Poesie (Mamiani)/Idillj/Manfredi
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MANFREDI.[1]
MDCCCXLIII
TO MISS ELLEN FRANKLAND
THIS IDYL
INSPIRED
BY HER SWEET SMILE
IS DEDICATED
BY
TERENZIO MAMIANI
I.
Parte del Coro.
Qual astro messaggero
Dall’Ionia marina,
Ed or ne s’avvicina
5Lento appoggiata al suo diletto amico,
Quale porpureo fior che sull’arbusto
Della mirra s’inchina?
Altra parte del Coro.
Chi è costei che incede
Con picciol passo di colomba, e spira
10Nove eritree fragranze;
Sembiante a profumiera
Che attorneggiando va per l’auree stanze
Delle nozze il banchetto,
E dolce allegra a ogni conviva il petto?
15Manfredi. Esci, diletta mia, unica mia;
Esci agli ameni campi,
Vientene meco per le ville intorno.
Già con timida voce
Cantato à l’usignuolo,
20E i fioretti del melo apron lor cime.
Dal sonno ecco si scuote
La terra e palpitante
S’accosta ai raggi dell’antico amante,
Che ardendo di più foco in lei s’infonde.
25Amiam, chè il ciel l’impone,
«L’ora del tempo e la dolce stagione.»
Elena. Non del nuovo usignuolo
La voce udii, ma solo
La tua voce, o diletto,
30Più d’ogni canto d’usignuol soave.
Scorgea tremende in sogno
Mostre d’armi e battaglie,
Poi fèretri e gramaglie,
Poi mar di sangue e pianto
35Ed anatemi e torce arrovesciate;
Quando la tua parola entro sonommi,
Come d’angelo voce
Che calando veloce
Rompe la possa d’infernale incanto.
40Usciam, diletto, ai campi;
Traggimi teco per le ville intorno.
Sorgiam con esso il giorno,
E i vigneti ingemmarsi e tenerelle
Vedremo edre e vitalbe
45Dalla roccia del monte
Tremar sospese in sulla vitrea fonte.
Manfredi. Scegli, diletta mia,
Qual più luogo ti piace,
Qual ne’ miei regni più t’allieta il core.
50O fra’ mirti allevata
Della tessala Tempe,
Caro ellenico fiore,
Forse per te gioconde
Sopra ogni terra nostra
55Son le calabre sponde,
Perchè di ciel conformi e di lignaggio
A quelle onde tu sei,
E leggiadre altrettanto e glorïose.
De l’Olimpo gli Dei
60Là pur favoleggiata ebbero sede;
Pur là spontaneo nasce
Il bel cecropio uliyo, e per le valli
Dafne verdeggia, e i rivoli e le fonti
D’una Najade il nome ancor distingue:
65Ove il piè ne conduce,
Ove il guardo si posa,
Tutto risplende di beltà famosa
E d’omerica luce.
Ma forse visitar meglio t’aggrada
70La verde etnèa contrada,
Ove olezza tuttor greca fragranza,
E dove in conca di smeraldi infuso
Par che l’Oreto si dilaghi e dorma;
Segna la languid’orma
75Tra perpetui roseti e s’inghirlanda,
E come amor l’invita,
Con flesstiosi amplessi
Alla trinacria terra si marita.
O forse, i dolci colli
80Del Samnio eleggi e i tepidi lavacri
Del sonante Velino?
O con più gaja immago
T’arride entro il pensiero
Tremulo e crespo di Cilento il lago?
85Parla, vuoi tu che in mezzo
Del suo terso cristallo apparir faccia
Con sudato lavoro
Mirabile isoletta,
Ove di marmo e d’oro
90Tutto lucente e bello
Sorga un regio castello
Con digradanti logge,
Con verdi chiostre intorno
Piene d’ombre, di fior, d’aure, d’odori,
95D’estranj augelli e fere,
D’indiche piante e bei zampilli e grotte
Conscie d’almi secreti?
Parla, per te sol una
Tutto farò che puote
100Maggioranza di scettro e di fortuna.
Elena. Buje per sè son tutte cose, amico,
E tace ogni bellezza
Sempre che tace la virtù del Sole.
Per me così ciascuna vista suole
105Prender da te vaghezza
E vestir qualità dal tuo cospetto:
Così dove non sei,
Occupa i guardi miei densa ombra e tetra,
E dove appari è Sole.
II.
Parte del Coro.
Mai forse il mondo a questa nostra etade
In gloriose pompe e in carroselli
Tal copia non mirò, tal maestade,
E in ricche mense e in addobbati ostelli.
5Convenuti fra noi d’ogni contrade
Campion famosi e cavalier novelli,
Di luce, di colori e di vaghezza
Spargean l’aringo della lor prodezza.
Altra parte del Coro.
Qual fra i minor corsieri il liocorno,
10Tal Manfredi sorgea su gli altri chiaro;
L’aquila augusta gli fea l’elmo adorno,
D’oro sol essa, e tutto il resto acciaro;
Al suo scudo correan per fregio intorno
Mirti con lauri in artificio raro;
15Ed una sculta impresa entro vid’io
Portar per motto: Italia e l’amor mio.
Prima parte del Coro.
E tra infinite la bella persona
Di sua donna splendea, quasi diamante
Locato in cima a imperial corona.
20Chi ’l vezzo dello sguardo e del sembiante,
Chi può narrar come la verde zona[2]
Al sire che inclinato erale innante
Girò sul largo petto, e come in viso
Temprò il mesto pallor con vago riso?
Seconda parte del Coro.
25Ma tre volte al buon re l’asta fiaccosse,
E tre del corridor leardo il piede
In prominente silice percosse.
Miseri e avrem nel triste augurio fede?
Ma chi ’l manda quaggiù? Dall’empie fosse
30Move di stige, o dall’eterea sede ?
Nè ci sgomenta men l’ira che bolle
In val di Tebro, e già gran fumo attolle.
35Ma vêlla! come luna in sugli albori
Smarrito à il volto e di pallor suffuso,
E con l’occhio vagante
L’orme ricerca dell’amato amante,
Ma perchè sopra l’uso
40Ei tarda e si nasconde ?
Forse incresciose a lui giunser novelle
E secreto di regno in cor gli è chiuso.
Elena. O figlie di Partenope,
Il mio signore ov’è? perchè si cela
45Tuttor lo sposo mio?
Con l’usato desio, perchè non chiede
Su queste labbra intatte
Cogliere il fiore de’ vitali spirti?
Udi alcuna di voi lunge tra i boschi
50Errar lo squillo della caccia ? Forse
Del Gargano selvoso il tengon l’ombre
E ne’ cinghial sannuti aspro s’avventa;
O forse va sotto mentite spoglie
Sue schiere visitando ed il perplesso
55Cor delle genti. Ah! non treman si forte
Bianche populee foglie, e non s’appanna
Nitido specchio ad un leggier respiro,
Come l’anima mia si turba e trema.
Oh lassa me, chè, quel pendente ognora
55Dal mio collo amuleto, ove per motto
Sacro e solenne son due nomi incisi,
Dio e Manfredi, il suo color tramuta
E s’infosca di macchie adre e sanguigne!
Il mio signore ov’è? perchè s’asconde
60A me l’amico mio?
O figlie di Partenope,
Dite, vedeste mai uom più guerriero
E magnanimo più? Membra si vaghe
Fasciar vedeste invitta alma d’eroe?
65Come alto cedro in selva, o come il giogo
Pinifero di Pelio in fra i minori
Poggi Cadmei, grandeggia il mio consorte
Cosi tra l’armi e le bandiere e i duci
Di schierata coorte.
70Degli occhi suoi nell’amoroso giro
Trema un vago zaffiro,
E somigliano al ciel che lento albeggia
E ad or ad or di dolce foco è tinto.
Il crin cosi biondeggia,
75Che par tremulo rivo
In cui s’infrange del tramonto il raggio.
Fanciulle, io vi scongiuro,
L’orme occulte del te cercando gite,
E pietose gli dite,
80Come all’ancella sua trepida il core,
E che langue d’amore.
Tale è il mio dolce amico
Qual ne’ calabri monti il verde arbusto
Che la manna distilla.
85Appiè dell’ombra sua
Io mi son verginella un di seduta
E del suo mêl pasciuta !
Fanciulle, agli arpicordi
Le man stendete, e di Manfredi alcuna
90Canti le nove, innamorate rime,
Si ch’io pensi ascoltar sua cara voce
E il suon de’ suoi sospiri,
E volontario il cor sogni e deliri.
Una del Coro.
— Donna, a null’uom che tra battaglie è spinto
95Girò destino a par del mio pietoso,
Chè me vedrai giojoso
Sempre tra l’arme o vincitore o vinto.
S’io il cimier porterò di lauro cinto,
Gloria soave e mia maggior mercede
100Sarà che al tuo bel piede
Porrò i spezzati usberghi e le bandiere.
Ma se più che il valor potran le nere
Arme di Giuda e mia fortuna truce,
Qual mai trafitto duce
105Cadde raccolto da più fide braccia?
Ed il pallor di moribonda faccia
Quando più belle lagrime bagnaro ?
O in un amplesso caro
Le ferite baciò bocca più vaga ?
110L’alma che solo in te mirar s’appaga,
Sospir movendo faticosi e tardi,
Nel lume de’ tuoi sguardi
Ritroverà la via di gire al cielo.
Lieta e superba di tuo saldo zelo,
120E pe’ dolci tuoi labbri a Dio varcando,
Le gioje pregustando
Più sincere verrà di paradiso,
E nel passar darà per cenno un riso.—
Elena. Cessate, oimè, cessate
125E quel canto e quel suono,
Che dell’alma i recessi urta e penètra
E gli spirti ne sugge;
Pari all’ardor della più calda spera
Che in idolo di cera
130Fiammeggiando saetta e il solve e strugge.
Fanciulle, io vi scongiuro,
L’orme occulte del re cercando gite,
E pietose gli dite,
Come all’ancella sua trepida il core,
135E che langue d’amore.
Venga e mi sieda allato
Brev’ora almeno, e schiuda
Un sorriso beato;
Sia la sinistra sua sotto al mio capo,
140E girando, qual suole,
Su me gli occhj amorosi,
Lieve la destra sopra il cor mi posi....
Amiche, al fianco mio
Fate d’erbe e di fior soffice letto ;
145Spargetemi di rose,
Spargetemi d’unguenti,
Chè agli spirti languenti
La vita ecco vien meno.
Coro. O soave languire
150Ch’è dolcezza infinita e par tormento!...
Già già velati à gli occhj,
E sulle smorte nevi del bel viso
Erra un blando sorriso.
Ecco l’involge e stringe
155Con carezzevol laccio
Soporosa quiete,
Onde si svegli al suo signore in braccio.
III.
Manfredi. Vergini di Sebeto,
Io forte vi scongiuro
Pel signor vostro Amore,
Che la diletta mia non isvegliate.
5Bellezza è gentil raggio,
Donne, che in tutte cose abita e splende,
Ma intero non s’accende,
E perfetto non è fuor che in quest’una.
Vago è veder su d’un sen colmo e bianco
10Due filze coralline,
E fra trecce corvine
Il fior d’arancio inserto.
Piacemi al bel lacerto
Di ritondette braccia
15Aureo serpe che allaccia
Blando sè stesso e morde.
È vago in sulle corde
D’un’arpa lamentosa
Veder di giovin bella
20Correr la mano snella;
E lungo la marina
Veder mi piace a sera
La vergin sorrentina
Ballar con gaja cera.
25Ma più che tutto piacemi
Le costei luci alteramente umíli
Veder velate dalle lor palpebre,
E pensosa d’amore
Lei reclinar la fronte
30Come pallido salce accosto al fonte.
E a voi perchè tacerlo,
Donne, vorrà la mia regale altezza ?
Temuta è in sua fierezza
La gioventù lombarda,
35E spesso imbianca a pro guerrier le gote
L’elvetica alabarda.
Tremenda agli occhj delle guelfe squadre
Brillò l’asta pugnace
Dell’augusto mio padre,
40Ed impaura altrui solo la vista
Della bendata schiera
Ch’orna d’argentee lune
Le torri di Lucera.
E pur, dentro dell’alma
45Più gel mi mettè assai,
Più m’ange e m’impaura
La sembianza di lei se il duol l’oscura,
Se una mesta parola
L’esce dal labbro, e cade
50Già da’ begli occhj suoi dolce tremanti
Coro. Una lacrima sola.
Tema è d’alma gentile
Questa che parli, e solo al valoroso,
Non al codardo è nota.
55Manfredi. Ma più; forte m’accora,
Da poi ch’io l’amo, il sospirar sommesso
Di qualunque innocente;
Della spregiata plebe
L’umile volto afflitto e macilente
60Par che un rimorso mi risvegli, e tutte
Le vie del cor m’invade
Infinita pietade.
Io di leon superbo
Son nato, e lo suo spirto entro mi rugge
65Indomito e feroce.
Italia il sa, lo sanno Apuli e Bruzj,
E dell’Ofanto e di Celon la foce.
Chi di mia spada il fulminar sostiene
E al mio sdegno guerriero argini oppone,
70Quand’egli insorge procelloso e freme,
Di sue ruine estreme
A sè stesso è cagione ;
Nè scudo à che il ricuopra,
Angiol non à che al mio furor lo scampi.
75Ma non appena io veggio
Farsi sanguigni i campi
E ceder vinta la contraria schiera,
E la pietosa immago di costei
Nel turbato pensier mite s’affaccia,
80Ch’entra nel petto mio
Di perdono un desio largo e possente:
Benigno, nè clemente
So farmi allor quanto ne ò voglia, e il sangue
Che mi gronda dall’else ed ogni vista
85Di guerra e strage il cor mutato attrista.
Coro. Degna di te costei,
E tu fra mille d’alto scettro adorni
Degnissimo di lei.
Infrangibile e sacro
90Siete sigillo l’un dell’altro al core;
Nè ’l romperà la morte,
Che men salda e men forte è dell’amore.
Manfredi. Ben dite; amore è fiamma
95Ch’ogni incendio sovranza, e nella notte
De’ secoli sfavilla. Oscure e fredde
Ceneri copriranno Etna e Vesevo
Un giorno; ma l’amor santo e pudico
S’innatura con l’alma e inconsumato
100Vive quant’ella, e i suoi raggi e il suo foco
Per ingenita forza innova e insempra.
Con lettre d’oro e con lucenti nodi
Il costei nome e il mio splendon congiunti
Ne’ volumi del fato, e si li guarda
105L’Angiol che al di sponsale
Sotto l’ombra dell’ale ambo ci accolse.
Come al tardo viaggio
Dell’iperborea face
Fu sortito lassú compagno eterno
110Il pigro Artofilace,
Così sortiro i cieli
Con pietosa larghezza
A me questa bellezza, e al mio viaggio
La dier compagna e duce.
110O stolto, ed io credea
Saper che fosse amore,
E ad un lascivo errore
Cotal nome apponea!
O celeste dolcezza,
115Primo occupar con amorosa immago
Una mente pudica,
Ed in virgineo petto
Primo svegliare un verecondo affetto,
Ch’indi illibato e solo,
120Come d’un fior romito, esala e spira,
D’un fior cui prende in cura
La semplice natura !
Soavissima cosa
Chinar la fronte sul quel seno intatto
125E mondo si, come fioccata neve
Sulle deserte cime
E inviolate d’Appennin sublime;
O pari a quelle poma
D’orto segreto e chiuso,
130Che all’etere diffuso
E al raggio intemerato
Sol dell’amiche stelle
Scuopron sè stesse rugiadose e belle !
Coro. Natura e il cielo e la fortuna a prova
140Conceda agli incolpati
Vostri diletti un lungo ordine d’anni,
Vuoto d’amari sdegni,
Pieno d’almi riposi,
Giocondi, obblivïosi..
Manfredi. 145Ah! no, langue l’amore
In blandi ozj di pace,
E sotto i colpi acerbi di fortuna
Assai più ferve e maggior vampo aduna.
All’anime volgari
150Lasciam facili gioje e queti ardori:
Noi del diletto i fiori
Cogliam sull’orlo degli abissi, e molli
Di guerreschi sudori.
Alla speme e al desio d’audaci prove,
155Arminio, aprimi l’alma;
E con verso novello,
Crinito menestrello,
Spargi d’eterna luce
Le pallide memorie
160D’aspra guerriera etade.
Famoso di beltade
Cantami e d’opre e di venture un duce,
E sposate all’amor palme e vittorie.
Menestrello. A te, invitto Silfredo, inclita luce
165De’ Niebelunghi,[3] a te d’amore acceso,
In cotal suono favellò Guntero
Di Vormio il re: — Possente ospite mio,
E famoso nel dolce inno de’ bardi;
Là nell’ultima Islanda, ove la notte
170Tien lungo impero, e cavernosi immensi
Anno palagi i lemuri e le fate,
Maravigliosa la beltà fiorisce
Di Brumilde divinà. A cui non noto
È il braccio formidabile e l’ardire
175Di quella figlia delli spirti nata
D’arcane nozze? Or tu del tuo consiglio
Se mi soccorri e del vigor dell’asta
Per condurla al mio bacio, il fior còrrai
D’ogni dolcezza, e di Grimelda, io giuro,
180Nobil sirocchia mia, godrai l’amplesso.—
D’intima gioja sfavillò l’eroe
Silfredo, e al re rispose: — Ospite amico,
Io per la fonte il giuro delle sacre
Norne immortali che circonda e lambe
185Del Vahalla le mura, al tuo complesso
Verrà Brumilde e salirà con teco
Il talamo regale. — Esulta il sire
Di Vormio a simil detto. Armi e tesoro
Appresta e navi, e alla remota Islanda
190Veloce indi il traean l’ale de’ remi.
Tremenda cosa era Brumilde, e mille
Amanti cavalieri in corta guerra
O dell’onor fe’ scemi o della vita;
E forza le infondea la diva madre
195Che su ai celesti cavalier d’Udino
Fra le ninfe Valchirie armata e bella
Versa dell’idromele onda soave.
Pur di Silfredo a fronte ogni sua prova,
(Mirabil caso) ogni materno ingegno
200Perdè smarrita la fatal virago,
E di doglia si tinse e di vergogna.
Della giostra mortal per fermo patto
Si l’impalmò Guntero, e la promessa
Cara beltade di Grimelda in braccio
205Si volò di Silfredo, il cui sospiro,
Funereo poscia a Niebelunghi evento,
Sulle bocche de’ bardi ancor risuona.
Manfredi. Leggiadra istoria, alteri nomi, e grate
Dell’Ercinia foresta al cacciatore
210E d’Elba in sulle rive
Rimembranze native!
Per me lor grazia è poca
E lor voce m’è fioca.
Verga gentil son io
215D’arbore eccelso ai molli fiati e al puro
Sol d’Italia cresciuto,
E che spoglio del duro
Barbaro ceppo ogni selvaggia scorza.
O sorriso di Dio,
220Bella Italia infelice,
Oh! valga il braccio mio
A tornar nel tuo nido
L’aquile che raminghe alzan le piume
Fra le nordiche brume.
225D’ardir leggiadro amica,
Deh! ti presta, o fortuna,
All’audace così, quanto pietosa,
Magnanim’opra; ed esultando vegga,
Vegga la mia diletta
230Quel che un fuoco gentile in me poteo;
E mentre del Tarpeo
Felice ascenderà l’ultime soglie,
Inchinin l’alme di dolcezza ingombre
Di Cesare la moglie.
IV.
Manfredi. O sposa, o mia sorella, entro al giardino
Di tue pure bellezze amor m’à scorto;
Ogni aromato fino
Vo qui cogliendo e quali odor più brama
5Voluttuosa l’alma,
E lacrime di mirra e di timiama.
Qui del mio mêle il favo
Più saporoso e mondo,
Qui ’l grappolo giocondo
10Della mia vite m’inrugiada il core.
Diletti amici, e voi puranco il mele
Cogliete dell' amore
Ed all’anfore sue v’inebbriate.
Oggi le soglie de’ palagi miei
15Tutte vi fian dischiuse, e quanto in cielo
Scemerà della luce, ivi altrettanto
Le faci e gli ori brilleran copiosi;
E in quel che il cittadino assiduo moto
Andrà languendo e fia maggior silenzio
20Nella natura, sorgerà quivi entro
E di suoni e di canti e di carole
Più fervida armonia. Fugar puranco
Da’ regali giardini
Le tenebre vogl’io con tede mille,
25Che bei lustri e scintille
Daran riflesse nell’argentee fonti.
Ma più discosto, ove s’intreccian lunghi
Viali in fra girevoli e fioriti
Tramiti e piante di selvette amene,
30Sol pioverà suo mite
Raggio la Luna che i congressi arcani
D’amor parte ricopre e parte espone ;
Mentre ai cupidi orecchj
Invieran le dense ombre lontane
35Soave e lenta melodia di molli
Gighe e d’arpe piangevoli, che l’aure
Empier parranno di sospir languenti
E di teneri accenti.
V’avran chiostre fiorite
40Di ben trecciati ed odorosi arbusti,
In cui seggi staranno e bei triclinj
Di musco e rose. Ivi de’ miei pincerni
E de’ donzelli andrà la bionda schiera,
Snella, adorna e leggiera,
45Empiendo intorno le porpuree tazze.
Per invisibil mano
Giù dalle verdi cime e dai fronzuti
Tetti nevigherà di fiori un nembo;
E suoneran commosse
50Talor da picciol vento
Campanette d’argento e d’or sospese,
E parran voci erranti e sospirose
Di Silfi innamorati
Pel ciel volando dal desio chiamati.
Coro. 55Nov’arte di diletti amor t’insegna,
E coi diletti insieme
Real larghezza e cortesia condegna.
Manfredi. Amor m’apprende e sforza
La letizia versar ch’entro m’abbonda,
60E ne’ più cari petti
Cercar l’immago de’ miei colmi affetti.
Gioja solinga e muta
O non dura o si scema o s’inacerba;
E pure a Dio sul trono
65Recò dolcezza a dir: — Mirate, io sono.—
V.
Manfredi. O figlie di Partenope,
Il suon di guerra e l’armi,
I subiti apparecchi e il moto e i segni
Delle animose schiere
5Che alle sveve bandiere accorron folte,
Quanto in poter v’avete
A lei, deh nascondete:
Troppo il vedrà quell’infelice, ahi! troppo,
Per se medesma in breve.
10Ma vella! a me d’incontro
Move ridente come l’alba. Or vieni,
Sempre aspettata, vieni
Con le stellanti ciglia
A serenarmi il petto, Elena mia.
15Elena, il tuo bel nome
Di sparsi olj odorosi è più soave,
E nell’anime suona,
Come preludio di celeste canto.
Elena. O spirto del mio core,
20O della vita mia intima vita!
Nel giardin degli aromi io son discesa,
Mattutina e romita,
Laddove fior più scelti, erbe più rare
Da estrania man non tocche
25Nudro io medesma e a te le cresco e serbo;
Della stagion novella
Ò colto ivi il tesoro,
E con gentil lavoro òllo spartito
In questa ghirlandella;
30Poi con sospir diss’io
A quell’amor che in mente mi ragiona,
— L’agreste, umil corona
Fa tu gradire al tuo signore e mio. —
Manfredi. Deh perchè ’l giglio, amica,
35L’infausto giglio v’inserivi? Oh! mai
Quel fior malaugurato
Non toccherà mia fronte.
Elena. Ignara o innaveduta
Come peccai? favella.
40Manfredi. Donna, me ignaro, invece,
E inavveduto appella;
Me al fanciul somigliante
Che a notte, vaneggiando, empie le nere
Ombre di sfingi e pallide chimere.
45Scusa il vano parlar: forse che scritto
E ne’ fiori il destino o le lor foglie
Portan vestigio dell’altrui delitto?
Elena. Oimè, Manfredi, oimė! dunque degg’io
Alle fredde paure
50Tornar che dileguate
Mille fiate à un tuo securo sguardo ?
Che d’infausto t’annunzia, or dimmi, il bianco
Giglio innocente, é perchè mute io veggio
Le danze, e te men lieto?...
55Perchè tanto insueto
Fragor di trombe e sventolar d’insegne?
Manfredi. Mia sposa, unica mia,
Tu se’ meco e paventi?
Treman poveri affetti e sgagliardite
60Alme ne’ lacci di lussuria involte:
Amor santo e gentile,
Se d’arder rïamato à gran certezza,
Le sventure e i terror guarda e disprezza.
Elena. Veraci sensi e pur d’amaro aspersi!
65Manfredi. Tutte leggi mortali amor trascende,
Nė può discioglier l’uom nodi celesti.
Di’, non vivon beate
Per mutua virtude
L’anime nostre una nell’altra accolte ?
70Chi le può far disciolte,
Chi le può far digiune
Della dolcezza di lor bacio eterno ?
Perséguiti fortuna
La stirpe di Soave,
75Scrolli il gran seggio de’ miei padri e prema
Con iniquo anatema il cener mio,
Si che scoperto e nudo
Poi lo bagni la pioggia e mova il vento:
Forse il mio spirto allora
80E poscia e sempre alle tue labbra intorno,
Ne’ tuoi caldi sospir, nel grembo tuo
Men gaudioso avrà porto e dimora?
Elena. Signor, forte m’accora
Tua insolita favella!
85Oh! che funeste accenni
Che tragiche vicende!
Manfredi. Un sol tuo sguardo, amica,
Infiammato di zelo oltre costume,
Tutti disperde i miei pensier dolenti.
90Vieni, scendiam, diletta,
Nell’orto degli aromi, ove il più ascoso
Tuo bel nido odoroso
Locasti, o colombella.
Dilegui l’universo
95Tutto intorno da noi, brev’ora almeno,
O sia poter delle nostre alme o forza
Di fortunato errore;
E quivi asceso oltre al gioir terreno,
Sol con l’estasi sue rimanga Amore.
100Poi s’armi il Fato e incontro mi disfreni,
Come cavalli in guerra,
Li spaventi del cielo e dell’inferno.
Sarò qual fui, morrò qual io son visso,
Forte, indomato e giusto,
105Degno sangue d’Augusto.
Cadrò non vinto, e il gran gorgo d’abisso
Cupo mi fremerà sottesso i piedi,
E avrà compagna in sua carriera il Sole
La gloria di Manfredi.
110Coro. Come talor fra dïuturna, ombrosa,
Gelida nebbia, al verno, il Sol si spinge
E in breve cerchio apre il seren del cielo;
Così di questa immota ed affannosa
Bruma che il viver nostro involge e tinge
115Amor coi raggi di suo nobil zelo
Squarcia l’opaco velo,
E mostra i lampi del sereno eterno.
Chè s’indi ei non chiudesse
L’etereo varco e più durar potesse
120L’alta sua fiamma incontro al nostro verno,
Ben fra la terra e il cielo ogni confino
Saria rimosso e l’uomo fatto divino.
Ma pur felice chi ben ama in terra!
Mesce fortuna, è vero, assenzio e fele
125Spesso a la fonte che d’amor deriva;
E mentre in mezzo ai fior mormora ed erra
Par che improvviso ella si stagni e cele,
Come povero rio di pioggia estiva:
Ma più bella e più viva
130Rifluir si vedrà per ogni etade
Su ne’ siderei campi,
Ove men tersa mai non fia che stampi,
O con men dolci umor l’alme contrade;
Ma di nèttare puro inessicata
135Vena darà d’eterni mirti ombrata.
Note
- ↑ [p. 359 modifica]Rispetto a parecchi passi del presente Idillio, ove sono accennati, oltre ai fatti politici, molti costumi ed usanze dell’età degli Svevi, e rispetto all’indole generosa che abbiamo attribuita a Manfredi, leggi la storia di questo re scritta dal cavaliere Giuseppe De Cesare, e pubblicata nel 1838 in Napoli. Qui basterà menzionare che Manfredi sposò in seconde nozze Elena Comnena, figliuola del principe di Tessaglia, giovinetta di diciassette anni e bellissima della persona, e in cui trovò egli amore e fede mirabile in tutti i funesti casi della sua vita.
- ↑ [p. 359 modifica]Il color verde piacea singolarmente a Manfredi.
- ↑ [p. 359 modifica]Vedi le prime IX Avventure de’ Niebelunghi, o le note appostevi dalla traduttrice francese Moreau de la Meltière.