Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato (Vol. I)/I. Ferrara/II. Relazione di Ferrara del signor Emilio Maria Manolesso (1575)

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II. Relazione di Ferrara del signor Emilio Maria Manolesso (1575)

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II. Relazione di Ferrara del signor Emilio Maria Manolesso (1575)
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II

RELAZIONE DI FERRARA

DEL SIGNOR

EMILIO MARIA MANOLESSO

fatta in Signoria di Venezia l’anno 1575

Se le forze dell’ingegno e la lingua mia corrispondessero al desiderio infinito, che in me regna di servire e obedire Vostra Serenitá e le Signorie Vostre eccellentissime, stimarei poter in alcuna parte sodisfare nel carico da lei impostomi di riferire quello che può essere in servizio suo saper del serenissimo signor duca di Ferrara e Stato suo. Ma conoscendo, se bene bramo di servirla, non sono in me quella prudenza ed eloquenza che a tal carico si convengono, resto molto confuso e travagliato, non vedendo dall’una parte in me modo di poterla servire compitamente né avendo all’incontro ardire di recusare di obedirla. A questo si aggiungono che, non essendo io stato in Ferrara persona publica, ma privato e forastiero, non ho avuto commoditá d’intendere che hanno quelli che, non perseguitati dalla nemica fortuna, stanno nell’altrui cittá sconosciute, ma, inalzati da’ favori di Vostra Serenitá, onorati e riveriti da ciascuno, splendidamente vivono. Pure, conoscendo che il servitore mai deve essere renitente agli ordini del suo signore e che, non potendo in altro modo, devo con l’obedienza almeno riconoscere i favori da Vostra Serenitá ricevuti in molte occasioni, li racconterò quanto mi pare degno delle sue prudentissime orecchie; e se sarò ne’ concetti poco prudente e nelle parole rozzo, sarò almeno nel riferir fedele, stimando che, come la [p. 22 modifica]fame rende saporita ogni vivanda, cosí il desiderio che Vostra Serenitá ha d’intendere alcuna cosa di quella Eccellenza, della quale giá molti anni non ha inteso cosa alcuna per non avere né secretario né ambasciatore in quella cittá, le nasconderá le mie imperfezioni.

Discorrerò adunque sopra lo Stato dell’eccellentissimo signor duca. Stato degno di molta avvertenza e considerazione di Vostra Serenitá per la sua potenza e vicinanza, poiché non lontano confina con alcune terre di Vostra Serenitá, ma vicino si accosta alle paludi di questa eccellentissima e gloriosa cittá, capo del serenissimo dominio; né si deve, se io non m’inganno, meno stimare un duca grande e potente vicino che un re lontano. E poiché in ciascun prencipe, anzi per dir meglio in ciascuno uomo, si considerano le qualitá estrinseche, intendo il sangue del quale è nato, le facoltá che possiede, gli amici e nemici che tiene; intrinseche veramente sono le qualitá dell’animo e corpo; però referirò tutta la mia relazione ad uno di quatro capi, cioè nobiltá, Stato, amici o nemici, e finalmente alla persona di Sua Eccellenza.

Di nobiltá e antichitá di sangue e Stato il signor duca di Ferrara avanza di gran lunga tutti i prencipi d’Italia, eccettuando però Vostra Serenitá, poiché l’antichissima e illustrissima famiglia d’Este, per fama e opinione di molti scrittori, discende da quel grande augure Navio Azio, al quale Servio Tullio re de’ romani pose in Roma una statua di bronzo 800 anni inanzi l’avvenimento di Cristo; e Caio Azio Bibulo, zio di Ottaviano Augusto primo imperatore, fu della medesima famiglia d’Este. La quale giá mille anni incirca domina la maggior parte di quei paesi che gli sono il giorno d’oggi soggetti, avendo anco i principali di questa cittá dominati molti altri Iuochi e cittá d’importanza, come il castello d’Este, dal quale prese il nome felice, Parma e Piacenza, ed avendo avuto i prencipi di questa cittá diversi titoli. Ultimamente, l’anno 1452 alli 18 maggio, giorno celebre per l’ascension del Signore, il marchese Borso, per la sua liberalitá e magnanimitá molto famoso, fu onorato dall’imperatore Federico III nella piazza della cittá di Ferrara di titolo di [p. 23 modifica]duca di Modena e di Reggio, con tutti quei privilegi, dignitá e autoritá che hanno i maggiori duchi dell’Alemagna (nella quale provincia quel prencipe, ch’è piú antico nella dignitá, ha nome piú sublime e onorato); e fu dal medesimo imperatore dechiarato prencipe dell’imperio, e come tale poi viene invitato alla Dieta imperiale. Il medesimo duca Borso, l’anno 1471, andando a Roma, fu da papa Paolo II, di nazione veneziano, di casa Barba, il giorno della resurrezione del Signore, onorato del titolo di duca di Ferrara; e volse quel prencipe pontefice che non solo sedesse in capella fra due cardinali, ma anco fosse dal sacro collegio accompagnato sino alle sue stanze. E fu il duca Borso il primo prencipe, eccettuando il duca di Milano, che in Italia avesse tal titolo e ha non un ducato ma tre: Ferrara, Modena e Reggio, come intende la Serenitá Vostra, ed è onorato dal pontefice e dall’imperatore ed è prencipe dell’imperio. Tutte le quali dignitá non ha altro duca d’Italia, e questo è il fondamento delle ragioni che Sua Eccellenza ha nella lite intorno la «precedenza», che ha col duca di Fiorenza avanti la Maestá cesarea, come è noto a Vostra Serenitá.

[Tentò l’anno passato il duca di Fiorenza in Roma che dal pontefice fossero dechiarati due ordini di duchi: l’uno di provincie, l’altro di cittá; e questo a ciò potesse ceder ai duchi di Sassonia, Baviera, Clèves, Lorena e Savoia, che sono tutti duchi di provincie, e, comprendendosi lui come duca di provincia, cioè di Toscana, in questo primo e piú onorato ordine di duchi, precedesse senza difficoltá al signor duca di Ferrara, come quello ch’essendo duca di cittá, e non di provincie, saria stato del secondo grado ed ordine di duchi. Ma Sua Eccellenza, essendosi trasferita in persona alla corte cesarea, fece nascere un nuovo decreto, sotto di 15 d’aprile 1564, nel quale era dechiarato fra i duchi dell’imperio che sono in Alemagna, e questo, per comprendere Sassonia, Baviera e Clèves, e nella Francia per includere Lorena e Savoia, e nell’Italia per contener Ferrara, Fiorenza e Mantova, essere una classe e un ordine solo; ed a questa maniera riusciva vano il dissegno a Fiorenza. La lite veramente di questi signori duchi pende [p. 24 modifica]talmente dinanzi a Cesare, che, se bene ne sono nate alcune sentenze interlocutorie, non si vede però segno importante che possa dare piú ad una parte che ad un’altra speranza intorno la sentenza deffinitiva; anzi si scorge che Cesare tien tal maniera nel procedere, che vuole all’uno ed all’altro notrir le speranze d’ambedue. Pertanto, avendo fatta instanza grandissima l’ambasciato r di Fiorenza d’essere ammesso non solo come ambasciator del duca ma anco come ambasciator e per interesse della republica fiorentina, nella qual instanza consisteva tutto il negozio, non essendo dubio che la republica fiorentina procede il signor duca di Ferrara, l’imperatore compiacque in ciò a Fiorenza, ma con espressa dechiarazione che tal atto ed interlocutoria non apportasse alcun pregiudizio al signor duca di Ferrara: la qual dechiarazione altro in fatti non era che annullare, per non dispiacere a Ferrara, quello ch’aveva prononciato per gratificar a Fiorenza. Da questo proceder di Cesare vengono molti de’ piú prudenti della corte in opinione che Sua Maestá non venirá mai a sentenziare la sentenza deffinitiva: perché, avendo l’imperatore molto l’occhio all’interesse suo particolare, vede che, mentre la lite pende, può in ogni sua occorrenza promettersi assai dell’uno e dell’altro di questi duchi; ma quando fosse prononciata la sentenza deffinitiva, poco o niente potria promettersi di quello contro il quale avesse prononciato; e forse che quello, in favor del quale avesse prononciato, non saria tanto spento dalla gratitudine quanto saria indotto ora dal desiderio di rendersi Cesare propizio nell’espedizione e dal timore di non alienarlo da sé. Questo è quel tanto che da molti signori d’importanza è in tal materia creduto.]

Da Borso sino al presente duca sono stati cinque duchi: Borso, Ercole I, Alfonso I, Ercole II, Alfonso II, che oggi domina ed è non solo prencipe nobilissimo per tanti valorosi prencipi della sua linea mascolina, ma anco perché dal canto di madre discende dal sangue regale di Francia e ha per avo materno il gran re Luigi XII, padre di madama Claudia, della quale nacque il re Enrico, e di madama Renea, madre di Sua Eccellenza. [p. 25 modifica]

Nello Stato di Sua Eccellenza quattro cose si devono a mio giudizio considerare: lo Stato e paese in sé, i sudditi, le fortezze e entrate.

Lo Stato e paese del signore duca è molto commodo e grande, perché ha di longhezza dal mare Adriatico al Tireno 160 miglia in circa. La longhezza e distesa alla marina sono da 50 miglia in circa in questo modo: da Primar a Magnavacca 9 miglia, da Magnavacca a Volana 18 miglia, da Volana a Goro 18 miglia, da Goro a’ confini di Vostra Serenitá 6 miglia in circa. Fra terra ha di longhezza miglia 35 in questo modo: da Sant’Ambrosio, luoco del Bolognese vicino a Castelfranco, a Modena 5 miglia, da Modena a Reggio 15 miglia, da Reggio a Bresello 15 miglia: in altri luochi piú si dilata, in altri è piú ristretto.

Possedè Sua Eccellenza, oltre la gran cittá di Ferrara, Modena e Reggio, cittá ducali, populate, ricche e potenti; Comacchio nelle paludi dell’Adriatico e molti altri castelli nella Romagna; la Graffignana in Toscana, e finalmente Carpi, luoco molto importante e forte, il quale, per esser posto nel cuore dello Stato di Sua Eccellenza, è in conseguenza molto opportuno a chi volesse infestar i duchi di Ferrara. Fu dall’imperatore Carlo V, che desiderava, per stabilimento delle cose sue in Italia, giudicate libere, amicarsi il duca Alfonso, concesso in dono a quel duca per quella parte che era devoluta all’imperio per la ribellione del signor Alfonso de’ Pii: la parte poi che era del signor Marco de’ Pii, il duca l’ottenne dal suddetto signore cedendoli all’incontro la signoria di Sassuolo; e non volendo il signore Leonello vendere con convenevole permuta a quello la sua porzione, il duca con consenso dell’imperatore lo cacciò dal possesso e ripose per quello 100.000 scudi nella zecca di Vostra Serenitá, li quali denari non avendo voluto il signore Leonello ricevere per la volontá del figliolo, l’imperatore poi si levò confirmando al duca il detto .Stato con la sua autoritá imperiale. È molto commodo questo Stato, perché, come ho detto, traversa tutta l’Italia e ha porti nel mar Adriatico, come Volana e Magnavacca e altri, li quali, se bene non capaci di nave da gabbia ma solo di navili minori, che noi addimandiamo [p. 26 modifica]«marchiane», nondimeno, per quanto io ho da perito inteso, quando Sua Eccellenza vi usasse quella diligenza e cura che usa Vostra Serenitá nel porto di Chiozza e altri porti, se fariano capaci di ogni gran legno. Li quali porti avendo Sua Eccellenza. e il fiume del Po, re de’ fiumi d’Italia, non solo può commodamente ricever le cose dell’uso del suo Stato necessarie e mandar fuori le superflue, ma dar. il transito a mercanzie forastiere che dal Piemonte, Lombardia e altri Stati vengono in questa serenissima cittá e da essa a quei paesi sono condotte. Ben è vero che, essendo inalzato grandemente il letto del Po in quel ramo che scorre socco Ferrara per la giacca che vi ha condotta il Reno, fiume del Bolognese, la navigazione non è cosí facile come prima; e per commune opinione quel ramo diveneria innavigabile quando Sua Eccellenza con cavamenti e arte non vi provegga, come fa, con molta spesa della cittá e fatica del contado, tenendosi in quell’opera occupati più di 200 uomini in circa.

E perché alla sicurtá de’ Stati e paesi non basta la grandezza e commoditá, ma vi sono anco doi qualitá necessarie, le fortezze e abbondanza (imperocché quello Stato che hon è forte e munito non può esser sicuro, essendo in potere di chi è sicuro della campagna scorrerlo e soggiogarlo, come Carlo VIII re di Francia soggiogo l’anno 1494 il reame di Napoli, sultan Selim prencipe de’ turchi l’anno 1514 e ’15 il gran regno d’Egitto e Soda, e ultimamente Sali mane la maggior parte dell’Ungaria; — il che non vi averiuno fatto Con tanta facilitá se in quei paesi fossero state fortezze intorno, le quali aver e bbono rotto l’impeto del feroce nemico; — e il medesimo avviene del paese sterile, nel quale malagevolmente si può provedere di mantenere con vettovaglie la vita a quelli che con l’armi guardano le fortezze), dico che per questi doi rispetti lo Stato del signor duca di Ferrara è molto sicuro, poiché è fertilissimo e gli avanza piú tosto vettovaglie che gli ne manchino e ha molte fortezze: Ferrara, Modena, Reggio, Carpi, Bresello sul Po, fortezza d’importanza, Rubiera sul fiume della Secchia, Sestola nel Frignano, Castelnovo e le Verucole nella Graffignana in Toscana. [p. 27 modifica]

Avendo fin qui ragionato in generale dello Stato e paese di Sua Eccellenza, parmi conveniente discendere a’ particolari. E per dir prima alcune cose di Ferrara, saprá Vostra Serenitá che Ferrara è cittá grande. Ha di circuito sei in sette miglia ed è tenuta inespugnabile, poiché da una parte, ove è da mure vecchie circondata, è difesa dal Po, che, essendo di larghezza 100 passi in circa e per l’ordinario molto profondo, la rende sicura: il rimanente è guardata da bellissimi baloardi, da grossa cortina, da sodo terrapieno, da larghe e profonde fosse. Ha commoditá di far retirata. Alle, quali cose tutte s’aggiunge che, per esser il terrapieno umido e paludoso, non può esser minata e il campo nemico, dalla parte specialmente di Francolino, non si potria accostare, non tanto per la spianata che dá gran commodo a’ bombardieri di offendere, quanto per l’acqua con la quale Sua Eccellenza può obligare quelle pianure.

La cittá è nobilissima e una delle maggiori e piú onorate d’Italia ed è divisa in Terra vecchia e nuova: Terra vecchia è dalle mure vecchie sino alla strada della Zudecca, ove anticamente solevano esser le feste, e vi si veggono le vestigge delle mure vecchie e antiche; Terra nuova è dalla Zudecca alle mure nuove. È divisa in quattro strade principali: Giara, Via grande, Zudecca e Via San benedetto, che, essendo larghissime, dritte e lunghissime uno o doi miglia Luna dilettano assai l’occhio de’ riguardanti per la lunghezza. Poi vi sono cinque strade belle assai: quella di San Rocco, quella di San Spirito, quella di San Guglielmo, quella di San Biasio e principalmente quella degli Angeli, che, dal castello sino alla porta nominata parimente degli Angeli, è d’ogni parte ornata di magnifici edifizi e sopra tutte le altre rende maravigliosa vista nel quadricio dei Diamanti, ove si scuopre la longhezza della cittá e la larghezza sino al castello. E in ciascuno angolo del quadricio vi è un superbo palazzo: dell’illustrissimo cardinale d’Este, incrostato de’ marmi lavorati a diamante, l’altro dell’illustrissimo signor don Alfonso, il terzo de’ conti Turchi e il quarto di alcuni gentiluomini de’ castelli. Nel mezzo della cittá è il castello, abitazione di Sua Eccellenza, molto onorato e capace d’ogni gran corte: vi sono stalle [p. 28 modifica]grandissime, nelle quali il signor don Alfonso ha del continuo 300 in 400 cavalli; i giardini congionti con le muraglie della cittá, per le quali Sua Eccellenza va senza esser veduto da alcuno per diporto. V’è di piú altre piazze: del Castello, la piazza Nuova molto grande. E fra molti monasteri e chiese ve ne sono doi onoratissime: San Benedetto e la Certosa. In questa cittá per commoditá de’ sudditi tiene Sua Eccellenza Studio delle arti e scienze.

Il territorio di Ferrara è tutto pianura e irrigato dal Po, Reno e canale di Modena. Di grano è tanto fertile che, se il raccolto è buono può mandar fuora doi terzi, se mediocre la metá, se pessimo e sterilissimo gli avanza piú tosto quantitá che gli manchi. Ha vino e legne assai, carne parimenti e latecini in abbondanza per la commoditá delle pratarie, sturioni e pesci d’acqua dolce del Po, pesci marittimi della valle di Comacchio, e piú fagiani, pernici, tordi, quaglie, cignali, capri, lepri e ogni altra sorte di salvaticine terrestri e aeree, piú boni e in ogni maggior copia di quello che abbia alcun paese d’Italia. Di maniera che si può con veritá dire chea Ferrara non manchi alcuna [di quelle cose che sono, non dirò per necessitá del vivere umano, ma per le delizie de’ prencipi e per gli appetiti lauti e delicati. A questo paese l’arte e l’ingegno ha dato grandissimo beneficio, perché ultimamente verso il mare è stato ridotto in cultura un paese di 50 miglia di lunghezza e di 60 miglia di larghezza in circa, il quale tutto era valli e paludi; del qual paese Sua Eccellenza ne trarrá molto utile, e perché le possessioni del terzo di esso sono proprie sue, e del rimanente averá quel benefizio che hanno li prencipi delli suoi Stati].

Ferrara e la Romagna sono feudi della santa Sede apostolica, e ne paga il signor duca 6000 scudi all’anno al papa di censo. Col Ferrarese confina il papa con quel di Bologna e Ravenna: il Ravennate è assai lontano, ma il Bolognese s’accosta 4 miglia in circa alla cittá di Ferrara. Confina parimente con Vostra Serenitá, con la valle di Polesella e Fiesso s’avvicina alla cittá sudetta 4 miglia. Il conte della Mirandola confina con quello di Bondeno, castello del Ferrarese ricco e popolato assai. Il signor duca di Mantova confina per ultimo con la Stella, il qual [p. 29 modifica]luoco il marchese Ercole de’ Contrari ha in feudo da Sua Eccellenza e, per essere sul passo del Po, è luoco di molta importanza e fu come tale espugnato dal campo di Vostra Serenitá nella guerra di questa serenissima repubblica, istigata da papa Sisto IV, che ebbe col duca Ercole I, e fu come tale anco monito dal duca Ercole II nella guerra che papa Paolo IV, il re Arrigo e lui fecero col re cattolico.

Modena è cittá molta antica e era giá al tempo de’ romani capo dell’imperio di Lombardia, allora nominata Gallia cisalpina, famosa per l’assedio che vi pose il console Marco Antonio contro il proconsole Decimo Bruto e per quelli gran conflitti che vi furono fatti dalli eserciti del sudetto Antonio, delli consoli Irzio e Pansa e del giovanetto Ottavio, che, avendo poi soggiogata la patria e il romano imperio, fu nominato Augusto e imperatore perpetuo. È cittá munita, grande, popolata e bellicosa. Il paese è parte campestre, molto fertile, specialmente de’ buoni e delicati vini, e parte montuoso. E sono le montagne memorabili per la famosa pietraFonte/commento: Pagina:Venezia – Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Vol. II, 1913 – BEIC 1905390.djvu/297 di Bismantova, sopra la qual pietraFonte/commento: Pagina:Venezia – Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Vol. II, 1913 – BEIC 1905390.djvu/297 vi è una gran campagna, nella quale si salvano i vicini in ogni occasione della furia de’ nemici e vi stanno sicurissimi per esser impossibile la salita per l’altezza e dirupato; ed è il sudetto castello tenuto in feudo dal conte Ercole Tassone. Nelle montagne medesime di Modena, dalla parte ch’è nominato il Frignano, vi è la fortezza di Sestola, luoco molto importante per il passo ben munito, per il sito e per arte: è ben guardato da Sua Eccellenza, per essere ai confini del papa e del signor duca di Fiorenza. Confina il Modenese col Bolognese per via de’ monti; ma molte miglia discosto da Modena col signor duca di Fiorenza.

Reggio è ancor cittá ricca e forte. Fu edificata dal triumviro Lepido e da lui nominata Regium Lepidi a differenza di Reggio di Calabria. Il Reggiano è paese fertile e campestre e parte montuoso; ha, oltre la cittá di Reggio, due fortezze, Rubbiera e Brisselle: Rubbiera sul fiume della Secchia in mezzo lo Stato, e Bersello del Po confinante con quel di Mantova e con lo Stato di Milano, con quali confina il Reggiano, e di piú con il signor [p. 30 modifica]duca di Parma e con i signori di Correggio. Il marchese Niccolò III ottenne l’anno 1421 Reggio dal duca di Milano; e dopo il duca Borso, come ho detto di sopra, l’anno 1452, l’ebbe in feudo insieme con Modena; e ultimamente l’imperatore Carlo V, arbitro eletto fra Clemente VII e il duca Alfonso, prononziando contro il papa, prononziò questi ducati al sudetto duca.

La Graffignana, parte della provincia di Toscana, è montuosa assai, e sono in essa le miniere di ferro che danno non poca utilitá al signor duca. Confina questo Stato col signor duca di Fiorenza e con i signori lucchesi, ed è Stato molto opportuno per la commoditá che ha di penetrare sino al cuore della Toscana. Capo della Graffignana è Castelnuovo, luoco forte, ed il signor duca continua tuttavia a fortificarlo. Nella medesima provincia v’è la fortezza delle Verugule, fortezza munitissima. E questo è quel tanto che io ho da dire a Vostra Serenitá del paese soggetto a Sua Eccellenza.

Quanto al li sudditi, si deve giudicare se siano bellicosí o imbelli, se quieti o obedienti, e finalmente se amorevoli al suo prencipe, poiché queste qualitá sono di molta importanza. Sultan Selim non per altro distrusse il grande imperio de’ mamaluchi in cosí poco tempo, se non perché i paesani erano molto vili e mal sodisfatti di quel governo. La Francia non è da altro maggiormente travagliata che da guerre civili per l’inquietudine nota di quei popoli, i quali non possono sopportar la pace e quiete: da Luigi XI sino al re Francesco II sono stati per se stessi in pace, perché Carlo VIII, Luigi XII, Francesco I e il re Arrigo li hanno tenuti in continui moti, ora molestando gli altrui Stati, or difendendo i propri; ma ora, che con vicini hanno pace, tal è l’inquietudine di quella nazione che prese l’armi contro la salute e grandezza del proprio re. E per toccare anco gli effetti che nascono dagli animi de’ popoli, Vostra Serenitá ben sa che la mala sodisfazione, che avevano li napolitani del re Alfonso d’Aragona, rese a Carlo VIII re di Francia facilissimo l’acquisto di quel regno; all’incontro l’odio, che l’arroganza francese suscitò contro sé, facilitò la recuperazione al re Ferdinando. Il medesimo buon animo de’ sudditi rimesse nello Stato [p. 31 modifica]d’Urbino contro Leone X il duca Francesco Maria e mantenne, non meno di quello che fecero l’armi francese, questi Stati al duca Alfonso I contro Giulio II, Leone X e Clemente VII pontefici inimicissimi della casa d’Este. Nella guerra parimente di Giaradada questa serenissima republica, oppugnata da tutti li prencipi cristiani, non ebbe contra le loro forze maggior presidio che l’amore e devozione de’ sudditi, con la sua bontá, pietá, integritá, umanitá e giustizia acquistata.

I popoli di questi Stati sono bellicosí assai, e specialmente la nobiltá, e portano somma devozione alla casa d’Este, perché sono tanti secoli vissuti sotto la sua protezione e anche perché i lombardi sono di natura fedeli e obedienti al suo prencipe, nell’opposito di quei di Toscana, che per la troppo vivezza sono inquieti e d’animo indomiti. Il che Vostra Serenitá vedrá esser verissimo, ramentandosi che in Toscana sono state sempre tante sedizioni, tante guerre civili, tante republiche, tanti tiranni e finalmente tante mutazioni di Stati: cosa che non è avvenuta in Lombardia, per non essere gli spiriti degli uomini, parlo dell’universale, cosí vivi ed inquieti. E quanto all’affezione de’ popoli, io posso affermare a Vostra Serenitá di averne veduti segni manifestissimi, perché, essendo venuta la quaresima passata da Parigi nova della desperata salute dell’illustrissimo cardinale d’Este, tutta la cittá, dico da dovero, parlando non come oratore ma come istorico, piangeva tardando i secondi avvisi: non si udiva per le case e strade altro che voci di chi pregava per il cardinale o di lui addimandavano, non altrimente di quello che se il cardinale fosse stato figliolo, fratello o padre di tutti. E il dolore nasceva, non tanto per la perdita del cardinale, quanto per l’interesse del duca e della casa. [Ben è vero che il duca presente non è cosí amato come li suoi predecessori, e questo per l’austeritá ed essazione che fa Cristoforo da Fiume, cognominato il Sfrisá, suo gabelliero, il quale è tanto odiato da ciascuno, che col suo castigo potria il signor duca acquistarsi infinitamente la grazia de’ popoli, ed in tal caso adoreriano Sua Eccellenza. Il signor duca si fida assai de’ popoli sudditi; e quando andò l’anno passato a Vienna, lasciò la cittá ed il Stato non [p. 32 modifica]solo senza guardia de’ soldati, ma senza capo d’autoritá nel governo. Ed erano tutti li prencipi del sangue fuori dello Stato: Sua Eccellenza ed il signor don Alfonso in Germania, il cardinale in Francia, il signor don Francesco da Este in Roma. Rimase solo e al governo di esso madama Leonora di Lorena, sorella di Sua Eccellenza; e pur ogni uno stette quieto].

In Ferrara, Modena e Reggio vi è molta nobiltá e i nobili vivono lautamente e cavallerescamente, tra’ quali in Ferrara sono cinque case principali, Contrari, Tassoni, Bevilacqua, Caleagnini e Turchi; poi Bentivogli, Varani e Pii sono piú tosto famiglie forastiere che altrimenti. De’ Contrari oggi non vi sono altri che il conte Ercole, signore di gran qualitá, poiché è signore valoroso, molto sensato e prudente, né gli manca il modo di spendere, li quali mancamenti tengono oppressi molti elevati ingegni, avendo 15.000 scudi d’entrata e 28 castella dell’ordinanza, de’ quali ha 4000 fanti buoni. Fu con il signor duca alle guerre di Francia e di Ungaria. È consigliere di Stato; è capitano de’ cavalli leggieri della guardia di Sua Eccellenza, dalla quale è molto amato e onorato; altre tanto riverito da tutta la cittá; è nobile di Sua Serenitá e il conte Uguccione suo avo fu dal serenissimo prencipe Michiele Steno fino l’anno 1411, in ricompensa di quanto aveva operato in servizio di questa eccellentissima republica, onorato di tal dignitá.

In Modena, la qual cittá con ragione si può nominare razza di soldati, la principal famiglia è la Rangona, illustrata dal cardinale Rangone e dal conte Guido, cavaliere a’ suoi tempi di tanto valore e nome: fu confaloniero di santa Chiesa, capitan generale del re cristianissimo in Italia e di Vostra Serenitá, con la quale il marchese Rangone suo figliolo continua ora la servitú paterna. Quanto alle forze di Sua Eccellenza, oltre alla guardia della sua persona, che c di 50 cavalieri, de’ quali è capitano il conte Ercole Contrari, e di 50 lance todesche e svizzeri, tutti uomini eletti e di bella presenza, tiene poca gente pagata, non occorrendo tener molti stipendi alle fortezze per il buon animo de’ popoli, che da se stessi si guardano, e per l’amicizia de’ convicini. Ha nella cittá e contado le sue milizie, che passano, [p. 33 modifica]per quanto io ho inteso, il numero di 27.000; sono di buona gente. Averia per commoditá di fare de’ nobili buona e numerosa cavaleria, i quali nobili si dilettano assai del mestier dell’armi, come quelli che in niuna altra cosa s’essercitano né in altro s’impiegano, e hanno per la maggior parte vedute delle guerre; e saria, come ho detto, cavaleria buona e molto all’ordine, perché alcuno de’ nobili non stima spendere e impiegar bene l’entrate se non per servizio del suo prencipe e avanzare il compagno. E a me è stato riferito da molti signori degni di fede che quando Sua Eccellenza andò in Ungaria in servizio della Maestá cesarea l’anno 1566, in tutto quel campo né era la piú fiorita né la piú bella né la piú ornata gente della sua; e pure tutti i prencipi italiani fecero allora a gara per mostrare all’imperatore le sue forze e grandezze. D’artegliaria e instrumenti da guerra Sua Eccellenza è fornita assai.

L’entrate di Sua Eccellenza ascendono alla somma di lire 680.000. Consistono queste entrate la maggior parte nelle gabelle, perché nella cittá non entra cosa alcuna, di molto o poco valore, che non si paghi la decima del suo giusto valore. Parimente d’ogni contratto, imprestito o donazione o di qualsivoglia altra cosa si paga la decima. Rende anco assai utile a Sua Eccellenza la proibizione che niuno possa conciar o vendere corami onti né sapone né pane se non li agenti di Cristoforo dal Fiume, suo gabelliero, che s’è offerto a Sua Eccellenza fdi far tutte queste cose con maggior beneficio del popolo di quello che facevano gli altri e di darne molto utile a Sua Eccellenza. Piacque il partito a Sua Eccellenza e l’accettò, immaginandosi in un tempo medesimo giovare a’ sudditi e accrescere le sue rendite, reducendo nel suo erario il guadagno di molti mercanti privati. Ma se ben il Sfrisá paga al duca quello che gli ha dato intenzione, non sodisfa però il popolo, vendendo la roba cattiva quanto alla qualitá e molto cara quanto al precio; e procede con tanto rigore che a niuno è lecito prestare un pane overo una scudella di farina ad un vicino amico o parente suo]. Cava grandi entrate dalle valli di Comacchio, nelle quali ne’ primi scirocchi d’ottobre e di novembre si pigliano in pochissime notti anguile [p. 34 modifica]e ceffali per il valsente di 30.000 scudi e piú, Ji quali pesci insalati e affamati si mandano per molte cittá d’Italia. Ma sopra tutto rende molto vive l’entrate di Sua Eccellenza il rispetto che ogni uno ha a’ suoi uffiziali, a’ quali è lasciato fare l’offizio suo sino dagl’illustrissimi fratelli, sorelle e zii di Sua Eccellenza, perché tale è il volere del prencipe; e i prencipi sono obediti tanto quanto vogliono, e l’obedienza si può con gran ragione dir nervo dell’imperio, perché, come colui che ha per la gotta o per altri accidenti i nervi indeboliti non può star in piedi, cosí parimente non si può mantener quel prencipe che non sa talmente adoperare la sua autoritá che i sudditi lo conoscono per prencipe e l’obediscono. La gente minuta poi, per ritornare al nostro proposito, si guarda assai da’ contrabandi, perché non solo perdono il contrabando e pagano la gabella doppia e sono scacciati e condennati a beneplacito, se le viene ritrovato il contrabando, [ma anco, se dopo molti anni, sono accusati e convinti; onde, pagando ciascuno quello che deve, l’entrate sono grandi e diveranno maggiori per le bonificazioni del paese posto alla marina].

Sono però grandi ancora le spese che fa Sua Eccellenza nella guardia della persona sua e fortezze, nelle prò visioni degli ambasciatori e altri personaggi, in donativi, in raccolgere forastieri, in labriche e nel piatto e nel vivere della sua corte, la quale è molto splendida e onorata, e in essa sono provisionati molti nobili forastieri. Grande è eziandio la spesa della stalla, nella quale sono sempre 300 cavalli e anco 400, ed è la maggior stalla de’ prencipi d’Italia. E insomma la spesa importa scudi 196.000. Da che, considerando che il duca Ercole, padre di Sua Eccellenza, prestò un milion d’oro e mezzo e piú al re Arrigo, come ben sa Vostra Serenitá, e in conseguenza non si deve credere che il prencipe prestasse tutto il suo; considerato il tempo di 14 in 15 anni che Sua Eccellenza governa pacificamente, e l’accrescimento dell’entrate fatte per sua vigilanza e prudenza (non suol porre nuove gravezze e ordini, ma fare eseguire gli ordini antichi e proporre all’esecuzione ministri diligenti); si può credere che il signor duca sia prencipe danaroso e che oltre al [p. 35 modifica]milione e mezzo d’oro, ch’è creditore dal re di Francia, abbia doi o tre milioni d’oro per servirsene in ogni occasione di guerra. Nel qual tempo è ben fatto che i prencipi, avendo tesoro. non siano astretti aggravare i sudditi de’ danari, quali servono allora con la persona e patiscono l’incommodo che le guerre seco apportano; e quanto piú, in tal tempo il prencipe ha bisogno del loro servizio e buon animo, è pericolosa ogni loro mala sodisfazione, tanto piú che dee, quando è quieto e pacifico, provedere di non essere dal bisogno astretto di essacerbarle con nuove gravezze in tempo di guerra. E come il prencipe savio nei tempi di guerra pensa e considera in qua; modo debba far la pace, cosí in tempo di pace dee pensare in qual modo abbia, ricercando il bisogno, far la guerra. Ha eziandio Sua Eccellenza oro e argento lavorato di gran valore e perle e gioie di molto prezzo.

Le gabelle e i dazi ne’ quali, come ho detto di sopra, consiste il nervo delle entrate ducali, sono in mano di Cristoforo Dai Fiume, che fa professione d’essere sollecitissimo ministro; e per questo rispetto overo perché, essendo persona di vil sangue, non ha maniera di negoziare, è odiato da quelli che forsi non vorriano pagare. E a lui, non al signor duca, il clarissimo Grimani deve imputare il trattenimento de’ suoi cavalli, e il magnifico Pasqualigo l’arresto della sua persona. Ma si come alla guardia de’ guardiani si tengono cani fieri e nelle camere cagnolini gentili, cosí i corteggiaci, che sono intorno la persona del prencipe, sono cortesi, e alle gabelle si deputa chi abbia a ciascuno.... E Vostra Serenitá può conoscere la reverenza che Sua Eccellenza le porta e le mostra con accarezzare i suoi membri, perché e il magnifico Pasqualigo fu quasi prima liberato che preso e il clarissimo Grimani recuperò li cavalli.

[Ma, per ritornare a proposito in Ferrara, il signor duca ha fama di assai maggior tesoro, non fra gli uomini di maggior giudizio; li quali sanno che il signor duca Alfonso I, che morí del 1534, lasciò, essendo esausto da continua guerra, debiti, e che ’l tesoro di Sua Eccellenza è stato solamente accumulato dal padre di lui per spazio di 40 anni, e che ’l padre spese assai [p. 36 modifica]di quanto aveva accumulato; e si sanno l’entrate e spese ordinarie e straordinarie dell’andata in Ungaria del 1566, di nozze e d’altri accidenti; e veggono che ’l tesoro non può essere maggiore, e come il tesoro non è molto grande rispetto alle eccessive spese di guerra, cosí Sua Eccellenza ha poco il modo di cavar quantitá grande di danari per vie estraordinarie, perché li popoli sudditi a Sua Eccellenza, se ben sono ricchi assai di rendite e molto piú che non sono li fiorentini, spendono però quanto hanno né sono industriosi, anzi la maggior parte de’ traffichi e mercanzie sono in mano di ebrei].

Avendo sin qui ragionato con Vostra Serenitá della nobiltá del sangue e antichitá del dominio e paese, de’ sudditi, delle fortezze, dell’entrate di Sua Eccellenza, séguita che si discorra sopra i prencipi vicini, amici o nemici; passo importantissimo nelle cose di Stato. Ludovico Sforza il Moro, duca di Milano, mentre che fu amico di Vostra Serenitá si diffese lo Stato suo da Carlo VIII; e quando se la inimicò, a’ tempi del re Aluigi XII, in pochissimi giorni fu scacciato da quel gran ducato. L’essere Malta sotto la protezione di Spagna e gli agiuti di quel re la diffese l’anno 1565 dalle potentissime forze di sultan Solimano. E Carlo V imperatore, con tutto che fosse valorosissimo, mai fu cosí assoluto arbitro delle cose di molti prencipi come il re di Spagna suo figliolo, perché quello aveva vicino un re di Francia, emolo e potente nemico, e dalle guerre civili travagliato, indebolito e afflitto.

Il signor duca di Ferrara confina con la Santa Sede, con il re cattolico, con Vostra Serenitá, con i duchi di Fiorenza, Mantova e Parma, con la republica di Lucca, con li conti della Mirandola e signori di Correggio.

È buon figliolo e servitore della Chiesa, come quello ch’è prencipe molto religioso e cattolico, e sará sempre, quando i pontefici vogliano che lui sia tale. Pur da Giulio II, Leone X e Clemente VII il duca Alfonso suo avo ebbe, come è noto al mondo, molti travagli, e Sua Eccellenza medesima da Pio IV e V, instigati a cosí fare dal duca di Fiorenza, come ben sa Vostra Serenitá. E perché le cause delle «differenze» sono ancora [p. 37 modifica]in piedi, riferendole, le vivificarci nella memoria di Vostra Serenitá. E sono due principalmente: de’ confini e sali. De’ confini è differenza antica con bolognesi, e fu giá rimessa dall’una e l’altra parte a questo eccelso senato sino a’ tempi del duca Borso, e fu data la sentenza e dati li confini; ma perché il tempo ha mutati molti nomi e annichilati molti segni, però di nuovo è nata difficoltá, la quale è rimessa in doi giudici arbitri: per Sua Santitá l’illustrissimo e reverendissimo signor cardinale Orsino, e per Sua Eccellenza l’illustrissimo signor don Francesco da Este suo zio, i quali sono stati sopra il luoco e tosto si spera che abbia da aver fine. Nel qual fine, quando le Loro Signorie fossero discordi, Vostra Serenitá ne sará giudice; dal che ne può molto ben considerare la confidenza che il signor duca ha in lei e l’amore e l’osservanza che le porta e l’affezione che stima esserli da Vostra Serenitá portata, poiché niuno rimette il suo in potere altrui, se non l’ama e stima e se non crede esser ricambiato da lui. La differenza de’sali è d’importanza, perché, avendo questi signori privilegi antichi di poterlo fare se il papa con legittima causa non il vietasse, e levando all’incontro l’investitura di Adriano VI tale autoritá, ma volendo che per certo prezzo ne pigli dalla Chiesa gran quantitá, la qual quantitá distribuita dal signor duca per il suo Stato e altri al papa è di molto utile, il pontefice non voleva che Sua Eccellenza facesse sali e pretendeva di voler porre nella cittá di Ferrara un suo commissario, che riscuotesse in suo nome e benefizio della Chiesa il dazio del transito de’ sali, ne’ quali pretendeva che Sua Eccellenza non se ne potesse ingerire. E all’incontro Sua Eccellenza pretende che il duca Alfonso suo avo non abbia potuto alterare le condizioni antiche né far alcun pregiudizio a sé e a’ successori suoi, né vuole che, essendo signore libero e assoluto del suo Stato, altri tenghino in esso offiziali. Allegò il signor duca sospetti di chierici di camera, proponendo che Sua Santitá elegesse per giudice cardinali o prencipi non sospetti; alla qual dimanda il pontefice, per sua natura rigido, non volse acconsentire. [Con questo pontefice pare che Sua Eccellenza abbia buona intelligenza; e se bene sopra l’animo [p. 38 modifica]del pontefice non si può fondatamente discorrere, per le frequenti mutazioni che da essi pontefici nascono e perché ’l desiderio grande e naturale d’aggrandire i suoi li può spingere, come ha fatto molti per il passato, a sturbare la quiete d’Italia, pure si può credere che ogni pontefice, giusto e desideroso del bene universale e non affatto dipendente dalla casa de’ Medici, sará padre amorevole di Sua Eccellenza e che, quando anco avesse mal animo, staria quieto per quei rispetti che stettero i pontefici sudetti, e cioè per gli offizi dell’imperatore, re di Spagna e di Vostra Serenitá e finalmente per timore che ’l duca non faccia scendere i luterani aleman in Italia e non ponga in rischio il Stato, reputazione ed autoritá pontificia].

Della Maestá cesarea è buon parente e affezionatissimo servitore; e all’incontro Sua Maestá mostra di amare e stimare molto esso signor duca, e ne diede segni manifestissimi a’ tempi di Pio IV e V, comandando al duca di Albuquerche, governatore di Milano, che per diffesa e conservazione dello Stato del duca di Ferrara, prencipe, parente e amico e preso sotto la protezione di Spagna, prendesse l’armi, avendo a male Sua Maestá che il duca di Fiorenza, il quale dalla corona di Spagna deve riconoscere quanto ha, appoggiandosi all’amicizia di Francia e stringendosi con pontefici e finalmente procurando d’accendere in Italia nuovi tumulti e guerre, mostri poco riverenza e animo maggiore di quello che alla grandezza di Spagna era conveniente, non ritornando a proposito di quella corona che il duca cresca piu di quello che è.

[Osserva il signor duca e riverisce Vostra Serenitá grandemente e desidera molto servirla; e se bene l’animo come cosa ascosa nell’intrinseco del core nostro non si può vedere, essendo per lo piú involto nel velo della simulazione, nondimeno ardirò d’affermare che Sua Eccellenza ha ottimo animo verso lei, come quello che conosce la grandezza di Vostra Serenitá essere la grandezza e libertá sua, e vede che contra a’ nemici suoi non può avere piú fermo appoggio di quello di Vostra Serenitá.

Francia è lontana ed oggidí afflitta ed esausta e non affezionata come per il passato. Spagna lontana, esausta, travagliata [p. 39 modifica]da’ propri affari, e, quello che piú importa, le cose di quei regni sono in mano di ministri avarissimi ed ambiziosissimi. Di alemani conosce in veritá non potersi valere senza inimicarsi tutti li prencipi d’Italia, senza por sotto sopra tutte le cose divine ed umane, senza infettare il suo Stato e macchiare il suo nome; ove Vostra Serenitá è vicinissima, potente, atta con l’autoritá e con le forze, con onore e senza alcuna giusta querela d’alcuno a mantenerlo. Questi rispetti la faranno sempre riverire da Sua Eccellenza].

Con signori duchi di Mantova e Parma tiene Sua Eccellenza buona amicizia per rispetto loro, che sempre sono stati buoni amici e parenti, e poiché vivono sotto la protezione dell’imperatore e re cattolico. Ama parimente i signori lucchesi e da loro è amata e riverita assai. Come anco dalli conti della Mirandola, antichi amici della casa d’Este e dependenti dalla corona di Francia. Con il signor Camillo di Correggio Sua Eccellenza è sdegnata, perché, essendo uno ostaggio in Ferrara, se ne fuggi, rotta la guardia della fede e parola sotto la quale era tenuto solamente; e per questa cagione Sua Eccellenza mai ha voluto consentire che gli venghi inanzi. Pure, ad instanzia della Maestá cesarea, della quale il detto signore con fratelli è vassallo, gli perdonò, né gli sturba il possesso del loro Stato, che godono quietamente sotto l’ombra della Maestá cesarea e della protezione del re di Spagna.

Del signor duca di Fiorenza è quasi superfluo ch’io ne parli, perché della competenza ch’è tra questi prencipi è molto ben informata Vostra Serenitá, e altresí sa che l’emulazione e concorrenza è molto ben atta a generar discordie ed inimicizie non solo tra prencipi vicini ma tra amici e fratelli. Ancora a questo s’aggiungono molte querele per occasione de’ confini, pretendendo Sua Eccellenza che il duca Cosmo, padre del nuovo duca, corrompesse giá alcuni ministri del duca di Savoia, ch’era giudice arbitro fra loro; e dolendosi all’incontro il duca di Fiorenza che il duca di Ferrara non abbia sinora castigato alcuni suoi sudditi, che in quei rumori in luochi suoi occisero certi vassalli di Fiorenza. Si aggionge la memoria e le offese antiche ricevute [p. 40 modifica]da Leone X e Clemente VII, pontefici della casa de’ Medici, e molti altri rispetti importantissimi, poiché, come è ben noto a Vostra Serenitá, il duca Cosmo sudetto, essendosi impadronito dell’animo di Pio IV, procurò esso d’indurre quel pontefice a molestare il signor duca; e l’effetto saria forsi riuscito conforme all’intenzione, quando il vedere che i suoi dissegni erano sospetti, il timore della protezione che la Maestá cattolica prese di Ferrara e delle molte offerte che molti prencipi dell’imperio fecero a Sua Eccellenza, non gli avesse ritenuti. Dalle quali tutte cose può benissimo Vostra Serenitá considerare l’animo di questi prencipi e credere che, se bene è morto il duca Cosmo, continuando però la medesima emulazione e concorrenza, continui anco la mala sodisfazione. Con tutto questo, all’uso de’ prencipi, che tengono il suo pensiero nascosto sin tanto che s’appresenta buona occasione di palesarlo, in apparenza hanno sempre mostrato e mostrano esser amici.

E questo basti quanto alti prencipi confinanti. Ma perché doi gran prencipi sono l’imperatore e il re di Francia, li quali, si bene non confinano con lo Stato di Ferrara, poiché i loro Stati sono all’Italia congiunti e di tanta importanza, devono essere considerati da chi discorre sopra alcun prencipe d’Italia, toccarò anco brevemente delle Loro Maestá.

Il padre e avo di Sua Eccellenza, sono stati di parte francesi, come è noto al mondo; e Sua Eccellenza, come figliolo della serenissima madama Renea, figliola del cristianissimo re Luigi XII, ne’ suoi primi anni andò in Francia, e col valor suo e liberalitá s’acquistò la grazia del re Arrigo suo cugino e fu amato e onorato dal re Francesco II suo nipote. Ma vedendo poi le cose di quel regno sottosopra, perché non solo non li erano resi li danari de’ quali anco è creditore, ma li fu violato il possesso della precedenza, essendo introdotto l’ambasciatore fiorentino in certa solennitá prima che venisse il suo, e vedendo finalmente che appresso al re giovane più valeva l’autoritá della regina madre nei bisogni propri ed esperienza di esser sovvenuto da’ danari del signor duca di Fiorenza, che il parentado, meriti suoi ed ordini dei re defonti, che col consiglio avevano [p. 41 modifica]assegnato al duca di Ferrara il primo luoco dappoi i prencipi del sangue, dei signori duchi di Lorena e Savoia; per tutti questi rispetti è molto inclinato alla parte imperiale e spagnuola. Pure si trattiene anco l’amicizia della casa di Francia, spezialmente col mezzo dell’illustrissimo e reverendissimo suo fratello cardinale, ch’è protettore di quella corona e molto amato da quel re e ha in quel regno piú di 60.000 scudi d’entrate ecclesiastiche donateli dal defonto. [Sua Maestá ha avuto a male assai la pratica tenuta da Sua Eccellenza per essere eletta in re di Polonia].

L’imperatore, con li serenissimi arciduchi suoi fratelli, mostra infinito amore a Sua Eccellenza; e con tutto che, per la morte della signora duchessa Barbera, il parentado fra loro e il signor duca sia dissoluto, dura però l’amorevolezza, quale il signor duca conserva con ogni sorte d’offizi, e ha tre volte sin quest’ora visitata la Maestá cesarea. La qual Maestá e per il passato ha mostrato e ultimamente quanto ami e stimi Sua Eccellenza, essendoli andato doi miglia fuori di Vienna incontro con i prencipi dell’imperio e spezialmente cogli elettori palatino e sassono; prencipi, per dignitá, autoritá, ricchezze e forze, maggiori degli altri, con i quali tiene parimente stretta amicizia e ben spesso col mezzo de’ ambasciatori si visitano e presentano. E nel tempo di Pio V, nelle occasioni di titolo di granduca e altri travagli, quei prencipi fecero offerte grandemente a Sua Eccellenza, promettendo di venire con gran numero di cavalli e fanti in Italia a’ danni de’ suoi nemici. [Dal che si vede che questo duca non meno deve esser stimato per l’amicizie che tiene, che per il Stato che possiede].

Mi resta a ragionare sopra le qualitá intrinseche di Sua Eccellenza. E quanto al corpo, parmi superfluo dirne cosa alcuna, avendolo Vostra Serenitá piú volte veduto. Solo dirò che non solamente è di corpo grande e ben proporzionato, di faccia piena di venustá e maestá, ma anco molto robusto e gagliardo della persona; e nelle giostre e tornei di Francia e Italia ha con gli effetti fatto conoscere ch’è uno de’ piú forzuti e migliori cavalieri d’Italia. Con tutto ciò, essendo di etá di anni 45 e avendo avuto [p. 42 modifica]doi moglie, la prima figliola del duca Cosmo de’ Medici e la seconda della Maestá cesarea, non ha, non so per qual accidente, generato figlioli. [La comune opinione è che sia inabile a generare, e si va confermando quest’opinione vedendo che, giá tre anni ormai vedovo e assai innanzi con l’etá e senza figlioli, nondimeno non cura molto rimaritarsi, e nel rimaritarsi ha piú tosto fin di grandezza, da la pratica tenuta con la serenissima infanta di Polonia, che di prole e successione].

Quanto all’animo, si deve prima considerare la pietá e religione verso Dio; qualitá piú necessaria nei prencipi, quanto alla maestá divina sono piú di tutti gli altri obligati e quanto piú i sudditi s’accostano a sé e conformano con l’opinione del prencipe: gli alemani e inglesi furono buonissimi cattolici sin tanto che il re Arrigo VIII, il duca Giovanni Federico e altri prencipi abbandonarono per le sue passioni la Chiesa santa. E in questa parte Sua Eccellenza è molto cattolico. E l’inquisitore mi ha piú volte affermato che il signor duca l’esorta ad essere rigoroso contro gli eretici; e che, quando nella sua gioventú s’attrovava in Francia, essendo suspetto che le sue stanzie fossero infettate da peste, da un personaggio principalissimo ma eretico gli furono offerte le sue, alla qual offerta il duca con molta pietá rispose che piú tosto voleva stanziare fra le pesti che fra gli ugonotti (segno di molta pietá); e che castiga molto i violatori delle monache: e so che, essendoli parlato da persona grand a in favore d’uno di questi tali, disse che sana piú facile in perdonare chi avesse violato la persona sua.

Fa gran professione il duca di giustizia, senza quale virtú gli Stati in niun modo regger si possono; e si è veduto che, nelle differenze nate tra la ducal camera e suoi ministri e sudditi, alcune volte ha avuto le sentenze contra e ha voluto che siano poste ad esecuzione. Ha però ancora la clemenza molto luoco nell’animo suo, e ne diede segno ne’ primi giorni del suo governo, liberando l’illustrissimo signor duca Giulio, figliolo naturale del duca Ercole I, che dal duca Alfonso e dal duca Ercole II era stato tenuto molti anni in castello per aver congiurato contro il duca Alfonso suo fratello. È signore nelle audienze [p. 43 modifica]gentile e umano, e i supplicanti rimangono sempre consolati da Sua Eccellenza, almeno di parole; perché, vedendo il duca che il prencipe, volendo esser amato da tutti, deve dar sodisfazione a tutti, il che, quando è impossibile farlo con gli effetti, lo fa, quando non può altrimenti, con le parole, rimettendo la spedizione a’ suoi ministri di giustizia.

[Preme assai in mantenir in pace e quiete li sudditi, considerando che le parti, fazioni e discordie de’ sudditi possono portar danno alla conservazione dello Stato, essendo agevole alli nemici del prencipe amicarsi quella parte che per giustizia sará stata castigata ed offesa; e ben sa quanto possono facilitar l’imprese e dissegni de’ nemici li sudditi nemici del prencipe naturale, col mezzo de’ trattati e intelligenze che hanno con li parenti, amici e aderenti suoi. E infatti la nobiltá ferrarese è piú unita di qualsivoglia nobiltá di Lombardia.

Nei pensieri è molto temperato: parte tanto piú lodevole in un prencipe, quanto è piú difficile che colui, al quale tutte le cose sono lecite, superi e moderi li propri appetiti e desidèri. Prende recreazione de’ piaceri de’ virtuosi, come di musica e di poesia, gioca alla palla e nuota, lotta, va a uccellare e alla caccia. Nelle cose di donne è riservatissimo e ognuno può dire che la sua donna sia sua. Quando non ha avuto moglie, mai ha seguitato le gentildonne o altre maritate, ma ha preso qualche povera e bella giovane con consenso de’ suoi e poi l’ha maritata. Ed insomma quei piaceri, che prende, piglia quando da’ negozi gli è concesso; ai quali negozi ha rivolto tutti i suoi pensieri, di maniera che sta ritirato le settimane intiere, spendendo in negozi non il giorno solo ma molte ore della notte. Non corre a fretta nelle risoluzioni, ragiona prudentemente, serva gravitá ed il decoro, sparmia e per ordinario tende a cumulare, ma nelle occasioni spende larghissimamente. È d’animo intrepido né teme pericoli, è magnanimo né può cedere a pari o inferiori. Per questo rispetto ha ultimamente preso il titolo di «serenissimo» e di «Altezza». Nella qual materia a me disse questi giorni passati che mai avea desiderato tai titoli, ma aveva sempre ceduti a’ suoi maggiori: pure, vedendo che [p. 44 modifica]li duchi di Savoia e Fiorenza li usavano, essendo a loro eguale, era astretto, a ciò il mondo non lo giudicasse a loro inferiore, ad usarli. Aspira a grandezze, né si contenta del suo Stato. Per questo rispetto è entrato nella pratica di Polonia, alla quale fu esortato dal cardinale suo fratello e dall’ambasciatore che tiene in Polonia. Le speranze sue sono fondate certo non leggermente, e son questi li fondamenti principali: il favor della serenissima infante, conciliato con la promessa del matrimonio; la nobiltá del sangue; l’avere un Stato potente, grande e atto a mantenersi da sé; Tesser forsi piú danaroso di qualsivoglia altro competitore; Tesser d’una nazione amica ai polacchi e non nemica e odiosa come l’alemana e moscovita; Tesser in etá convenevole al governar; l’esser tenuto prencipe valoroso e bellicoso forse piú degli altri competitori; e finalmente per non poter cader sospetto che Sua Eccellenza potesse opprimere la libertá del regno. Questi sono li fondamenti delle speranze di Sua Eccellenza, le quali, se siano riuscibili o no, non conviene a me dirlo, specialmente stimando che Teccellentissimo signor Girolamo Lippómano ne abbia dato a pieno conto a Vostra Serenitá].

È molto prudente, come si vede dal modo suo tenuto nel negoziare, con il quale tiene sicurissimo il suo Stato con molta riputazione. Perché, vedendo Sua Eccellenza il signor duca di Fiorenza suo emulo potente e, ne’ primi anni che entrò nel suo Stato, unitissimo a Pio IV; e vedendo altresi che l’appoggio della casa di Francia, sopra il quale li suoi maggiori avevano fatto sempre grandissimo fondamento, mantenendo con quel agiuto lo Stato ne’ travagli avuti da Giulio II, Leone X e Clemente VII, era divenuto debole, essendo quel regno per le dissensioni e discordie civili fatto piú tosto bisognoso di soccorso che atto a sovvenire altrui; si rivolse alla protezione della serenissima casa d’Austria, della quale si ha in maniera acquistata la grazia che ha sturbati tutti li dissegni delli nemici, poiché la Maestá cesarea impose, come ho detto, al governatore di Milano che prendesse le armi in favore di Sua Eccellenza e la sudetta Maestá annullò il titolo di granduca di [p. 45 modifica]Fiorenza. E volendo di piú avere un appoggio, che dipenda da se medesimo e non da altri, ha di maniera stretta l’amicizia col duca di Sassonia e altri prencipi dell’imperio, che potrá in ogni occorrenza tirare in Italia quella quantitá d’alemani che vorrá.

[Serenissimo Prencipe, illustrissimi e gravissimi signori! perch’io son gionto a questo passo, il quale è piú importante di tutta la mia relazione, dirò a Vostra Serenitá e a Vostre Signorie eccellentissime poche parole intorno a quanto si discorre, da chi sa e ha pratica, dell’animo e natura di Sua Eccellenza. L’aver questi anni a dietro con fatica grande e assidua imparata la lingua tedesca, lingua che non s’impara per dilettazione, come quella che è barbarissima, né in poco spazio di tempo, ma con fatica e longhezza; il tenere un prencipe italiano, un prencipe cattolico e feudatario di santa Chiesa stretto pratica con un prencipe barbaro, come è Sassonia, con un prencipe eretico e capitale nemico della Chiesa, col quale non è alcun commercio; il presentarlo, come fa spesso il signor duca di Ferrara, e grossamente, e pur quest’anno l’ha appresentato d’apparamenti di corami d’oro di gran valore; fa credere a molti che sia qualche gran pensiero nell’animo del signor duca e qualche fine di novitá, atteso specialmente ch’attende a cumulare cd e magnanimo né si contenta del suo Stato, mal volentieri sta quieto, e vorria guerreggiare, esercitare il suo valore e sopramontare i suoi nemici. Però con queste ragioni da qualcuno è giudicato che Sua Eccellenza un giorno sia per suscitare alcun moto. Da altri veramente, che conoscono che il duca è prudente, non è creduto che sia per muovere rumori; poi considerano che offenderia tutti i prencipi italiani e che gli alemani, o per mancamento de’ danari o per milizia o per instabilitá propria di quella nazione, si dissolvevano overo mancheriano per altro accidente, e in questo caso, lui rimanendo solo, correria manifesto rischio di perdere il Stato: per tanto stimano che Sua Eccellenza non abbia nell’amicizia d’alemani altro fine che col timore di essi far star quieti li pontefici e Firenze]. [p. 46 modifica]

Parmi aver ragionato fin qui abbastanza di Sua Eccellenza. Pure, per non lasciare a dietro niuna cosa degna di Vostra Serenitá, dirò ora due parole dei grandi del sangue; e non avendo Sua Eccellenza figlioli, dirò dell’illustrissimo e reverendissimo cardinale suo fratello, come piú prossimo a successione. Il quale è di etá di 36 anni, molto amabile e ricco e prencipe di negozi: ha da spendere 90.000 scudi all’anno e li spende; e per questi rispetti e per il grado e casa è molto amato e stimato nella corte di Roma e Francia. Sua Eccellenza ha tre sorelle: l’eccellentissima principessa madre delli duchi di Ghisa e rimaritata ora nel duca di Nemours; l’eccellentissima duchessa d’Urbino, la quale è al presente in Ferrara e non par che sia molto d’accordo col duca suo marito; l’eccellentissima madama Leonora, che, con tutto che sia maggiore del cardinale, non ha però né vuol prender marito per esser di debolissima complessione: è però di gran spirito e l’anno passato, quando il duca fu in Alemagna, governò il Stato con infinita sodisfazione de’ sudditi; ma in questi Stati non succedono le femine. Dopo il cardinale è l’illustrissimo signor don Francesco d’Este, zio di Sua Eccellenza, signore molto intendente delle cose di guerra, allievo dell’imperatore Carlo V: fu capitano generale delli suoi cavalli leggieri; ha da spendere 24.000 scudi all’anno, né ha figlioli se non due femine naturali. L’illustrissimo signor don Alfonso è parimenti zio di Sua Eccellenza: ha vedute molte guerre, ottenne dal re cristianissimo grado di capitano generale della cavalleria italiana: è signore d’ingegno e valor grande: ebbe dall’illustrissima signora donna Giulia, sua moglie e sorella dell’eccellentissimo signor duca d’Urbino defonto, doi figlioli maschi; né in questa eccellentissima casa de’ descendenti del duca Alfonso sono altri descendenti che questi: ha 25.000 scudi d’entrata.

Luogotenente generale di Sua Eccellenza è il marchese Cornelio Bentivoglio, capitano molto stimato nelle guerre di Francia e Siena, ove fu governatore generale del re cristianissimo: ha 12.000 scudi d’entrata.

Capitano de’ cavalli leggieri è il marchese Ercole de’ Contrari, nobile di Vostra Serenitá, signore di belle qualitá e ricco di 16.000 scudi d’entrata. [p. 47 modifica]

Secretano intimo è il signor Giovanni Battista Pigna, per mano del quale passano tutti li negozi: persona capacissima, dottissima ed indefessa.

Per venir dunque a conclusione, dico a Vostra Serenitá che, s’io non m’inganno, si può molto promettere dell’animo dell’illustrissimo ed eccellentissimo signor duca di Ferrara; si ha a credere che Sua Eccellenza abbia sempre a procurare la pace d’Italia; tenendo all’incontro per certo che il signor duca, essendo sforzato a prender le armi (poiché è prencipe per le qualitá del corpo e animo suo prudente e valoroso, per lo Stato potente e danaroso, e di piú ha la grazia dell’imperatore, la protezione del re di Spagna, secreta amicizia e parentado dell’imperio e può fare scendere in Italia li alemani a suo favore), sia non solo attissimo a difendere il suo ma anco di offendere l’inimici.

[Serenissimo Prencipe, illustrissimi ed eccellentissimi signori! non so se in parte alcuna ho servito Vostra Serenitá e le Vostre Signorie eccellentissime; le supplico bene con ogni reverenza escusino li miei defetti e la inesperienza con l’etá, ch’è ora di 27 anni, e tenghino per fermo che in ogni luogo, stato, tempo ed occasione io sarò sempre, come debbo, buon servitore di questo serenissimo dominio e pronto non solo a servirle, quando si degneranno di valersi di me in alcuna occorrenza, ma anco desideroso di spargere il sangue e la vita in servizio suo. Prego nostro signore Iddio conservi e prosperi per molti anni Vostra Serenitá e le Vostre Signorie illustrissime, e con ogni umiltá e reverenza me l’inchino ai suoi piedi].