Produrre sapere in rete in modo cooperativo - il caso Wikipedia/Parte I/Dal percorso della costruzione sociale del pc ad oggi: la grande utopia della produzione collettiva di sapere

Da Wikisource.
Parte Prima - Il processo di cooperazione in rete

Dal percorso della costruzione sociale del pc ad oggi: la grande utopia della produzione collettiva di sapere

../ ../Storia e etica della cultura "hacker" IncludiIntestazione 25 settembre 2010 50% Tesi universitarie

Parte Prima - Il processo di cooperazione in rete

Dal percorso della costruzione sociale del pc ad oggi: la grande utopia della produzione collettiva di sapere
Parte I Parte I - Storia e etica della cultura "hacker"

Il tema della produzione collettiva di conoscenza in rete costituisce, da sempre, uno dei nodi centrali della nuova concezione del personal computer che si è andata creando dagli anni ’50 fino ai più recenti anni ’90.

Il percorso della costruzione sociale del pc si snoda intorno a varie tappe di tipo storico e tecnologico, che hanno portato alla visione e alla pratica d’uso del personal computer che si possiedono e assumono oggi.

Anzitutto, con Vannevar Bush, viene introdotta per la prima volta l’idea di una macchina per pensare; fin dagli anni ’30, Bush si concentra sul problema della crescita esponenziale delle conoscenze umane. Egli lavora in un momento in cui i computer digitali muovono i primi passi, negli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Il problema che preoccupa Bush è quello di un sovraccarico di informazioni insostenibile per la mente umana: la soluzione ipotizzata è quella di una macchina basata su microfilm, mai realizzata, chiamata Memex1 (ovvero Memory Extender). Tale macchina si basa, per l’appunto, su tecnologie di tipo meccanico e analogico, dove il recupero delle informazioni avviene sulla pellicola del microfilm.

Ciò che però è importante è che il Memex avrebbe dovuto funzionare in modo molto simile alla mente umana: non viene archiviato solo il sapere, ma anche i percorsi mentali. Ci si trova già di fronte a qualcosa di estremamente innovativo per quei tempi: una macchina che procede secondo un metodo associativo, riconoscendo connessioni e analogie tra le informazioni; si tratta di un primo tentativo di superare uno dei grandi limiti della stampa, la linearità. Il Memex però è pensato come una macchina individuale2 e non come uno strumento collettivo, quale diventerà poi il computer. In questo modo, le informazioni sono difficilmente utilizzabili da coloro che non hanno contribuito a costituire l’archivio: l’inesperto circa l’argomento trattato non è in grado di ripercorrere i percorsi associativi predisposti dalla macchina su imitazione della mente umana esperta in materia.

Nel 1959, Bush scrive un secondo saggio, Memex II, dove ipotizza uno sviluppo della macchina: il nuovo Memex non immagazzinerà più soltanto informazioni, ma assumerà anche la capacità di basarsi sull’esperienza. In tal modo, la macchina non imiterà semplicemente la mente umana, ma sarà anche in grado di suggerirle dei nuovi percorsi cognitivi.

Bush ha dunque il merito di aver apportato le basi teoriche di ciò che verrà poi chiamato ipertesto, ancora prima della nascita dei veri e propri personal computer.

Tali esigenze ispirano poi, tra gli anni ’60 e ’70, Ted Nelson3, un vero e proprio “guru” dei new media, che inizia a lavorare all’ipertesto digitale. Nelson pensa a questo come ad uno strumento in grado di far pensare in modo nuovo, capace di imitare la mente umana e di fornirle nuove rampe di lancio verso la totale libertà da ogni tipo di restrizione.

Il pensiero di Nelson si carica subito di una forte valenza politica e ideologica: l’ipertesto sarà stato in grado di liberare la mente dell’uomo dalle “gabbie” della scrittura e della stampa. Stanco di rigide strutture logico-razionali, Ted Nelson ipotizza una nuova rete, non pre-esistente nelle sue basi strutturali, dove la figura del semplice utente viene sostituita da quella dell’autore-fruitore. Per fare in modo che i pensieri corrano liberamente e senza gerarchie, Nelson parla di un nuovo progetto, Xanadu4, un docuverso nel quale possa essere raccolto tutto lo scibile umano e in cui ognuno abbia la possibilità di collegare, secondo il proprio arbitrio, le lessie (ovvero sotto-unità testuali collegabili tra di loro da un reticolo di link). La capacità di creare collegamenti rappresenta un’ingente forma di potere: possederla significa sentirsi liberi di governare i propri percorsi mentali. La macchina di Nelson supera le limitazioni del Memex, relegato ad una dimensione individuale di utilizzo. Con Xanadu si va incontro a una visione sociale, più vicina a quella apparterrà poi al computer: le informazioni non si archiviano seguendo semplicemente i percorsi mentali, ma vengono incanalate in una rete di contatti in modo che siano elementi di scambio, confronto, correzione e ampliamento5.

Le idee di Ted Nelson si caricano così di un forte messaggio di libertà: secondo le sue più fervide utopie, ognuno dovrebbe poter scegliere il proprio percorso cognitivo in un’infinità di informazioni liberamente da qualunque tipo di gerarchie precostituite. L’atto d’accusa più potente, Ted Nelson lo scaglia contro il World Wide Web e nei confronti di coloro che hanno il torto di averlo “organizzato” a proprio piacimento: i webmasters. Secondo Nelson, il Web non è altro che qualcosa di ormai rigidamente strutturato e organizzato, nel quale i webmasters sono investiti dell’enorme potere di controllare la gerarchia, cioè di tenere in pugno i percorsi del pensiero. Il WWW non ha più in sé la possibilità di reincarnare le regole del progetto utopico di ipertesto di Nelson.

Ted Nelson non è certo il solo a perseguire un’idea di utopia e libertà all’interno del giovane panorama informatico dell’epoca. Nello stesso momento storico infatti, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, si diffonde anche il punto di vista degli hacker, che costituiscono una subcultura inizialmente piuttosto ignorata, ma che si rivela poi una base fondamentale nella costruzione sociale del computer. Nel caso della prospettiva hacker, il personal computer diviene presto un mezzo per potenziare le facoltà umane e soprattutto la creatività.

Con la sovrapposizione tra cultura hacker, movimento hippie e gruppi studenteschi, nascono i primi esperimenti di democratizzazione del medium. Sono proprio due studenti dell’Università di Berkeley, Felsenstein e Lipkin, appartenenti alla comunità hacker riunitasi nel famoso Homebrew Computer Club, a connettere in rete per la prima volta due computer e a creare così il famoso sistema delle cosiddette BBS6, un insieme di bacheche virtuali sulle quali è possibile scambiare messaggi ed entrare in reciproco contatto in modo semplice e diretto. Finalmente non è più necessario ricorrere all’intermediazione dei tecnici o sottomettersi alle dure leggi del digital divide7: nessuno sembra più destinato a rimanere escluso ed anzi nella collettività si inizia a riconoscere una nuova forza vitale.

Per un interessante sviluppo dell’idea circa l’uso collettivo dello strumento informatico, si può fare riferimento a Pierre Lévy. Come evidenzia l’autore8 nel suo testo sulla cybercultura e sugli usi sociali delle nuove tecnologie, anche il rapido cambiamento tecnologico può essere meglio assorbito dal costituirsi di un’intelligenza collettiva, che Lévy riconosce come uno dei motori principali dello svilupparsi della cybercultura. Secondo l’autore infatti: «Più si sviluppano processi d’intelligenza collettiva, […] più e meglio gli individui e i gruppi si appropriano dei cambiamenti tecnici, meno l’accelerazione del movimento tecnosociale ha effetti di esclusione o umanamente distruttivi9».

Andando a osservare la questione applicata al processo di produzione di sapere, in particolar modo in Rete, le teorie cui si è accennato, trovano un immediato riscontro positivo. Al di là dell’appropriazione del mezzo tecnico infatti, è soprattutto nel processo di produzione del sapere che l’intelligenza collettiva esprime al meglio la sua forza. Il nuovo modo di condividere competenze e conoscenze comporta il nascere di un prodotto più solido e completo, che non proviene da qualcosa di “superiore”, ma di “collettivo”, dove i componenti della moltitudine possiedono tutti eguale potere. Per dirla sempre con Lévy, si supera l’interconnessione caotica, già efficace per la condivisione di nozioni e sapere, a favore di una molteplicità organica, che possa a buon diritto assumere l’appellativo di intelligenza10.


Note

  1. Cfr. V. Bush 1945
  2. Cfr. Bettetini-Gasparini-Vittadini 1999, pp. 19-21
  3. Cfr. Nelson 1974
  4. Cfr. Nelson 1982
  5. Cfr. Bettetini-Gasparini-Vittadini 1999, pp. 21-22
  6. Bulletin Board System
  7. Ci si riferisce al particolare fenomeno di distribuzione di infrastrutture tecnologiche in modo del tutto disomogeneo, per il quale non tutti sono in grado di disporre di strumenti informatici.
  8. Cfr. Lévy 2001, p. 31
  9. Cfr. ibidem
  10. Cfr. ibidem, pp. 162-163