Racconti fantastici (Nodier)/Smarra o il demonio della notte/L'episodio

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Smarra o il demonio della notte - Il racconto Smarra o il demonio della notte - L'epodo
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L’EPISODIO


Hanc ego de cælo ducentem sidera vidi
Fluminis hæc rapidi carmine vertit iter.
Hæc cantu finitque solum, manesque sepulchris
Elicit et tepido devocat ossa rogo.
Quum libet, hæc tristi depellit nubila cælo:
Quum libet, æstiva convocat orbe nives. 1
Tibullo.


Bada che questa notte tn avrai de’ tremiti e delle convulsioni; i demoni nel tempo della notte profonda, in cui loro è permesso di agire, eserciteranno so te la loro crudele malignità, lo ti manderò pizzicature serrate quanto le cellule dell’alveare, e ciascuna di esse sarà bruciante quanto il pungiglione dell’ape che lo costruisce.

Shakspeare.


Chi di voi non conosce, o giovinette! i dolci capricci delle donne, disse Palemone rallegrato. Voi avete amato senza dubbio e sapete come il cuore d’una vedova cogitabonda che smarrisce le sue solitarie ricordanze sulle rive ombrose del Peneo, si lascia sorprendere qualche volta dal bruno colorito di un soldato, gli occhi del quale sfavillano di fuoco battagliero, e il cui seno brilla dello splendore d una generosa cicatrice. Egli cammina fiero e tenero fra le belle come leone addomesticato che cerca di dimenticare nei piaceri d’una avventurata e facile servitù, il ricordo doloroso de’ suoi deserti. È così che il soldato ama occupare il cuore delle donne, quando non è più chiamato dalla tromba delle battaglie e che la sorte del combattimento non solletica più la sua impaziente ambizione. Egli sorride collo sguardo alle giovinette e sembra dir loro: Amatemi!...

Sapete pure. essendo voi Tessale, che nessuna donna, ha mai uguagliata in bellezza questa nobile Meroe, che dopo la sua vedovanza, strascina lunghi drappi bianchi [p. 73 modifica]ricamati d’argento; Meroe, la più bella delle belle figlie di Tessaglia, lo sapete. Ella è maestosa come le dee, eppure v’è ne’ suoi occhi una non so quale fiamma mortale che incoraggia le pretese d’amore. Oh quante volte mi sono immerso nell’aria ch’ella trascina, nella polvere che i suoi piedi sollevano, nell’ombra fortunata che la segue!... Quante volte sono corso davanti a lei per rapire un raggio a’ suoi sguardi, un soffio alla sua bocca, un atomo al vortice che molce e accarezza i suoi movimenti, quante volte (Telaria me lo perdonerai tu?) io spiava l’ardente voluttà di sentire una delle pieghe del suo vestito fremere contro la mia tunica, o di potere raccogliere con avide labbra una delle pagliuzze staccatasi da’ suoi ricami nei viali del giardino di Larissa! Quando ella passava, vedi, tutte le nuvole rosseggiavano come all’avvicinarsi della tempesta; fìschiavarmi gli orecchi, le mie pupille s’oscuravano nell’orbita smarrita, il mio cuore era presso ad annientare sotto il peso d’una gioia intollerabile. Ella era là! io salutava le ombre che avevano svolazzato su di essa, aspirava l’aria che l’aveva toccata; io diceva agli alberi dello rive: Avete visto voi Meroe? so ella s’era posata sur un’aiuola di fiori, con qual geloso amore io raccoglieva i fiori che il suo corpo aveva schiacciato, i bianchi petali imbevuti di carmino che decorano la fronte china dell’anemone, le freccie abbaglianti che spiccano dal disco d’oro della margherita, il castissimo velo girantesi intorno ad un giovane giglio prima che egli abbia sorriso al sole, e se io ardiva premere con sacrilego abbraccio tutto questo letto di fresca verdura, essa m’incendiava con fuoco più sottile di quello con cui la morte ha tessuto i vestimenti notturni d’un febbricitante. Meroe non poteva a meno di rimarcarmi, ero da per tutto. Un giorno all’avvicinarsi del crepuscolo trovai il suo sguardo; sorridente; ella mi aveva sorpassato, il suo passo si rallentò. Io ero solo dietro di lei, io la vidi retrocedere. L’aria era calma e non disordinava i suoi capelli, pure la sua mano alzata se li riavvicinava per riparare al loro disordine. Io la seguii, Lucio, fino al palazzo, fino al tempio, della principessa di Tessaglia e la notte discendeva su noi, notte di delizie e di terrore... Oh se essa fosse stata l’ultima della mia vita!

Io non so se tu abbia sopportato mai con una rassegnazione mista d’impazienza e di tenerezza il peso del corpo dell’amante addormentata che si riposa sul tuo braccio disteso senza pur sospettare che tu soffri, non so se tu abbia allora tentato di lottare contro il fremito che si impadronisce a poco a poco del sangue contro l’indolenzimento che incatena i tuoi muscoli sottomessi, di opporti alla conquista della morte che minaccia di [p. 74 modifica]estendersi fino alla tua anima.2 È cosi, Lucio, che un brivido doloroso scorreva rapidamente i miei nervi, scuotendoli di tremori inattesi come l’acuto uncinetto nel plettro che fa risuonare tutte le corde della lira sotto le dita d’un abile suonatore. La mia carne si tormentava come una secca cartilagine vicina al fuoco, il mio petto sollevato era presso a rompersi, rompendo così i legami di ferro che ravviluppavano, quando Meroe tutto ad un tratto sedutami accanto e fermato su’ miei occhi uno sguardo profondo, allungò la mano sul mio cuore per assicurarsi che il moto ne era sospeso, ve la tenne a lungo, pesante e fredda, poi si fuggì lontano colla velocità d’una freccia che la corda della balestra lancia fremendo. Ella correva sopra i marmi del palazzo, ripetendo le arie delle vecchie pastorelle di Siracusa che incantano la luna nelle sue nuvole di madreperla e d’argento, avvolta nella vastità della sala e gridava di tanto in tanto con scoppii di gaiezza orribile per chiamare non so quale amico che ella non mi aveva ancora fatto conoscere.

Mentre riguardavo pieno di terrore e che vedevo discendere lungo la muraglia premersi sotto i portici, fluttuare sotto le volte una folla di vapori distinti gli uni dagli altri, ma che non avevano della vita che le apparenze della forma, che una voce fioca come il lene mormorio dello stagno più calmo in una notte silenziosa, un colore indeciso tolto agli oggetti davanti ai quali ondeggiavano le loro figure trasparenti... la fiamma azzurrognola e scoppiettante si svolse a poco a poco dai tripodi e Meroe formidabile volava dall’uno all’altro, mormorando delle parole confuse: Qui della verbena in fiore e là tre gambi di salvia colti a mezzanotte nel cimitero dei morti di spada... qui il velo della ben amata sotto il quale il ben amato nascose il suo pallore e la sua desolazione dopo di avere sgozzato lo sposo addormentato per godere de’ suoi amori... qui ancora lo lagrime d’una tigre basita per fame, che non si consola di aver divorato uno de suoi piccini! E i suoi tratti stravolti esprimevano tanta sofferenza e tanto dolore, che mi fece quasi pietà. Inquieto nel vedere i suoi scongiuri sospesi da qualche ostacolo imprevisto, ella fe’ un balzo di rabbia, s’allontanò, e rivenne armata di due lunghe [p. 75 modifica]bacchette d’avorio legate all’estremità per un laccio composto da tredici crini, strappati dal collo d’un superbo cavallo bianco dallo stesso ladro che ne aveva ucciso il padrone, e nella treccia flessibile ella fece volare il rombo d’ebano dai globi vuoti e sonori, il quale rumoreggiò e urlò nell’aria, e ritornò rotolando con un brontolamento sordo, e rotolò ancora rumoreggiando, poi si rallentò e cadde. Le fiamme del treppiede allora si svilupparono come lingue di colubro, e le ombre erano contente. Venite, venite, gridò Meroe, bisogna che i demoni della notte s’affollino e che i morti se la godano. Portatemi della verbena in fiore, della salvia colta a mezzanotte e del trifoglio a quattro foglie; date dei bei mazzi a Saga e ai demoni della notte.

Poi volgendo l’occhio stupito sopra l’aspide d’oro le cui spire giravano intorno al suo braccio nudo; sul braccialetto prezioso opera del più valente artefice della Tessaglia, il quale non aveva risparmiato nè per la scelta dei metalli, nè per la perfezione del lavoro, l’argento vi era incrostato in iscaglie delicate e non ve n’era una la cui bianchezza non fosse rivelata dallo splendore d’un rubino o dalla trasparenza così dolce allo sguardo di un zaffiro più azzurro del cielo; essa lo stacca, medita, sogna, chiama il serpente, mormorando parole misteriose; e il serpente animato si svolge e fugge con un fischio di gioia come uno schiavo affrancato. E intanto il rombo rotola ancora, rotola sempre rumoreggiando, rotola come la folgore lontana che si lamenta nelle nuvole trasportate dal vento e che s’estingue gemendo nell’uragano già finito. Pure tutte le volte s’aprono, gli spazi del ciclo si dispiegano, gli astri discendono, le nuvole si spianano e trasformano la soglia in atri tenebrosi. La luna, macchiata di sangue, assomiglia allo scudo di ferro sul quale si sta trasportando il corpo d’un giovane spartano scannato dal nemico. Essa gira e gravita su me il suo disco livido oscurato anche dal fumo dei tripodi spenti. Meroe continua a correre, battendo colle sue dita da cui scattano lunghi lampi le innumerevoli colonne del palazzo e ciascuna colonna dimezzandosi sotto le dita di Meroe scopre un colonnato immenso popolato da fantasmi ciascuno dei quali balte come lei una colonna, che apre altri colonnati; non v’ha colonna che non sia testimonio del sacrificio d’un neonato rapito alle carezze materne. Pietà! pietà! gridai per la madre sfortunata che disputa il bambino alla morte. Ma questa preghiera soffocata, non arrivava alle mie labbra che colla forza del soffio di un agonizzante che dice: Addio! e spirava in suoni inarticolati sulla mia bocca balbuziente. Moriva come il grido di un uomo che affoga e cercante invano di confidare [p. 76 modifica]alle mute acque l’ultimo appello della disperazione: l’acqua insensibile soffoca la voce dell’infelice; e lo ricopre triste e fredda: divora il suo pianto e noi trasporterà mai fino alla riva. Mentre io mi dibatteva contro il terrore da cui ero oppresso e che tentavo di strappare dal mio seno qualche maledizione che risvegliasse nel cielo la vendetta degli Dei: Miserabile! sclamò Meroe, sii punito per sempre della tua insolente curiosità! Ah! tu osi violare gli incantesimi del sonno... Tu parli, tu gridi, e tu vedi... Ebbene tu non parlerai più che per lamentarti, non griderai più che per implorare invano la sorda pietà degli assenti, non vedrai più che scene d’orrore che ti agghiacceranno l’anima... E così dicendo, con una voce più acuta e straziante di quella delle iene scannate, che ancor minacciano i cacciatori, essa distaccava dai suo dito la turchese cangiante che sprezzava fiamme variate come i colori dell’iride, o come l’onda balzata dalla marea che monta, e riflette nel volgere su sè stessa i fuochi del sole nascente. Meroe preme col dito una molla sconosciuta che fa scattare la pietra meravigliosa sopra una cerniera invisibile e scopre in uno scrigno d’oro non so qual mostro incoloro e informe che salta, urla, si slancia e cade accoccolato sul seno della maga. Eccoti, disse, mio caro Smarra, il ben amato, l’unico favorito de’ miei pensieri amorosi, tu che l’odio celeste ha scelto ne’ suoi tesori per la disperazione dei figliuoli dell’uomo. Va, te lo impongo, spettro lusinghiero o ingannatore, o terribile, va a tormentare la vittima che ti abbandono, falle subire supplizi vari quanto gli spaventi dell’inferno che t’ha concepito, crudeli, inesplicabili come la mia collera. Va a satollarti colle angosce del suo cuore palpitante, a contar i battiti convulsi del suo polso che s’accelera, e t’arresta a contemplare la sua dolorosa agonia e a sospenderla per la ricominciare... A questo prezzo, schiavo fedele dell’amore, potrai al partir dei sogni ridiscendere sull’origliere imbalsamato della tua amante e stringere nelle tue braccia accarezzanti la regina dei terrori notturni... Ella disse e il mostro sì tolse dalla sua mano bruciante come la piastrella rotonda del discobolo, vola nell’aria colla rapidità de’ fuochi artificiali che si lanciano dalle navi, stende le ali bizzarramente festonate, sale, discende, ingrandisce, scema e, nano deforme e giulivo, le cui mani sono armate d’unghie d’un metallo più fino che l’acciaio, che penetrano nella carne senza lacerarla e bevono il sangue alla foggia delle pompe insidiose delle sanguisughe, sì attacca al mio cuore, si sviluppa, solleva la testa enorme e ride. Invano il mio occhio esterrefatto cerca nello spazio che può abbracciare un oggetto che lo rassicuri; i mille demoni della notte scor[p. 77 modifica]tano il terribile demonio della turchese. Donne contrafatte dallo sguardo ebro, serpenti rossi e violetti la cui bocca getta fuoco, lucertole che levano al disopra di un lago di fango e di sangue un viso simile a quello dell’uomo, teste appena staccate dal busto dall’ascia del soldato, ma che mi fissano con ocelli viventi e si fuggono balzando su piedi di rettili... Dopo questa notte funesta, o Lucio! notti tranquille per me non son possibili. Il letto profumato delle fanciulle non aperto che ai sogni voluttuosi, la tenda malsicura del viaggiatore che si pianta tutte le sere sotto novelle ombre; il santuario stesso dei templi è un asilo impotente contro i demoni della notte. Appena le mie pupille affaticate dalla lotta contro il sonno così temuto, si chiudono oppresse, tutti i mostri son là, come al momento in cui li ho visti scappare insieme a Smarra dal magico anello di Meroe. Corrono in cerchio intorno a me, mi stordiscono colle loro grida, mi spaventano coi loro piaceri e imbrattano le mie labbra frementi colle loro carezze d’arpia. Meroe li conduce, librata al disopra di essi, scuotendo la sua lunga capigliatura da cui spruzzano de’ raggi d’un azzurro livido. Anche ieri... ella era ben più grande che non l’abbia vista l’altre volte... erano le medesime forme e i medesimi tratti, ma sotto la loro apparenza seducente, scopriva con terrore come attraverso un velo sottile e leggero la tinta plumbea della maga e le sue membra color dello zolfo. I suoi occhi fissi e incavati erano pieni di sangue, lagrime di sangue rigavano le sue guance profonde e la sua mano stesa nello spazio lasciava impressa nell’aria medesima la traccia d’una mano di sangue. — Vieni, mi disse, sfiorandomi con un cenno del dito che m’avrebbe annientato, se m’avesse toccato; vieni a visitare l’impero ch’io do al mio sposo perchè voglio che tu conosca tutti i dominii del terrore e della disperazione. — E così dicendo ella volava davanti a me, coi piedi appena staccati dal suolo e avvicinandosi e allontanandosi alternativamente dalla tetra come la fiamma che ballonzola al disopra d’una torcia lì lì per estinguersi. Oh! come l’aspetto della via che noi divoravamo correndo era spaventevole a tutti i sensi! come la maga stessa pareva impaziente di trovarne la fine! Immagina la sepoltura dove si seppelliscono i resti degli innocenti, vittime dei loro sagrifici e tra i più imperfetti di questi avanzi non un pezzo che non abbia conservato una voce, dei gemiti e delle lagrime! Immagina dei muri mobili ed animati che si rinserrano da una parte e dall’altra davanti a te, e che abbracciano a poco a poco le tue membra colla cinta di una prigione angusta o diacciata... Il tuo seno oppresso si solleva, trasale, balza per aspirare [p. 78 modifica]l’aria della vita attraverso la polvere delle rovine, il fumo delle fiamme, l’umidità delle catacombe, il soffio velenoso della morte... e tutti i demoni della notte gridano, fischiano, urlano o ruggiscono al tuo orecchio spaventato: tu non respiri più!

E mentre camminavo, un insetto mille volte più piccolo di quello che intacca con debole dente il tessuto delicato delle foglie di rosa, un atomo disgraziato che passa mille anni prima di segnare uno de’ suoi passi sulla sfera universale del cieli; la cui materia è mille volte più dura del diamante... Esso pure camminava e camminava; e la traccia ostinata de’ suoi piedi infingardi aveva diviso questo globo imperituro fino al suo asse. Dopo aver percorso così, tanto il nostro slancio era rapido, una distanza per la quale il linguaggio dell’uomo non ha termini di comparazione, vidi sorgere dalla bocca d’uno spiraglio vicino a noi quanto la più lontana delle stelle qualche tratto di bianca luce. Piena di speranza, Meroe si slanciò ed io la seguii trascinato da una potenza invincibile; e d’altronde il cammino del ritorno cancellato come il nulla, infinito come l’eternità, si chiudeva dietro di me in modo impenetrabile al coraggio e alla pazienza dell’uomo.

V’era già tra Larissa e noi tutti gli avanzi dei mondi innumerevoli che han preceduto questo nei saggi della creazione, dal cominciamento de’ tempi; e il più gran numero dei quali lo sorpassa in immensità almeno di quanto egli stesso eccede colla sua estensione prodigiosa il nido invisibile del moscerino. La porta sepolcrale che ci ricevette o piuttosto che ne aspirò all’uscir di questa voragine, s’apriva su una pianura senza orizzonte che mai nulla produsse. Vi si distingueva appena in un angolo lontano del cielo il contorno indeciso di un astro immobile ed oscuro: più immobile dell’aria, più oscuro delle tenebre regnanti in questo soggiorno di desolazione. Era il cadavere del più antico de’ soli giacente nel fondo cupo del firmamento, come un battello sommerso sur un lago ingrossato dallo squagliarsi delle nevi. La luce pallida che colpiva i miei occhi non originava da lui. Si sarebbe detto che essa non aveva alcuna origine e che non era che un colore speciale della notte a meno che non la risultasse dall’incendio di qualche mondo lontano e la cui cenere bruciasse ancora. Allora, lo crederesti? vennero tutte le streghe di Tessaglia, scortate da questi nani della terra che lavorano nelle miniere e hanno il volto come il rame, e i capelli azzurri come l’argento nella fornace, scortate da salamandre dalle lunghe braccia, dalla coda piatta come un remo, dai colori sconosciuti, che scendono vive ed agili dal mezzo delle fiamme, come lucertole nere attraverso una polvere di fuoco; [p. 79 modifica]vennero seguite da Aspide dal corpo fragilissimo e oltremodo slanciato, sormontato da una testa deforme, ma ridente, che si altalenava sulle ossa delle loro gambe vuote e smilze, simili a una sterpa agitata dal vento; di Acroni, che non han nè membra, ne voce, nè figura, nè età e che balzano piangendo sulla terra gemente come otri gonfi d’aria; degli Psilli che succhiano un tossico crudele, avidi di veleno, riddano, gettando fischi acuti per isvegliare i serpenti, per risvegliarli negli asili nascosti. nei cavi sinuosi dei serpenti. Vi eran là fino le Morfose che avete tanto amato, belle come Psiche, che danzano come le Grazie, che hanno armonie come le Muse, e il cui sguardo seduttore, più penetrante, più avvelenato del dente della vipera, incendia il nostro sangue e fa bollire il midollo nelle vostre ossa calcinate. Tu le avresti vedute, avviluppate ne’ loro lenzuoli di porpora con giranti attorno ad esse delle nubi più brillanti dell’Oriente, più profumate degli incensi d’Arabia, più armoniose del primo sospiro d’una vergine tocca dall’amore, il cui vapore inebbriante affascina l’anima per ucciderla. Presto i loro occhi mandano una fiamma umida che attira e divora; presto esse piegano la testa con una grazia sol proprio ad esse, sollecitando la vostra fiducia credula con un sorriso accarezzante, sorriso d’una maschera perfida e animata che nasconde la gioia del delitto e la lucidezza della morte. Che dirò di più? Trascinata dal turbine degli spiriti galleggianti come una nuvola, come il fuoco d’un rosso sanguigno che ascende da una città incendiata, come la lava liquida che si spande, cresce, intreccia ruscelli ardenti su una campagna di cenere... Io arrivai... arrivai. Tutti i sepolcri erano aperti... tutti i morti erano esumati... tutte le lamie pallide, impazienti, affamate erano presenti; esse rompevano le assi dei cataletti, stracciavano le vestimenta sacre, le ultime vestimenta dei cadaveri; si dividevano dei spaventevoli avanzi con una più spaventevole voluttà e con mano irresistibile, poichè io era ahimè, debole e captivo come un bimbo di latte, esse mi sforzavano di associarmi... o terrore! al loro esecrabile festino!... Nel terminare queste parole Palemone si sollevò sul suo letto e tremante, smarrito, coi capelli arricciati, lo sguardo fisso e terribile, ci chiamava con voce che nulla aveva di umano. — Ma le canzoni dell’arpa di Mirteo volavano di già nell’aria, i demoni erano tranquilli, il silenzio era calmo come il pensiero dell’innocente che dorme alla vigilia della sua condanna. Palemone dormiva, dormiva placidamente ai dolci suoni dell’arpa di Mirteo.

Note

  1. La vidi condurre le stelle del cielo; costei coi carmi devia il corso del rapido fiume. Col canto muove il suolo e richiama dal sepolcro le anime dei morti del tepido rogo le ossa. Quando a lei piace scaccia le sinistre nubi dal cielo e raduna nevi alla stagione estiva.
  2. Nella Tempesta di Shakspeare, tipo inimitabile di questo genere di composizioni, l’Uomo mostro che è invaso dai maligni spiriti si lamenta anche di crampi insopportabili che precedono i suoi sogni. È singolare che questa induzione fisiologica, sopra una delle più crudeli malattie di cui la specie umana sia tormentata, non sia stata colta che dai poeti.