Relazione d'una miracolosa guarigione seguita in Sicilia li 7 Gennajo 1762 per intercessione dell'apostolo delle Indie s. Francesco Saverio
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RELAZIONE
D’UNA MIRACOLOSA GUARIGIONE
Seguita in Sicilia li 7 Gennajo 1762
PER INTERCESSIONE DELL’APOSTOLO DELLE INDIE
S. FRANCESCO SAVERIO
In Scicli, Città illustre della Sicilia il dì 14 Decembre dell’anno scorso 1761 D. Michele Zisa, nobile di detta Città, fu improvisamente assalito da tale insulto Epilettico, che restò come morto, cioè privo affatto dell’uso de’ sentimenti, senza altro segno di vita, se non che si scorgevano in lui continue, e violente vibrazioni ne’ muscoli, massime delle mandibole. Rimasto così per lungo tratto di tempo, cominciava a ripigliare l’uso della lingua, quando al termine di 48 ore in punto, per un altro colpo più gagliardo del primo, di nuovo perdè la loquela, il moto ed ogni altro sentimento, fuorchè l’udito, che, come egli disse dipoi, gli restò sempre libero. Parendo disperato il caso, che potesse più riaversi, fu chiamato il suo Confessore, acciò l’assistesse come meglio poteva a ben morire. Ma quì cominciò a vedersi un mezzo miracolo, foriere d’altri maggiori, che vennero in appresso. L’infermo ricuperata fuor d’ogni aspettazione la loquela, e gli altri sensi, potè confessarsi, sebbene con qualche stento, e quindi anche prendere il Santo Viatico, dopo di che tornò a poco a poco a perdere l’uso della lingua, e di tutti i sensi. I Medici, che per questi segni pronosticavano un terzo colpo, volendo pure in qualche modo prevenirlo, e se fosse possibile divertirlo, si affrettarono di dargli de’ gagliardi medicamenti, e sopra tutto gli fecero applicare i vessicanti, ma tutto fu indarno. Compito il periodo d’altre 48 ore, replicò l’accidente per la terza volta, e con tanta forza, che più non lasciava speranza alcuna di vita. In questo stato di cose il di lui fratello D. Pietro Zisa, sapendo quanto egli era divoto di S. Francesco Saverio, se gli accostò all’orecchio, gli suggerì di raccomandarsi a quello Santo suo Protettore, e gliene pose fra le mani una Reliquia. Udì l’infermo la voce, gli piacque il consiglio, ed internamente invocò l’ajuto di S. Francesco Saverio, il quale fu così pronto ad esaudirlo, che in quell’istante medesimo il moribondo aprì gli occhi, che prima stavano chiusi, mosse le dianzi stupide mani, baciò, e si pose sul capo per riverenza la sacra Reliquia, e speditamente parlando ringraziò con affettuose parole il suo Santo Benefattore. Sarebbe anche uscito immantinente di letto, se non gli fosse restato l’incomodo de’ vessicanti. Quì pare, che nulla manchi ad un compito miracolo; e pure non è, che un preludio di quello, che son per dire.
Proseguì dunque Michele a tenersi in letto per la sola cura delle piaghe lasciategli da’ vessicanti. Ma frattanto discorrendo a suo modo sopra la sua instantanea guarigione, mentre tutti gli altri l’attribuivano a manifesto miracolo di S. Francesco Saverio, pareva, ch’egli solo non sapesse crederlo, e voleva piuttosto attribuirla ad una crisi della natura, o pure a’ rimedj adoperati dall’arte. Il Santo, se è lecito così dire, si ebbe a male la sconoscenza del suo divoto, nè tardò a farne un amoroso risentimento nella seguente maniera.
Passati 16 giorni dopo il primo prodigioso risanamento, il dì 3 di Gennajo dell’anno nuovo 1762, non restando a Michele che qualche piccolo avanzo delle Piaghe cagionategli da’ vessicanti, gli sopravvenne all’improviso un altro colpo d’Epilessia con tutti i sintomi de’ già passati, e senza aspettare il consueto periodo delle 48 ore, replicò il secondo nel dì seguente, e poi il terzo, ed il quarto in poche ore del quinto giorno del mese, tanto che il misero percosso da una batteria sì continuata, e sì forte di accidenti mortali, restò del tutto assiderato e come morto. Il Fratello allora, non vedendo filo di speranza negli umani rimedj, tornò a ricordargli S. Francesco Saverio, e di nuovo glie ne pose fra le mani la Reliquia. Ma egli, benchè tutto sentisse, sia che per trovarsi ben disposto alla morte più non si curasse di vivere, sia che non isperasse che il Santo volesse fare un miracolo in grazia sua, certo non fece caso delle sue parole, e solamente pregò il Santo suo Protettore, che gli ottenesse la grazia di poter ricevere anche una volta il suo Signore Sacramentato. La grazia fu prontamente fatta, tanto che il giorno appresso 6 di Gennajo egli fu in istato di ricevere nuovamente gli ultimi Sacramenti, siccome fece con gran sentimento di divozione. Ma il buon Santo voleva fare per lui qualche cosa di più, ancorchè egli facesse quasi il ritroso, e mostrasse di non curarsene.
I Medici non facevano alcun capitale di quell’effimero miglioramento. Vedevano imminente un nuovo accidente, e non sapevano come ripararlo. Per quanto fosse leggero, sarebbe più che bastante a finire un uomo sì riffinito di forze, e per i passati colpi ridotto all’estrema debolezza. Dopo tutto questo scoprirono, che le piaghe de’ vessicanti, che poco prima parevano quasi interamente saldate, erano parte livide, parte nere, tutte senza senso, segno manifesto di già formata cancrena. Furono pertanto di sentimento, che gli assistessero di giorno e di notte continuamente i Sacerdoti, potendo ad ogni momento succedere, che mancasse di vita. Così fu fatto, e vennero eziandio Religiosi di varj Ordini, oltre il suo Confessore, a portargli l’ultima benedizione, e comunicargli certe loro particolari Indulgenze. Il pronostico de’ Medici pur troppo si avverò. La mattina seguente 7 Gennaro replicò il temuto colpo Epilettico, che mise in instanti l’ammalato nell’ultima agonìa. I Religiosi assistenti vedendo, che già il volto prendeva color di cadavere, che s’appannavano gli occhj, che ingrossava il respiro, che si gelavano sensibilmente le carni, che s’affacciava su la fronte il freddo sudor di morte, stimando ormai imminente il suo transito, cominciarono secondo l’usato rito a recitare le Litanie de’ Santi, e gli addolorati Congiunti si applicarono a preparare il Funerale. Non dando più alcun segno di vita, alcuni de’ circostanti lo credettero già trapassato, e vi fu chi corse ad appressargli la candela alle labbra per esplorare se ancora durava il respiro. Or se un infermo ridotto a tale stato, in un istante s’alzasse sano, robusto, e libero da ogni male, non sarebbe egli questo un gran miracolo? E ciò appunto succese.
Mentre i Religiosi venivano proseguendo la raccomandazione dell’anima, l’agonizzante, e già creduto morto Michele s’alza ad un tratto sopra del letto, si scopre il capo, e fissati gli occhi in una parte della Camera si resta immobile, quasi vagheggiasse una bellissima scena. I circostanti a quella novità impensata compresi, non dico solo da maraviglia, ma da una specie di sacro ribrezzo, qual suole ingenerarsi alla vista d’opere sovrumane, si fermano attoniti ad osservarlo in gran silenzio. Egli pur segue a guardare, e comincia a mandare dolcemente dagli occhi alcune lacrime. Dopo qualche tempo, quasi parlasse con persona di gran rispetto, si abbassa, si umilia, ed esce in alcune voci, ma tronche, ed interrotte, che non s’intendono. Peccavi, dice una volta, chinando il capo, e giungendo le mani. E poco dopo in aria mesta, e dolente: Dunque non è ora? E finalmente: Hei mihi quia incolatus meus prolongatus est! Gli astanti udivano distintamente quelle voci, ma non ne intendevano punto il significato, nulla dubitando peraltro, che di quel tempo egli non godesse qualche superna visione. In fatti era così, e qual fosse la visione lo spiegò egli stesso dapoi, ed io devo quì fedelmente esporlo, anche acciò s’intenda a che alludessero le riferite parole.
Nel punto dunque ch’egli stava per esalare lo spirito, gli percosse improvvisamente gli occhi una vivissima celeste luce, e vide alla sinistra del letto sospeso in aria sopra una nuvola S. Francesco Saverio. Era in abito di Missionario, con sarrocchino, e bordone, qual suole rappresentarsi nelle pitture, e stava in atto di contemplare il Santissimo Nome di Gesù, gloriosa insegna del suo Ordine, che gli restava dirimpetto tutto sfol- sfolgoreggiante di raggj in mezzo ad una bianca sottilissima nebbia. A quella vista restò come assorto in un mare di contentezza Michele, e già si credeva in Paradiso. Ma il Santo, rivoltosi a lui con volto alquanto accigliato, si fece a rimproverarlo della sua poca fede, per non avere voluto credere il miracolo del suo primo risanamento. E allora fu, che egli umiliato, e confuso uscì in quella parola Peccavi. Placato a quell’atto di pentimento il Santo, rasserenò il volto, e con parole amorevoli gli fece sapere, che egli stesso avea disposta tutta la serie de’ mali, che l’avevano condotto a quell’estremo, e ciò non tanto per punirlo della sua miscredenza, quanto acciò si rendesse più sensibile, e più strepitoso il miracolo, che voleva ora fare con risanarlo la seconda volta. Allora Michele, che s’era già preparato alla morte, ed era contentissimo di morire: Dunque, disse, non è ora? Nò, ripigliò il Santo, non è questa l’ora. Io voglio, che i miei divoti abbiano in te un nuovo stimolo ad invocarmi con fiducia, e tutto sperare da me, massime nelle loro ultime infermità. Due volte tu m’hai pregato in questa tua malattia di poter ricevere i Sacramenti, e tutte due le volte t’ho consolato. Queste non sono picciole grazie. A suo tempo ti darò ancora la mia benedizione per un felice passaggio all’eternità, ma per ora devi restare in vita a render pubblica testimonianza di quella cura amorevole, che io mi prendo de’ miei divoti. Quì fu dove Michele sospirando, ma pur rassegnato al Divino volere, pronunziò quelle altre parole: Hei mihi, quia incolatus meus prolongatus est! Seguitò il Santo a parlargli con molta affabilità d’altre cose non appartenenti propriamente a lui, ma che gli cagionarono somma consolazione (quali fossero, non ha voluto mai palesarle, che in gran segreto al suo Confessore), e finalmente preso in mano il Bordone, pronunziando quelle parole del Deuteronomio: Ego percutiam, et ego sanabo, nel nome della Santissima Trinità tre volte lo percosse nel capo, con che sparì la visione.
Qual fosse l’effetto di quelle percosse, da mano sì amorevole scaricate, lo mostrarono in quell’istante medesimo i fatti ad evidenza. Michele dopo un estasi sì beata, che non durò poco tempo, quasi riscosso da un placidissimo sonno, domandò da vestirsi. Si vestì in fatti non molto dopo, uscì di letto, si mise a passeggiare per la camera, ed a suo tempo saporitamente mangiò. Tornato il colore, tornate le forze, sparite eziandio le piaghe de’ vessicanti, egli era del tutto sano, e prosperoso, come se non avesse avuto alcun male. I Religiosi assistenti, che pochi momenti prima gli avevano raccomandata l’anima, erano fuori di se per lo stupore. I Domestici, che già gli avevano preparato il funerale, non capivano in se per lo stupore, ed il contento. La consolazione, e la maraviglia si dividevano tutta la casa. Egli contava a tutti l’apparizione, e la grazia fattagli dal suo gran Protettore S. Francesco Saverio, e tutti pregava a volersi unire con lui a ringraziarlo per beneficio sì segnalato. Per tutto quel giorno gli convenne restare in casa per soddisfare agli amici, e conoscenti, che sparsa la fama del gran miracolo, venivano in folla, non tanto per congratularsi con lui della ricuperata salute, quanto per appagare la propria curiosità, con vedere, come dicevasi, un morto risuscitato, e farsi informare distintamente dell’avvenuto. Ma il giorno seguente, 8 di Gennajo, portossi alla Chiesa de’ Gesuiti ad assistere ad una gran Messa, che vi fu cantata colla maggiore solennità ad onore di S. Francesco Saverio, ed in ringraziamento di così gran benefizio. Siccome del miracolo era piena tutta la Città, così tutta concorse alla divota funzione, tanto che la Chiesa riuscì angusta all’immenso popolo, nè altro s’udì per quel giorno in Scicli, che il nome, le lodi, e gli applausi del gran Taumaturgo S. Francesco Saverio.
Non però di questo appagossi la gratitudine di D. Michele. Sapendo di vivere per puro special beneficio di S. Francesco Saverio, e tenendosi in obbligo di propagare per quanto potesse le glorie, e la divozione del suo Santo Benefattore, dopo alquanti giorni presentò un Memoriale al Vescovo di Siracusa Monsignore D. Giuseppe Antonio di Requesens, ad effetto che si degnasse di far costruire il Processo sopra il miracolo, per potere in appresso nelle debite forme autenticarlo. Il Prelato accordò prontamente l’instanza, e commise al suo Vicario Foraneo di Scicli di formare il richiesto Processo, nel quale essendosi legalmente provato il fatto per la deposizione giurata di 12 Testimonj de visu, et de auditu immediato (fra quali erano alcuni d’ogni eccezione maggiori) ed accordandosi il voto de’ Medici, e de’ Teologi, che la risanazione di D. Michele Zisa non poteva in quelle circostanze, ed in quel modo naturalmente seguire, egli poi con suo Decreto del dì 30 d’Aprile sentenziò in questa forma: Positis Theologorum suffragiis definimus, nonnisi a Deo deprecationibus D. Francisci Xaverii, isti Domino Michaeli Zisa sanitatem esse redditam. Alla quale tanto autorevole decisione se fosse lecito aggiungere qualche cosa, io per maggiore autentica del miracolo aggiungerei solamente, che essendo scorsi ben undici mesi dal prodigioso risanamento fino a questo giorno, in cui scrivo, in sì lungo spazio di tempo il risanato D. Michele non ha più sofferto alcuno quantunque minimo insulto epilettico, ed anzi ha sempre goduto perfettissima sanità, siccome per grazia del suo Santo Benefattore la gode anche al presente.