Proverbi, tradizioni e anneddoti delle valli ladine orientali/Prefazione

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Prefazione

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Proverbi, tradizioni e anneddoti delle valli ladine orientali I

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PREFAZIONE.


Non può essere che assai imperfetta e superficiale l’idea, che ora è lecito farsi della grandezza e moltiplicità delle sensazioni provate da quei coloni, che primi vennero ad abitare la valle ladina. Qui rupi altissime, cinte quasi sempre di nubi, là vaste boscaglie, covile di belve feroci, ed appiè delle estese foreste ridenti prati ammantati del piti bel verde e percorse con festoso mormorio da limpidi ruscelli. Ed ogni tanto fra quelle rupi un largo torrente, che precipitandosi con sordo muggito dalle regioni celesti giù per i nudi scogli forma di quando in quando mirabili ed importanti cascate, ove l’acqua spumeggiante frangendosi fra quei nudi macigni si riversa in vasti sprazzi sotto forma di fumo sui massi circonvicini, finche raccoltasi poi di nuovo nel sassoso letto va a rallentare il suo precipitoso corso nella tranquilla valle sottoposta. Spesso dense e nere nubi, fra cui guizzano sinistri lampi e donde con orribile fragore si scagliano le folgori abbondanti sui vetusti altissimi abeti fracassandone il fusto in mille scheggie, coprono improvvisamente quel cielo rinserrato fra le immense giogaie di monti, venti gagliardi si precipitano con furioso furore sulla contrada abbattendo alberi e quanto vuol impedir loro il libero passaggio e rovinando i seminati, ne rara la gragnuola copre d’un bianco strato le ridenti campagne. Però questo orribile fenomeno non dura che un breve tratto di tempo: ben presto le nubi calmata la loro rabbia si dileguano e vanno pian piano sparendo, l’arcobaleno apparendo con tutta la sua magnificenza di bel nuovo ridona alla natura spaventata la pace, di cui entra mallevadore il cielo ceruleo. [p. 4 modifica]Fenomeni simili, che alternativamente si susseguono, non possono aver luogo senza produrre delle strane e gravi sensazioni sull’animo dell’uomo, a meno che egli colla sua mente intuitiva non si sia ormai reso padrone delle leggi della natura. Se perciò si avesse contezza del grado delle cognizioni intorno alla natura, cui possedevano i primi abitanti della valle Ladina, si potrebbe almeno approssimatamente inferirne le loro intuizioni religiose, ma non potendosi determinare con tutta precisione ed esattezza ne chi fossero coloro, che primi presero possesso della detta valle, ne in qual tempo questo avvenne, ne per conseguenza, qual fosse lo stato della loro coltura, non si può aver che un’idea assai superficiale del loro culto religioso conchiudendolo dalla superstizione e da certe usanze conservatesi nella popolazione, ladina fino al giorno d’oggi, ancorché manchino queste di quella vivacità de’ colori, che un giorno senza dubbio diede loro un carattere più elevato 1. Questi avanzi d’un culto religioso antico sono talmente limitati, che gioverà qui avvertire fin da bei principio di non promettersi troppo dalla loro conoscenza, a meno che non si voglia correr rischio d’esser delusi come coloro, che s’attendevano di veder rappresentati non si sa quanti linguaggi nell’idioma ladino 2. Non si può negare, è vero, che la speranza di trovar in una valle segregata per così dire dal mondo intero conservate in modo più perfetto e più esatto che altrove le idee ed intuizioni mitiche delle antiche popolazioni sembra in certo modo fondata su validi raziocini, ma d’altra parte non è meno chiaro, che appunto in una valle, in cui gli abitanti in conseguenza sì della natura, che li circonda, che dell’idioma da essi parlato non vengono che eccezionalmente a contatto coi popoli circon[p. 5 modifica]vicini e non scambiano con nissuno le loro idee, il clero ossia la chiesa come parte più colta non durò fatica ad esercitare la massima influenza su d’una popolazione ignorante e superstiziosa, di modo che con meno riguardo e tolleranza che altrove3 vi potè far sparire quasi interamente ogni traccia della coltura pagana importata. Ed è solo così che si spiega, come le intuizioni mitiche, di cui troviamo ancora qualche traccia presso i Ladini, rare volte oltrepassano la sfera della superstizione e delle usanze. — Una rimembranza delle divinità antiche di Luna, Marte, Mercurio, Giove e Venere esiste ancora nella denominazione dei giorni settimanali: Lùneš, Mérteš, Mércoi, Jèbia, Vendres; è anche notevole l’esclamazione, che si sente spesso tuttora: per Diana! Tuttavia sarebbe cosa forse troppo arrischiata il voler pretendere, che queste divinità a cagione della continuazione de’ loro nomi venissero anche venerate come Esseri supremi nella valle Ladina, quantunque niente ci provi il contrario. In ogni caso i Ladini devono esser grati al clero d’aver fatto loro in questo punto la medesima grazia, che toccò in sorte anche ai Germani 4. Questi ultimi si mostrarono benigni verso i Ladini tramandando loro il potente Wuotan, che questi chiamano al giorno d’oggi Báo, parola, che corrisponde al Wauwau nell’Austria inferiore e superiore; mentre però il Wuotan germanico viene rappresentato qual forza „tuttopenetrante, creatrice e formatrice“5, il Báo de’ Ladini è privo di queste belle qualità, apparisce nel vero senso della parola qual dio del Furore (ted. Wut) sotto l’aspetto di uomo gigantesco vestito di nero afferrando colle dita terminanti in artigli i ragazzi ostinati per traversar con essi le regioni aeree e trascinarli seco all’inferno; è dunque in senso generale quel dio, che dà la caccia agli uomini6, è il condottiere dell’esercito furioso e nella caccia sfrenata 7. Fu osservato, che vecchie [p. 6 modifica]superstiziose solevano spargere un cucchiaio di farina al vento quando questo soffiava con tutta veemenza; questa abitudine rammenta senza dubbio un sacrifizio 8, che ne’ primi tempi si avrà fatto al dio Wuotan per calmar il suo furore. — D’importanza assai maggiore è l’Orco, comune a tutti i Romani, il quale, mentre ne’ tempi antichi apparteneva agli dei di ordine superiore, col tempo assunse la natura di spirito folletto e boschereccio 9. Egli ha la facoltà di mostrarsi sotto qualsiasi forma come il Rubezahl della Boemia 10: ora si presenta qual cavallo, s’avvicina in modo mansueto ed insinuante al viandante, da cui si lascia accarezzare, e lo invita a montare sulla sua groppa; ma guai a quell’infelice, che ingannato dalle sue maniere lusinghiere dà retta al di lui invito; appena l’Orco selo sente sul dorso, assume in un momento una grandezza immensa, si mette a galoppare sfrenatamente attraverso le regioni aeree lasciando sotto di se monti e valli ed il povero cavaliere è costretto di far sforzi sovraumani per tenersi fermo in sella, se non vuol cader da un’altezza vertiginosa e finir così la vita in uno stato miserabilissimo 11. Generalmente tale corsa sfrenata dura tutta la notte, finche la mattina il furibondo destriere terminata la cavalcata getta a terra il cavalcatore sul luogo medesimo, ove ebbe principio la corsa; è inutile aggiungere, che l’infelice trovasi per lo più tutto graffiato ed in uno stato assai deplorevole. Alle volte l’Orco si cambia in una piccola palla, che si mette a rotolare da se in mezzo alla strada, ove la gente deve passare; tostochè il viandante l’ha sorpassata, questa cresce immensamente e colla massima celerità gli tien dietro rotolando, finche questi cade a terra mezzo morto soprafatto dallo spavento e dalla stanchezza. Non di rado si mostra qual’intrepido cacciatore facendo sentir da lontano il suo grido particolare di giubilo; povero quello spen-

_____ [p. 7 modifica]sierato, che si arrischia di imitarlo o di motteggiarlo, giacché in caso simile l’Orco s’avvicina con prestezza indescrivibile al suo beffeggiatore, il quale deve esser preparato a tutto, se non gli riesce di scappare in una casa; se ciò gli riesce, è sicuro almeno pel momento, essendoché l’Orco non penetra nelle abitazioni degli uomini; ma guai, se egli piìi tardi capita fra le mani dell’Orco, perchè la vendetta allora n’è tanto più terribile. Sembra, che l’Orco possa anche trasformarsi nel vento* almeno si citano diversi casi, in cui esso sotto forma d’un colpo di vento scagliò qualche suo motteggiatore contro un muro o contro una siepe, di modo che anche in questo riguardo è simile al Kiibezahl, il quale, se è beffeggiato ed offeso, mette il cielo sottosopra, suscita lampi e tuoni, pioggia e neve e manda anche nel cuor della state un freddo eccessivo 12. Inoltre l’Orco sa rendersi amabile anche alle padrone, poiché é suo massimo piacere quello di far loro risentire gli effetti di certe sue burle: ora deserta le stalle facendo sparire oggi un pollastro, domani un’oca; un’altro giorno manca della biancheria e un’altro è il latte, intorno al quale egli si permette qualche tiro. In breve, le maniere, in cui l’Orco sa mostrare la sua cattiveria, sono tante, che non c’ è quasi fase nella vita umana, in cui non si manifesti la sua malizia. Mentre nel Rübezahl si ammirano tanti tratti nobili e generosi, che questi in lui sono regola ed i cattivi eccezione 13, è l’Orco assolutamente incapace di azione generosa e buona. In questo predomina la gioia maligna — segno sicuro d’un naturale perverso — , che egli sfoga prorompendo in alte risa salvatiche ogni qualvolta sia riuscito in una delle sue trame. Folte selve sono la sua dimora prediletta; di qui egli fa sentire la notte il suo grido monotono e lo si può perciò in certo modo paragonare allo „Schrat* de’ Germani, che é uno spirito boschereccio, zotico e peloso 14, simile al Fauno de’ Latini ed al Satiro de’ Greci. D’altronde però è dotato di qualità tali, che l’avvicinano più alle

_____ [p. 8 modifica]divinità di ordine superiore, fra le quali quella di poter assumere qualsiasi forma, di poter’attraversare l’aria, il qual’ultimo pregio ci rammenta le cacce aeree di Wuotan. Sia la cosa come si voglia, l’Orco è quello spirito, che negli animi dei Ladini s’introdusse a preferenza e più stabilmente d’ogni altro, cosiccliè ancora al giorno d’oggi è temuto non solamente dai ragazzi, ma dalla maggior parte di tutti coloro, che per affari importanti devono intraprendere qualche viaggio di notte, principalmente poi se sono costretti di passare per „Col maladet", o pel bosco di „Plaies", che sono i punti prediletti per le evoluzioni del medesimo. È ancora da notarsi, che all’Orco Ladino fin’ora non è riuscito trovarsi una moglie convenevole; almeno bisogna supporre, che egli si trovi in uno stato celibe non avendosi mai sentito far menzione d’una Orca, mentre è pur cosa nota, che l’Ogre francese vive in bella compagnia ed in santa pace colla sua cara Ogresse.

Questa antitesi, l’elemento feminile, che abbellisce dappertutto lo stato dell’uomo, trovasi presso i Salvans nelle Gannes, Questi e le mogli loro, le Gannes, si rappresentano come gente mansueta ed innocua; sono di statura umana ordinaria e coperti di pelli di belve; essi si nutrono di salvaggina, dimorano nelle profonde caverne e spelonche delle selve e delle balze ed abbandonano spesso l’abitazione per scendere ed andar a visitar i valligiani, coi quali si trattengono nel modo il più familiare immaginabile, quantunque parlino poco ed apprendano con grande fatica il dialetto Ladino. Di buon grado e con gratitudine accettano i doni offerti loro da mano benefica senza però importunar mai alcuno con preghiera di sorta, anzi preferiscono patir fame lupina piuttostochè pregare di qualche cosa. Scendono dalle rupi e dalle balze principalmente l’inverno, allorché essi poveretti in mancanza di abiti atti a ripararli dall’intensità del freddo non ne possono più; è poi cosa che fa veramente pietà ad ognuno, quando se li vedono giungere tutto coperti di ghiaccio e prender posto presso il fuoco onde riscaldarsi. Sono, come fu detto, gente, che non offende nissuno e si vendicano soltanto se sono provocati, però in tal caso in modo terribile, perchò hanno forza gigantesca. È inoltre da [p. 9 modifica]osservarsi, che si fanno vedere più le Gannes che i Salvans e che questi ultimi sono più pelosi e di naturale più cattivo che le loro mogli, perciò essi non vengono che rare volte a contatto cogli uomini, restando per lo più internati nei densi boschi, cui essi non abbandonano che poche volte. Tanto più mansuete ed affabili sono invece le Gannes, le quali non contente di mostrarsi fuori dei loro rifugi si mettono perfino ad assistere le padrone nei loro lavori domestici, nei quali esse si mostrano molto abili e destre. Hanno gran paura dal tuono nello stesso modo, come gli uomini selvaggi del sudest della 15Germania dal cacciatore salvatico^). Eimarchevole è la loro predilezione per le pecore.

Non si può dubitare, che nei primi tempi tanto Salvans quanto Gannes siano stati tenuti in maggior considerazione che non più tardi; è cosa assai probabile, che come presso i Komani Silvanus così anche nella valle Ladina i Salvans si venerassero come dei benigni e protettori degli alberi de’ boschi, prendendo essi diletto speciale delle piante rigogliose 16, ed in pari tempo si considerassero loro quali esseri, che a cagione della loro quasi continua dimora nelle folte e quiete boscaie avessero in se qualche cosa di „ misterioso, orrido e spaventevole incutendo così all’uomo terrore per potergli recar del danno. La forza gigantesca dei Salvans è indizio sicuro, che la loro natura è consimile a quella dei fauni giganteschi e dei mostri selvaggi, mentre le Gannes per la destrezza ed abilità, che fanno apparire nei diversi lavori, s’avvicinano più alle „ donne savie ** dei Germani 17 e sembra fuor di dubbio, che le

_____ [p. 10 modifica]18Gannes da bel principio attendessero al medesimo impiego, che loro viene assegnato da Dio Cassio 67, 5: Γάννα παρθένος μετὰ τὴν Bελῆδαν ἐν τῇ Κελτικῇ θειάζουσα). 19— Al Salvan ed alla Ganna dei Ladini corrispondono il Vivan e la Vivena nella valle di Fassa, i quali sono pure esseri selvatici, che hanno qualche cosa di sovrumano; essendo essi di indole mite non fanno male all’uomo, se non vengono provocati, anzi sono amanti degli uomini, s’avvicinano loro volentieri, ne osservano gli atti per imitarli a casa propria, che per lo più non è lungi

___I [p. 11 modifica] da quella dell’uomo e vivono, se è possibile, anche coli’ uomo. In società parlano poco e laconicamente. Essendo le Vivénes inette alla tessitura rubacchiano talvolta all’uomo pannolini o vestiti, con cui involgere se ed i loro piccoli. Come i Salvans e le Gannes così anche i Vivans e le Vivénes hanno la facoltà di poter rendersi invisibili. Vivono sino alla fine del mondo, perciò il nome Vivans (da vivere — * vivanus). Le Vivénes al pari delle Gannes sono in generale assai care e belle.

Oltre a questi esseri ci sono in Fassa i Bregostans e le Bregosténes, che sono di naturale salvatico e rapace e fann0 tutto il possibile per irritar e danneggiar l’uomo: anch’essi possono rendersi invisibili. Se però lo Schneller20 dice, che le Bregosténes sono fattucchiere antropofaghe, sembra, che la persona, da cui ne ebbe i rispettivi schiarimenti, sia stata poco istruita intorno alla natura di questi esseri; è vero, che le Bregosténes sono inclinate a rubare i pargoletti altrui dalle cune sostituendovi i propri bambini; ma è pur vero, che i fanciulli in tal modo rapiti lungi dall’esser divorati vengono allevati da queste donne rapaci od anche restituiti ai loro genitori, però in quest’ultimo caso per lo più solo sotto certe condizioni. In quanto a ciò che il medesimo autore dice, che le Bregosténes hanno talvolta anche un carattere buono, egli le scambia colle Vivénes; d’altronde non si può negare, che i racconti intorno a questi esseri qualche volta sono fatti di modo, che la popolazione stessa sembra confondere Vivénes e Bregosténes. È perciò probabile, che da principio Vivans e Bregostans da una parte, Vivénes e Bregosténes dall’altra altro non siano stati che esseri uguali, che in conseguenza ci sia stata anche una sola denominazione, quella cioè di Bregostans e Bregosténes, e che smarritasi col tempo vieppiù l’idea originaria di Bregostan e non trovando essa appoggio nel significato stesso della parola le si abbia sostituito come più intelligibile la denominazione Vivans e Vivénes e che ad onta di ciò si siano poi conservati ambo i nomi, però in modo, che colla parola Vivan si combinò le buone qualità, con quella di _____ [p. 12 modifica] Bregostan le cattive del medesimo essere. Questa interpretazione sembra essere tanto più giusta, in quantochè non si può dubitare, che da principio i Bregostans non erano considerati che come esseri benigni e non differivano in nulla dai Salvans de’ Ladini, come chiaro appare tanto dal significato della parola stessa, giacché Bregostan altro non è se non l’ags. breogo, bregostól = rex, princeps 21, quanto da certi racconti, in cui il Bregostan (invece si sente pronunziar qualche volta anche Bregostól) viene rappresentato qual dio del vento, il quale quantunque padrone di un bel palazz^ nell’interno d’una balza non sdegna spazzar la camera della bella Vivéna, che ha nome Quelìna. Merita pure riguardo la circostanza, che i Bregostans chiamansi con nome speciale Taraton, mentre le donne sono dette Tarata od anche Taratona, la qual denominazione altro non è se non il germanico Donar, ants. Thunar, ags. Thunor, che per mezzo della metatesi ci dà Doran, Toran; aggiungasi a ciò „duna*, parola nordica antica, che significa il fenomeno del tuono stesso 22 e si ha: Toranduna =^ Toratuna = Taraton, Taratona, di modo che ne nasce la probalità, che i Bregostans da principio altro non fossero che il Donar de’ Germani. — Un’allusione ai Silfi del paganesimo trovasi ancora nel „Pavaró de’ Ladini, il quale è ora decaduto al basso grado d’uno spauracchio 23. Basti 24 osservare, che egli al pari dell’Orco è di naturale cattivo, sebbene meno formidabile; non soggiorna che nei campi seminati di fave, ove sfoga la sua rabbia contro ragazzi, che penetrano nel campo per rubar fave.

Mentre il Pavaró non ha di mira che ragazzi, la Trota 25)

_____ [p. 13 modifica] attacca ugualmente la gioventù e la vecchiaia, l’uomo e la bestia. Sono principalmente le persone membrute e corpulenti, che ella prende di mira. Quantunque sia una donnaccia di statura gigantesca, può farsi tanto piccola da poter passare pel foro della serratura; entrata una volta in un’abitazione si getta pesante come è su d’una persona e la preme di tal maniera, che le toglie ogni possibilità di muoversi; essa però non assale che coloro, i quali giaciono supini; arriva addosso ad uno senza farsi sentire e così anche sene parte. Ella deve però sparire se colui, sul quale ella si getta, è capace di far il segno della santa croce colla lingua nella bocca. La Trota senza essere una strega nel vero senso della parola, ne forma tuttavia il punto di passaggio fra queste e gli spiriti maligni, che traversano le regioni aeree, come il Bào, l’Orco ed altri.

Però prima di passare alle streghe resta ancora da far qui menzione de’ dragoni, i quali stanno nella profondità dei laghi alpini, che si trovano sui monti Boa, Crespena e Puz; le loro lotte vicendevoli, per cui in questi luoghi talvolta, principalmente avanti le burrasche, si odono certe detonazioni, rappresentano la lotta dei nuvoloni, che minacciano un temporale; perciò si dice anche, che questi animali abbandonino di notte tempo la loro abitazione e trapassino volando l’aria con coda fiammeggiante, che sparge sopra tutta la valle un rosso purpureo, volendosi in tal modo accennare ai nuvoli rischiarati dai lampi.

E' strano, che presso i Ladini i dragoni non vengono mai descritti come guardia-tesori, credenza, che si trova presso ogni altro popolo26. Sembra poi un po’ troppo fantastica e priva di valido appoggio la pretesa, che nella credenza conservatasi fino a nostri tempi fra la popolazione, che i draghi abbiano il potere di tirare a sé colla coda pecore e buoi, che pascolano

_____ [p. 14 modifica] sulla spiaggia, debbasi ravvisare una allusione alle àntiche lotte degli eroi contra questi mostri.

Del pari importanti sono pure le streghe ed appunte le cose spettanti alla malia sono quelle, che meglio delle altre si conservarono nella popolazione ladina. Intorno all’origine delle streghe dice Grimm27: „Le streghe facevano parte del seguito delle dee de’ tempi primitivi, le quali precipitate dalla loro sede da esseri favorevoli ed adorati si trasmutarono in esseri sinistri e temuti, che ora vanno di notte tempo errando e raminghe, convenendo ora invece che in processioni come anticamente in vietati conventicoli coi loro partigiani. " Anche presso i Ladini le streghe non vengono considerate che quali agenti sinistri, incapaci di atti generosi. E qui va fatto anzitutto osservare, che a preferenza sono donne, che si abbandonano all’odioso mestiere di strega, il che è però assai naturale, venendo attribuita la magia già nell’antichità quasi esclusivamente alle donne 28. Tuttavia delle volte si sente far menzione anche di „ strions ", ed è onore speciale di Livinallongo, che anche maschi di quella popolazione si sien dati ad esercitare tale professione. Nei sacri misteri della stregoneria possono essere iniziati le giovani non meno che le vecchie, il che però non toglie, che quasi tutte le streghe siano brutte e schiffose29. Dal contadino sono temute prima di tutto per i temporali e la grandine, che portano e con cui distruggono tutte le speranze del campagnuolo30 ). Per provocarli esse mescolano con una bacchetta nei pozzi, nei ruscelli od in altro luogo contenente acqua; barbottano durante quest’operazione certe parole, che sono prive di senso per ognuno, e non dura lungo tempo, che la gragnuola giunge con tutti i suoi dannosi effetti. Sono esse da temersi anzi tutto nei giorni festivi, nei quali invece d’andar in chiesa fanno lunghe gite portandosi ne’ boschi o sui monti per ritornar

_____ [p. 15 modifica] poi colla tempesta. Di qui si spiega, come in primo luogo il contadino esiga dal curato cognizioni tali, che rendano vane le operazioni delle streghe e di qui poi l’espressione così frequente nei paesi ladini:, el è bon dalla tempèsta ", o nel caso contrario: „el ne ve nia dalla tempèsta", od anche „el è bon dalles stris",»èl se para les stris "; se il curato in questo riguardo è meno fortunato, perde in generale tutta la stima nella sua cura, il che quella popolazione poi esprime in modo molto significativo colle parole: „èl è ma n té purè coscio."

Solo le streghe conoscono gli ingredienti della gragnuola, eccettuatone uno, che è visibile anche all’uomo laico e che consiste in quei capelli, che si trovano involti nei granelli della medesima, perciò i contadini venuta la grandine ne raccolgono alcuni granelli, onde esaminarli e se ci intravedono capelli, allora è fuor di dubbio, che il temporale fù opera delle streghe, in caso diverso la cosa è incerta. S’intende da se, che sta nel potere delle streghe di limitare la grandine a certi luoghi e che esse sanno fare in modo, che il proprio campo resti illeso dalla tempesta; avviene però anche, che per non mettersi in sospetto di stregoneria presso la gente permettono, che la tempesta danneggi anche i loro propri campi, se anche in grado minore che quelli degli altri e ciò possono fare tanto piti facilmente, perchè sanno rifarsi de’ danni sofferti tirando per mezzo della loro virtù magica il grano dei vicini dentro nel proprio granaio.

La loro stregoneria s’estende non soltanto sul grano, sui campi e prati, ma anche sul bestiame 31; in primo luogo sono le vacche, che si risentono del loro potere, in quantochè queste brutte vecchie non sempre si contentano di spremere il latte senza loro avvicinarsi, ma spesse volte le mungono fino a tanto che esse crepano; cavano pure il burro dalla zangola, di modo che le padrone talora si affaticano ore ed ore per aver il me* desimo^ ma tutto è invano 32. Le streghe non possono far del

_____ [p. 16 modifica]male alle vache, purché al primo del mese si dia a queste del sale od altre cose benedette, come sarebbero certe erbe e certi fiori. Non fù mai sentito, che le streghe ladine rubassero fanciulli, cosicché in questo riguardo sono di carattere piìl mite che quelle della Germania; scavano però dalle tombe i cadaveri di tenere creature, cui tagliano fuori il cuore per mangiarlo terminata la loro ridda. In ogni caso è buono schivar le streghe quanto sia possibile, perchè con mezzi occulti possono anche cagionar la mort«; così colui, che non sa mantener la promessa della segretezza, è sicuro d’incontrar la morte fra poco. — Per guarentirsi dalle streghe, colle quali si viene a contatto, non bisogna rispondere a nissuna delle questioni, che da loro vengono fatte; se si getta contro le streghe un coltello segnato con una o piti croci, cessa la loro virtìi magica, anzi se il coltello tocca la strega, ella ne resta zoppicante per tutta la vita; giova anche farsi il segno della santa croce o pronunziar il nome di Gesti, come pure è utile contro i loro attentati l’uso del sale, che perciò non si trova mai a banchetto di streghe33.

Merita ancor esser notata la loro tregenda 34. Quando cioè in una casa tutti ormai sono immersi nel sonno, la strega prende una scopa e balzata sul focolare brontola certe parole misteriose, sale su pel cammino e sene va traversando l’aria, finché giunge al posto destinato. Come luogo d’adunanza serve una capanna di montagna, un prato, un ripiano su d’un monte od un bosco. Quai posti prediletti pei loro conventicoli sono conosciuti Col maladett, Quelalt’, che è un monte dirimpetto al primo; in mezzo a Quelalt’si trova una bella pianura, ov’esse di solito fanno la loro ridda; inoltre serve a questo scopo una pianura al di sopra di CoUfosco, che ha nome Yal, in mezzo alla quale c’è una capanna; ci sono ancora altri luoghi, che presero nome dai conventicoli delle streghe, p. e. Sas dalles Strìs, Pian dalles Strìs. Tostochè esse sono radunate comincia

___ [p. 17 modifica]la ridda, durante la quale suonano gatti neri, e quando esse sono stanche, vanno a tavola, ove non mancano bevande e pietanze squisite, tutte però senza sale. Se durante il banchetto arriva per accidente qualcheduno, egli viene servito di cibi, deve però prometter il segreto e povero lui, se non mantiene la promessa.

La tregenda può esser disturbata, se colui, che è giunto di fresco, pronunzia qualche nome sacro; in tal caso si ode uno scoppio uguale a quello del tuono, tutto sparisce in un’attimo ed un nero fumo, che si alza e va sparendo nell’aria, è il solo indizio, che un’istante prima dominava qui sfrenato giubilo. Se all’contrario le streghe possono continuare la loro festa senza esserne disturbate, questa dura sino allo spuntar del giorno del venerdì — giacche i conventicoli regolari hanno luogo la notte del giovedì al venerdì — , al primo tocco della campana, quando questa suona l’Avemaria, tutte friggono a precipizio e svaniscono; perciò le campane sono molto odiate dalle streghe, tanto piti che non mancano casi, in cui le streghe durante le loro operazioni magiche vengono colpite da campane così bruscamente, che ne rimangono zoppicanti per tutta la vita. — Quanto fu detto fin qui, sebbene appartenga al novero delle idee superstiziose, tuttavia non possiamo chiamarlo superstizione nel vero e pieno significato della parola; non è per così dire, che un’efflusso, un’emanazione di questa. Evvi un’altra specie di superstizione, la vera superstizione passiva, della quale dice Grimm35: „Se all’uomo, senza che vi cooperi egli stesso, dall’alto vien fatto vedere qualche segno sorprendente, egli ne deduce fortuna o sfortuna.* A questa vanno annoverati anzi tutto gli indizi della morte, come per esempio quello, che dessa colpisce alcuno di quella casa, nella cui vicinanza un’uccello notturno, in modo speciale il gufo«) 36, fa sentire il suo grido lugubre 37, oppure che essa si annunzi con

_____ [p. 18 modifica] 38certi colpi come di uno che vada picchiando nella parete o battendo alla porta o facendo rotolare una palla pel cortile e per tutta la casa 39, e di spesso pure, segnalatamente, quando la vita di colui, che è destinato a morire, non fìi senza macchia, con ciò che si vede girare attorno alla casa un gatto od un cane nero, un becco, bestie, che per dirla subito altro non sono se non il diavolo in persona, che aspetta la sua vittima; alle volte il diavolo assume pure in tali circostanze la figura di un vago cacciatore con una piuma bianca sul cappello, e vestito di un’abito verde. Se apparizioni simili continuano in una casa anche dopo la morte di qualcheduno, oppure se di notte tempo si vede ujia fiammicella turchina sulla tomba fresca, è segno, che l’anima del defonto per qualche colpa commessa durante vita non potè ancora entrare nel regno de’ cieli e perciò si deve soccorrerla con tutte le divozioni possibili; tuttavia alle volte anche il suffragio è inutile, lo spirito tormentatore accompagna le sue apparizioni non interrotte con fracasso e rumore, il che è segno, che l’anima è condannata a rimaner su questa terra sino ad un certo tempo, per lo più fino al giudizio universale. In occasione simile l’unico mezzo per liberar la gente della casa, che lo spirito visita ed inquieta, dalla tribolazione continua consiste nel rimettere la cosa nelle mani di qualche frate cappuccino, il quale secondo l’opinione del popolo lega l’anima con una corda conducendola poi nelle regioni delle rupi e delle balze per assegnarle là un certo circolo, cui essa non può sorpassare; così la popolazione Ladina crede, che i monti e le rupi siano abitate da anime, che non vennero ancora ritenute degne delle gioie celesti 40. Ci sono inoltre altre anime, che vengono confinate nei prati e queste sono anzi tutto le anime di coloro, che durante la vita rimossero le pietre terminali de’ loro campi, ed è per questo, che in tali luoghi si

____ [p. 19 modifica] vedono sì spesso la notte fiammelle turchine; e qui è pure rimarchevole, che fra più individui, che casualmente attraversano ad un tempo tali prati, gli uni le vedono, gli altri no. Sembra, che perfino i cani s’accorgano della presenza delle fiammelle o degli spiriti, perchè spesse volte essi in tali luoghi fecero de’ grandi rigiri. Questi lumicini non fanno però del male a nissuno, ma d’altronde non è neppur possibile di arrivar loro da vicino per studiar la loro natura a fondo, perchè in modo quasi burlevole vanno sempre allontanandosi in porporzione che loro si si avvicina 41.

Meno predominante è la credenza, che quelle anime non trovino pace nella tomba, che durente vita hanno nascosto qualche tesoro.

I limiti imposti a questo lavoro non permettono una considerazione più estesa delle molteplici fasi della superstizione presso la popolazione Ladina, giacché in tal caso si dovrebbe prendere in considerazione tutto ciò che esercita qualche influenza sulla vita umana, come sarebbero erbe, pietre, malattie eci; in ugual modo si dovrebbe entrare in un discorso sopra i costumi, le usanze e le credenze speciali dei Ladini; per ora basterà rimandare il lettore alla pregevolissima opera del pro^ fessore Ignazio V. Zingerle: „Sitten, Branche und Meinungen des Tiroler Volkes*, constatandosi valere anche per i Ladini più o meno letteralmente quanto in quella vien detto ai numeri seguenti: 2, 28, 41, 61, 108, 127, 128, 130, 134, 149, 161, 177— 179, 188, 190, 207, 209, 211, 221, 224, 246, 251, 273, 274, 287, 289, 297— 301, 307, 312, 313, 318, 325, 378, 380, 399, 401, 402, 404, 405, 406, 419, 420, 424, 434, 442, 446, 448, 450, 451, 457— 459, 477, 478, 496, 497, 499, 500, 508, 514, 525, 526, 527, 537, 550, 553, 554, 557, 565, 566, 613^ 643, 648, 651, 689, 706, 711, 723, 741, 748, 757, 831, 861, 917, 923, 961, 966, 967, 976, 996, 1014, 1026, 1029, 1046, 1065, 1066, 1076, 1081, 1097, 1127, 1133, 1153, 1175, 1180, 1291, 1448, 1502, 1504.

La presente raccolta di proverbi, tradizioni, raccontini, auedcfr. [p. 20 modifica] doti e saggi poetici, non è, come ognuno vede, che di un’estensione assai mediocre e potrebbe senza dubbio venire accresciuta in ogni sua parte in modo significante, purché si potesse disporre liberamente di quei mezzi, che ad intrapresa simile sono indispensabili, ed anzi tutto riuscirebbe facile l’accrescimento del numero dei proverbi, principalmente di quelli, che si riferiscono all’agricoltura ed all’allevamento del bestiame. Ad onta di ciò le parole: „ L’indagatore di tradizioni, l’istoriografo vi troverebbe soggetti di riflessione a ribocco 42, non si possono ammettere che con grande riserbatezza; così per esempio quasi tutte le tradizioni hanno per punto centrale l’Orco, le cui apparizioni, quantunque variamente riferite, avvengono quasi sempre sotto le medesime circostanze, cosicché scorgesi in esse bensì un’idea generale dell’esistenza di un’Orco, ma non essendo questa che assai semplice e limitata i racconti, che si basano su di essa, sono di poca importanza 43. Furono pure accolti nella collezione piccoli racconti ed aneddoti, che formano in ogni idioma una delle fonti più importanti per ischiarire i costumi ed il carattere del popolo. Canzoni ladine mancano affatto e quel poco di poesia44 , che il lettore troverà qui citata, non sono già canzoni popolari tramandateci da tempi rimoti, ma componimenti di data recente, che però non dovrebbero mancare di importanza per chi cerca in esse uno specchio fedele delle idee degli abitanti della valle Ladina propria e delle circostanti, che hanno con essa affinità di idioma. Si è pure ritenuto non inutile l’aggiungervi una versione, per render così il lavoro accessibile ad un maggior numero di lettori; che questa è fatta nella lingua italiana, dovrebbe servire non solo a facilitare la corretta interpretazione del testo ladino, ma essere benanco contemporaneamente giovamento per lo studio delle lingue comparate. [p. 21 modifica] E quì l' autore si sente in obligo di esprimere la sua gratitudine a tutti coloro, che in questo lavoro lo assistettero o con fatti o con consiglio, ma nominatamente al rev. Signor M. Declara, decano di Marebbe; come pure al rev. Signor Cip. Pescosta, cappellano della prepositura del conte Künigl a Ehrenburg nella Pusteria, ambedue i quali oltre ad essere attivissimi ed indefessi lavoratori nella vigna del Signore lo sono pure nella coltivazione del loro idioma; è pure dovuta piena riconoscenza al bravo e diligente maestro scolastico Felice Valentini, da Campitello di Fassa.

  1. cfr. Der Ursprung der Mytbologie, dargestellt an griechischer und deutacher Sage, von Dr. F. L. W. Schwartz. Berlin, Hertz 1860; p. 5 e 10 (Anm.). — Der heutige Volksglaube und das alte Heidenthum, von Dr. F. L. W. Schwartz. Berlin, Hertz 1862; p. 7. — Reste des Heidenthums in Sagen und Gebrauchen des niederosterreichischen Volkes, von Karl Landsteiner; (Programm) Krems, Max Pammer 1869; p. 4.
  2. 2) cfr. Die ladinischen Idiome, dell’autore; Innsbruck, Wagner 1879; p. 8.
  3. cfr. Deutsche Mythologie von Jakob Grimm, 2. Ausgabe, XXXI; Göttingen, Dietrichsche Buchhandlung, 1844.
  4. cfr. Donnerstag.
  5. Grimm, Mythologie I, p. 121.
  6. cfr. Die Götterwelt der deutschen und nordischen Völker, I. p. 108; eine Darstellung v. Wilhelm Mannhardt; Berlin, Schindler 1860.
  7. cfr. Landsteiner, Reste des Heidenglaubens... p. 21.
  8. cfr. Landsteiner, Reste des Heidenglaubens... p. 25.
  9. cfr. Grimm, Mythologie I. p. 454.
  10. cfr. Sagen-Buch von Bohmen und Mahren, I. p. 322, v. Dr. Jos. Virgil Grohmann; Prag, Calve 1868.
  11. cfr. Tirol und Vorarlberg, II. p. 295, von Joh. Jakob Staffler; lnnsbruck 1847.
  12. cfr. Grohmann, Sagen-Buch I. p. 323.
  13. cfr. Grohmann, Sagen-Buch I. p. 323.
  14. cfr. Grimm, Mjthologie L p. 448.
  15. cfr. Grimm, Mythologie 1. p. 452.
  16. cfr. Handbuch der Religi(^n und Mythologie der Griechen und Romer, p. SOS, von H. W. StoU; Leipzig, Teubner 1864.
  17. Nell’opera»Wanderungen durch Tirol und Vorarlberg*, Stuttgart, Gebruder Kroner, alla p. 161 troviamo quanto segue:,Die Mànner hiessen Salvan (invece di Salvans), die Weiber Gannes. Von letzteren hat auch noch ein Bach Ru de gannes in beiden genannten Thàlem seinen Namen. Sie sahen aus wie grosse Affen, waren stark, am ganzen Korper behaart, und hatten lange Nagel an den behaarten Fingem. Dieselbe Sage, die in vielen Ziigen der vom wilden Mann in Deutschland gleicht, traf ich auch im Fassathale. Mi rincresce di non poter acconsentire a
  18. questa descrizione in tutte le sue parti; egli è per l' appunto a Collfosco, nel mio luogo natío, ove le tradizioni intorno ai Salvans ed alle Gannes si sono conservate meglio che altrove, parte perchè, come si narra, questi esseri vi abitavano in maggior quantità che negli altri luoghi ladini, parte perchè gli abitanti di questa valle meno di tutti gli altri vengono a contatto con altra gente. Ora io non sò, sino a qual punto i titoli lusinghieri di »superbi, aspri e litigiosi«, coi quali l’autore caratterizza i Collfoscani, siano fondati, in ogni caso quì anch’io e fosse anche con pericolo di buscarmi il titolo di disputatore non posso far a meno di interessarmi e prender partito pei nostri cari Salvans e per le ancor più care Gannes. Diciamolo pure a loro conforto, che mai nessun Ladino ritenne né i Salvans né le Gannes per scinde od esseri simili a scimie; al contrario, essi erano formati come tutti gli altri uomini — almeno così raccontavano ne’ miei teneri anni le buone vecchierelle, che in questo punto sono la suprema autorità — ne ebbero mai in questo riguardo a che fare cogli ideali di Darwin. Che i Salvans siano stati un po’ pelosi, non si può negare, ma anche al giorno d’oggi si trovano degh uomini pelosi come orsi; che abbiano avuto unghie un po’ lunghette, trovo di ammetterlo anch’io, perchè non avranno avuto coltelli per tagliarsele, ma ho pure udito, che anche ai nostri giorni certi circoli (clubs) usano lasciarsi crescere le unghie lunghe lunghe, quantunque loro non manchino forbici e coltello. Si provi un po’ l’autore, il quale beninteso è persona distintissima e dottissima, di dire, se egli incontra alcuno di questa gente che sia peloso ed abbia le unghie lunghe, che egli assomiglia come i Salvans a una scimia e ne vedrà l’effetto. In quanto alle Gannes poi sappiamo, che molte fra di loro erano assai belle, anzi tanto belle, che delle volte giavani Collfoscani se ne invaghirono e quali mogli le condussero a casa loro, senza che mai avessero poi cagione di pentirsi d’un passo simile. — Mi permetto qui di accennare a due punti della medesima opera, che sono da corregersi: a pag. 162 si legga »Livinallongo« in vece di »Livina longa«, »Monte Civetta« invece di Monte Civita«.
  19. ) cfr. Grimm Mythologie I. p. 85, Anm. 2, I. p. 374.
  20. *) Màxchen und Sagen aus Walschtirol, p. 226 Anni., v. Christian Sclineller, Innsbruck, Wagner, 1867.
  21. cfr. Grimm, Mythologie I. p. 215.
  22. fr. Grimm, Mjrthologie I. p. 151.
  23. cfr. Grimm, Mythologie I. p. 446. — Roggenwolf und Roggenhiind. Beitrag zur germanischen Sittenkunde; (Agrarische Gebrauche) von Wilhelm Mannhardt, Danzig, Ziemssen 1865. — Sitten, Gebrauche und Meinungen des Tiroler Volkes von Ignaz V. Zingerle, IL Aufl. p. 7, n. 49; Innsbruck, Wagner 1871. — Karl Landsteiner, Reste des Heidenglaubens p. 60
  24. Intorno alle sue qualità ed al modo, con cui si mostra, vedasi quanto vien detto di lui sotto il titolo: L Pavaró.»)
  25. cfr. Grimm, Mythologie I. p. S94; 411; 449; II. p. 998; Grohmann, Sagen-Buch I. p. 208; Schwartz, der heutige Volksglaube p, 117.
  26. cfr. Grimm, Mythologie II. p. 654. — Sagen, Marchen iind Gè- brauche aus Tirol, von Ignaz V. Zingerle, Innsbruck 1859, n. 157 — 159, 161. — Deutsche Alpensagen von Joh. Nep. Ritter v. Alpenburg, Wien 1861. — Grohmann, Sagen -Buch I. p. 225. — Sagen und Volksglauben im innern Bregenzer Wald, von Jos. Elsensohn; (Programm dea k. k. kath. Gynmasiums in Teschen 1866).
  27. Grimm, Mythologie II. p. 1007.
  28. Grimm, Mythologie II. p. 991.
  29. Grimm, Mythologie II 1028:» Disse krummnasigen, spitzkinnigen, hangiippigen, schiefzahnigen, rauchfìngerigen Weiber
  30. *) efr. Mythische Grundlage des deutschen Hexenglaubens, p. 22, v. Karl Grozinger; (Jahres-Bericht des k k. Obergimnasiuma in Krems, 1867).
  31. cfr. Grimm, Mythologie II. p. 1025.
  32. cfr. Grozinger, mytliische Grundlage d. deutsch. Hex. p. 12, lo. ^ Germauische Mythen, Forschungen von W. MaDnhardt, Berlin, fcchneider 1858, pag. 84.
  33. cfr. Grimm, Mjthologie IL p. 1056.
  34. 2) cfr. Grozinger, mythische Grundlage d. deutsch. Hex. p. 22, 23, 25. — Grimm, Mythologie II. p. 1008, 1006, 1024, 1028, 1080, 1089, 1092.
  35. cfr. Grimm, Mythologie IL p. 1059.
  36. cfr. Ovid. mei 5,550;

    Foedaque fit volucris, venturi nuntia luctus
    Ignavus bubo, dirum mortalibus omen,

  37. cfr. Grimm, Mythologie IL p. 1088. — Elsensohn, Sagen und Alton, Anneddoti. 2
  38. Volksgl. im inn. Bregenzerwalde p. 81. — Mythen und Brauche des Volkes in Oesterreich, (p. 104), von Theod. Vemaleken, Wien, 1859. — Zingerle, Sitten, Brauche und Meinungen d. T. V. (IV. Tod und Geister).
  39. *) cfr. Landsteiner, Reste des Heidenglaubens, p. 29.
  40. 2) cfr. Grohmann, Sagen-Buch I. p. IS, 26, 251. — Griechische Marcken, Sagen und Volkslieder, v. Bernhard Schmidt, Leipzig, 1877, (p. 25).
  41. Grimm, Mythologie p. 868, 870.
  42. Wanderungen durch Tirol und Vorarlberg, p. 161.
  43. La quantità delle tradizioni non oltrapassa di molto l’estensione indicataci dallo Staffler nella sua opera, Tirol und Vorarlberg*, Innsbruck 1847, a pag. 286, 287, 297, voi. II.
  44. I saggi poetici saranno dati alla stampa fra breve.