Re grande e forte, a cui compagne in guerra
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CANZONE III.
Re grande e forte[1], a cui compagne in guerra
Militan Virtù somma, alta ventura
Io, che l’età futura
Voglio obbligarmi a far giustizia al Vero,
5E mostrar quanto in tes’alzò Natura,
Nel sublime pensiero
Oso entrar, che tua mente in sè rinserra,
Ma con quai scale mai, per qual sentiero
Fia che tant’alto ascenda?
10Soffri, Signor, che da sì chiara face,
Più di Prometeo audace,
Una favilla gloriosa io prenda,
E questo stil n’accenda
Questo stil, che quant’è di me maggiore,»
15Tanto è, rincontro a te, dite minore.
Non perchè Re sei tu, sì grande sei;
Ma per te cresce, e in maggior pregio sale
La Maestà Regale.
Apre Sorte al regnar più d’una strada:
20Altri al merto degli Avi, altri al Natale,
Altri ’l debbe alla spada.
Tu a te medesimo e a tua virtude ildei.
Chi è, che con tai passi al soglio vada?
Nel dì, che fosti eletto,
25Voto Fortuna a tuo favor non diede,
Non pallìata fede,
Non timor cieco; ma verace affetto,
Ma vero merto e schietto.
Fatto avean tue prodezze occulto patto
30Col Regno, e fosti Re pria d’esser fatto.
Ma che? Stiasi lo scettro ora in disparte.
Non io col fasto del tuo regio Trono,
Teco bensì ragiono,
Nè ammiro in te quel, ch’anco ad altri è dato.
35Dir ben può quante in Mar l’arene sono
Chi può di rime armato
Dir quant’in guerra e quant’in pace hai sparte
Opre ammirande, in cui non ha l’alato
Vecchio ragion veruna.
40Qual’è alle vie del Sol sì ascosa piaggia,
Che contezza non aggia
Di tue vittorie, o dove il giorno ha cuna,
O dove l’aere imbruna,
O dove Sirio latra, o dove scuote
45Il pigro dorso a’ suoi destrier Boote?
Sallo il Sarmato infido, e sallo il crudo
Usurpator di Grecia; il dican l’armi
Appese a i sacri marmi,
E tante a lui rapite insegne e spoglie,
50Alto soggetto di non bassi carmi.
Non mai costà le soglie
S’aprir di Giano, che tu spada e scudo
Dell’Europa non fossi. Or chi mi toglie
Tue palme antiche e nuove
55Dar tutte in guardia alle Castalie Dive?
Fiacca è la man che scrive;
Forte è lo spirto, che a più alte prove
Ognor la instica e muove;
E quei, che a’ venti le grand’ale impenna,
60Quei la spada a te regge, a me la penna.
Svenni e gelai poc’anzi allor, ch’io vidi
Oste sì orrenda; tutt’i fonti, e tutti
Quasi dell’Istro i flutti
Seccar col labbro, e non bastare a quella
65Del Frigio suolo, e dell’Egizio i frutti.
Ohimè!, vid’io la bella
Real Donna dell’Austria in van di fidi
Ripari armarsi, e poco men che ancella
Porger nel caso estremo
70A indegno ferro il piede: il sacro busto
Del grande Impero augusto
Parea tronco giacer del Capo scemo:
E il genere supremo
Volar d’intorno, e gran Cittadi e Ville
75Tutte fumar di barbare faville.
Dall’ime sedi vacillar già tutta
Pareami Vienna, e in panni oscuri ed adri
Le spaventate Madri
Correre al Tempio, e detestar degli anni
80L’ingiurioso dono i vecchi Padri,
L’onte mirando e i danni
Della misera Patria arsa e distrutta
Nel comun lutto e ne i comuni affanni.
Ma se miserie estreme,
85E incendi e sangue, e gemiti e ruine
Esser doveano alfine,
Invitto Re, di tue vittorie il seme:
Di tante accolte insieme
Furie, ond’ebbe a crollar dell’Austria il soglio,
90(Soffra, ch’io ’l dica, il Ciel) più non mi doglio.
Della tua spada al riverito lampo
Abbagliata già cade, e giù s’appanna
L’empia Luna Ottomana.
Ecco rompi trinciere, ecco t’avventi;
95E qual fiero leon che atterra e scanna
Gl’impauriti armenti,
Tal fai macello sull’orribil Campo,
Che ’l suol ne trema. L’abbattute genti
Ecco spargi e calpesti;
100Ecco spoglie e bandiere a un tempo togli,
E ’l duro assedio sciogli;
Ond’è, ch’io grido e griderò: Giugnesti
Guerreggiasti, vincesti;
Sì, sì vincesti, o Campion forte e pio,
105Per Dio vincesti, e per te vinse Iddio.
Se là dunque, ove d’Inni alto concento
A lui si sporge, spaventosa e atroce
Non tuona Araba voce:
Se colà non atterra impeto folle
110Altari e Torri: e se Empietà feroce
Da i sepolcri non tolle
Il cener sacro e non lo sparge al vento:
Sbigottito Arator da eccelso Colle
Se diroccate ed arse
115Moli, e Rocche giacer tra sterpi e dumi;
Se correr sangue i fiumi,
Se d’abbattuti eserciti, e di sparse
Ossa gran monti alzarse
Non vede intorno; e se dell’Istro in riva
120Vienna in Vienna non cerca, a te s’ascriva,
S’ascriva a te se ’l pargoletto in seno
Alla svenata genitrice esangue
Latte non bee col sangue.
S’ascriva a te se inviolate e caste
125Vergini e Spose, nè da morso d’angue
Vìolator son guaste,
Nè in sè puniscon l’altrui fallo osceno,
Per te sue faci Aletto e sue ceraste
Lungi dal Ren trasporta:
130Per te, di santo amor pegni veraci,
Si danno amplessi e baci
Giustizia e Pace, e la già spenta e morta
Speme è per te risorta;
E tua mercè, l’insanguinato solco
135Senza tema, o periglio ara il Bifolco,
Tempo verrà, se tanto lunge io scorgo,
Che fin colà ne’ secoli remoti
Mostrar gli Avi ai Nepoti
Vorranno il Campo alla tenzon prescritto.
140Mostreran lor, donde per calli ignoti
Scendesti al gran conflitto,
Ove pugnasti, ove in sanguigno gorgo
L’Asia immergesti. Quì, diran, l’invitto
Re Polono accampossi:
145Là ruppe il vallo, e quà le schiere aperse,
Vinse, abbattè, disperse:
Quà monti e valli e là torrenti e fossi
Feo d’uman sangue rossi:
Quì ripose la spada, e quì s’astenne
150Dall’ampie stragi, e ’l gran destrier ritenne.
Che diran poi quando sapran, che i fianchi
D’acciar vestiti non per tema, o sdegno,
Non per accrescer Regno,
Non perchè eterno inchiostro a te lavori
155Fama eterna, e per te sudi ong’ingegno;
Ma perchè Iddio s’onori,
E al suo gran nome Adorator non manchi:
Quando sapran, che d’ogni esempio fuori
Con profondo consiglio,
160Per salvar l’altrui Regno, il tuo lasciasti:
Che ’l capo tuo donasti
Per la Fè, per l’onore al gran periglio:
E ’l figlio istesso, il figlio
Della gloria e del rischio a te consorte,
165Teco menasti ad affrontar la morte?
Secoli, che verrete, io mi protesto,
Che al verfò ingiuria, e men del Vero è quello
Ch’io ne scrivo e favello.
Chi crederà quell’eroico dispregio
170Di prudenza e di te, che assai più bello
Fa di tue palme il pregio?
Chi crederà, che a te medesimo infesto,
E a te negando il maestevol regio
Titol, di mano in mano
175Sia tu in battaglia a i maggior rischi accinto,
Non dagli altri distinto,
Che nel vigor del senno e della mano,
Nel comandar sovrano,
Nell’eseguir compagno; e del possente
180Forte esercito tuo gran braccio e mente?
Ma in quel, ch’io scrivo, d’altri Allor la fronte
Tu cingi, e nuove sotto ferreo arnese
Tenti e più chiare imprese.
Or dà fede al mio dir. Non io l’Ascrèo,
185Che già la sete giovanil m’accese,
Torbido fonte beo,
Ma Clio la Croce, e mio Parnaso è il Monte,
Quel Monte, in cui la grande Ostia cadèo.
Se per la Fè combatti,
190Và pugna e vinci sull’Odrisia Terra,
Rocche e Cittadi atterra,
E gli Empi a un tempo e l’Empitade abbatti.
Eserciti disfatti
Vedrai, vedrai ( pe’ tuoi gran fatti il giuro )
195Cader di Buda e di Bizanzio il muro.
Sù sù, fatal Guerriero: a te s’aspetta
Trar di ceppi l’Europa e ’l sacro ovile
Stender da Battro a Tile.
Qual mai di starti a fronte avrà balìa
200Vasta bensì, ma vecchia, inferma e vile
Cadente monarchìa
Dal proprio peso a ruinar costretta?
Se ’l ver mi dice un’alta fantasia,
Te l’usurpata Sede
205Greca: te ’l Greco inconsolabil suolo
Chiama: te chiama solo,
Te sospira il Giordano: a te sol chiede
La Galilea mercede:
A te Betlemme, a te Sìon si prostra,
210E piange e prega, e ’l servo piè ti mostra:
Vanne dunque Signor. Se la gran Tomba
Scritto è lassù, che in poter nostro torni:
Che al suo Pastor ritorni
La Greggia, e tutti al buon Popol di Cristo
215Corran dell’uno e l’altro Polo i giorni:
Del memorando acquisto
A te l’onor si serba. Odi la tromba,
Che in suon d’orrore e di litizia misto
Strage alla Siria intima.
220Mira, come or dal Cielo in ferrea veste
Per te Campioni celeste
Scenda, e l’empie falangi urti e reprima,
Rompa, sbaragli, opprima.
Oh qual trionfo a te mostr’io dipinto!
225Vanne, Signor; se in Dio confidi, hai vinto.
Note
- ↑ A Giovanni III Re di Polonia