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Poesie (Mary Wortley Montagu)/III

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III.

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Mary Wortley Montagu - Poesie (XVIII secolo)
Traduzione dall'inglese di Antonio Schinella Conti (1740)
III.
II IV
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III

     Oh mille volte voi felice e mille
che abbandonate ognor la mente e il core
a de’ piaceri sempre varî e nuovi!
La vostra mente per sei mesi volta
5non era che a i palladici modelli,
né vi si udia parlar che di colonne
e di scale a lumaca e d’atri e logge,
di passeggi coperti e vie nascoste:
le proporzion delle colonne elette
10vi feriano, ed in qual estasi dotta
cadeste rimembrando or la bellezza
de l’ordine corintio ed or la ionica
maestade. Voi gli ordini tempraste
con arte degna di Vitruvio e ordiste
15al par corretta che venusta idea
d’un palagio fantastico, ma lenta
de lo stupido artefice la mano
troppo e fredda ubbidisce ai vivi imperi
del suo signor. Vi disgustaste poi
20del fango, delle travi e delle pietre,
ed a le rustic’arti i voti vostri
furo rivolti. Solitarî boschi

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apriste qui, colà portici ombrosi.
Rase poi le verdure, altre più vaghe
25ne sorsero. Germogliano i dipinti
fiori con nodi mistici contesti
e quindi l’arte reca grazia e pregio
de la natura alla bellezza. Io vidi
che tal desio vi riscaldava il petto
30la primavera; ma non tosto il freddo
intirizzì le vostre erbe dilette
che cangiaste pensiero e ne rimase
la vostra fantasia gelata. I boschi
vostre delizie abbandonate e tutto
35per la cittade ardete: né lo stesso
paradiso terrestre i vostri passi
arresterebbe. Ambizïosa voglia
v’addita ciò che nel sovran potere
abbaglia. Anima vil sortì colui
40che nell’oscurità brama celarsi;
e se ben de lo stato ognor le cure
la fatica accompagni, un cor ben nato
debbe alla patria sua cercar grandezze
e vigilare ai pubblici vantaggi:
45questo è un dover che ogni dovere avanza.
Con simili pensieri entrando in Corte
v’occupate a parlar ben otto giorni
de’ novelli disegni, dispregiate
della falsa politica i lavori
50e voi ne architettate idee veraci:
«L’uom non è degno che di gravi cure,
e senza lunghe viste è troppo breve
l’umana vita, e troppo scarsa e lenta
la ricompensa di futura fama.»
55Ma poco dopo soggiungete: «Io voglio
goder felicità sino ch’io vivo,
ed è l’amore il sol piacer ch’io sento.»
Vi ponete a mirar tutte le belle

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bramando loro consecrar gli affetti,
60e v’accingete industrïoso a l’opra
per sceglier qual tra vaghi fiori quello
che vi convien. V’avria rubato il core
la bellezza di Cloe senza i begli occhi
di Serpilla da voi mirata a caso.
65In lei son fissi i vostri voti, voi
la divorate cogli ardenti sguardi,
e il vostro cor sollecito confessa
il venen dolce delle sue lusinghe,
ed a mirarla sempre più s’infiamma.
70Languidamente sospirando udite
seco a cantar, e tra timore e speme
impaziente seguite i passi suoi
nelle scelte assemblee. Già siete presto
a dichiarar l’amor, tentar la sorte;
75ma vi si affaccia su la scala Ormilla.
La sua persona, il portamento, gli atti
abbondan di lusinghe. Ella sorride,
e col sorriso vi ferisce; pari
a l’armonia del canto è la sua voce
80soave. Sempre ella ha lo spirto in moto
e le grazie sul viso, e spasimandole
a lato le giurate eterno amore,
mentre Serpilla e Cloe passanvi avanti
gli occhi senza neppur che le vediate.
85Come su l’affricane ardenti sabbie
v’imprime l’orme sue leggiera foglia
e la figura di pesante sasso,
ma fievol soffio d’improviso vento
abolisce del par l’una e l’altr’orma;
90così del vostro cor la calda tempra
riceve impressïon da tutti gli occhi,
ma le immagini poi lievi o profonde
instabile desio cancella. Oh come
io sortii da la vostra alma diversa!

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95Son tra la folla, e non la veggo o attendo;
odo gli amanti, e alcun amor non provo;
non m’invesca chi adùla; non m’infiamma
l’altrui beltade. Negligente veggo
le danze, e fredda ascolto i canti e i suoni.
100Così cammina su scogliosa rupe
innumerabil gregge, e non vi lascia
orma de’ passi. Manda indarno il vento
i forti soffî su le sorde pietre,
e in van con mormorio le batte il flutto.
105Grande il lavoro fia, grande il sudore
di chi tentasse d’improntar la selce.
Ma se arriva che mai pastor felice
e degli altri più industre imprima il proprio
nome sul marmo, i secoli correnti
110non mai l’aboliranno e della vita
nol raseranno le tempeste irate.
Potran coprirlo ben di musco gli anni,
ma se ben invisibile, profonda
rimaneravvi la segnata piaga.