofondando nell’abisso,
80e cader tutte le stelle come le foglie d’autunno;

e il tempo morto stirare il corpo e divenire eternità,
poi che nulla più accade nello spazio deserto,

e nella notte del non-essere tutto cade, tutto tace,
poi che, paga di sè stessa, ricomincia l’eterna pace...

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· · · · · · · · · · ·

85Cominciando dai più bassi nella scala degli umani,
e salendo dove in cima stan le teste coronate,

li vediam tutti dall’enigma di lor vita tormentati
nè sappiam quali fra loro sono i più disgraziati....

Un sol uomo è in tutti, come una cosa sola è in tutte;
90al disopra d’ogni cosa si eleva chi può farlo,

mentre gli altri stan nell’ombra, col cuor pieno d’umiltà,
e si perdon nel mistero come spuma passeggierà;

che importa al Destin cieco ciò ch’ei pensano o desiderano?
Egli passa come il vento sulle stirpi degli umani!



95Lo felicitin gli scrittori, sia noto a tutto il mondo
qual vantaggio viene al vecchio Maestro da tutto ciò?

L’immortalità! mi direte, e, certo, tutta la vita
come l’edera all’olmo, egli a un’idea ha avvinta.

Quando morrò - dice tra sè - il mio nome di bocca, in bocca
100si tramanderanno i secoli e lo porteranno lontano,

in ogni tempo, in ogni luogo; nel cantuccio d’un cervello
troveranno col mio nome un ricovero i miei scritti!

Misero! ricordi forse tutto quanto hai veduto al mondo?
quanto è avvenuto ai giorni tuoi? quanto tu stesso hai detto?

105Quasi nulla! Qua e là qualche brandello d’immagine,
un’orma di pensiero, uno straccio di carta.

E se la stessa tua vita non la ricordi appuntino
si stilleran gli altri il cervello per sapere quale è stata?

Forse un pedante dagli occhiali verdognoli, fra un secolo,
110seduto fra i suoi tomi marci, marcio egli stesso,

l’atticismo della tua lingua vorrà pesar sulla bilancia,
e de’ tuoi libri la polvere soffierà via dagli occhiali,

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riassumendoli in due righe che finiscan col tuo nome
in una nota stitica, appiè d’un’arida pagina.

115Puoi creare un mondo intero, poi ridurlo in frantumi,
su ogni cosa si depone una zolla di terra,

e la mano, che lo scettro sognò un di dell’universo,
ed i pensieri, che tutto l’orbe abbracciarono e dominarono,

fra quattro assi troveranno sicuro ricovero e amico.
120Verran forse dietro la tua bara in funereo corteo,

splendido come un’ironia, con lo sguardo indifferente,
gli amici, i colleghi, le conoscenze, e.... i nemici,

e fra tutti sorgerà a parlare un vanitosetto
non a rendere onore a te, ma per metter sè in evidenza

125coll’aiuto del tuo nome: ecco quello che ti attende.
E.... vedrai! I posteri saranno anche più giusti:

non potendo elevarsi fino a te, credi tu che vorranno ammirarti?
Applaudiranno certo alla biografia ingegnosa,

che cercherà dimostrare che non sei stato un gran che,
130che sei stato come loro, e ciascuno ne sarà lusingato

di saper che non fosti niente più di loro,
e tutti le nari scimunite gonfieran nelle dotte adunanze,

quando di te sarà parola. Ci sarà l’intesa tacita
di lodarti a parole con una smorfia d’ironia,

ma, quando sarai caduto nelle mani d’un qualunque arfasatto,
135 ti emenderanno, e diranno ch’è male
                    
qualunque cosa essi non avranno capita,
e, per giunta alla derrata, cercheran col fuscellino

per trovar quante più macchie sarà possibile nella tua vita,
140e malignità e scandali pettegoli. Ecco quanto ti avvicina

a costoro. Non la luce che avrai versata sul mondo,
ma i difetti e le colpe, la stanchezza e la debolezza,

tutte insomma le miserie che sono in fatal modo
inerenti a un povero pugno di terra,

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145con tutte le incertezze d’un povero spirito tormentato;
più, assai più li attrarranno che quanto avrai pensato!

· · · · · · · · · · ·

Fra i muri e fra gli alberi che dai rami piovon fiori....
come spande la luna piena il suo calmo splendore!

E dalla notte del ricordo quanti desiderii evóca
150privi ormai del lor dolore e sentiti come in sogno,

poiché apre quella porta per cui entriam nel nostro interno
ed evóca mille ombre dopo spenta la candela....

Migliaia di deserti risplendono al lume tuo verginale
e migliaia di boschi rivelan nell’ombra tremolio di sorgenti.

155Su quante migliaia di flutti la tua signoria si stende,
quando navighi sulla mobile solitudine dei mari!

E su tutti quanti al mondo son soggetti al Destino
egualmente impera il raggio tuo e il genio della Morte!