Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato (Vol. I)/II. Mantova/VII. Relazione dell'illustrissimo signor Nicolò Dolfin al signore duca Carlo di Mantoa (5 agosto 1632)

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VII. Relazione dell'illustrissimo signor Nicolò Dolfin al signore duca Carlo di Mantoa (5 agosto 1632)

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VII. Relazione dell'illustrissimo signor Nicolò Dolfin al signore duca Carlo di Mantoa (5 agosto 1632)
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VII

RELAZIONE

dell’illustrissimo ed eccellentissimo

signor NICOLÒ DOLFIN

ritornato d’ambasciatore

al signor duca Carlo di Mantoa,

Monferrato, Nivers, Retel e Umena,

letta nell’eccellentissimo senato il 5 agosto 1632.

Serenissimo Prencipe, da una legazione di brevi giorni, qual è stata la mia al signor duca di Mantoa, ad una breve relazion a questo eccellentissimo senato, nei soli punti essenziali ristretta, esistimo di ridurmi. In questa parte almeno m’aggiustaro: dall’un canto al commodo delle piú gravi occupazioni publiche; dall’altro, col non aver interposto da questo ultimo ufficio a quello del ripatriar mio che pochi giorni d’intervallo: se mancara d’adornamenti la tessitura dello scrivere, goderan al certo le cose, che sono per riverentemente esponer, del vantaggio dell’opportunitá presso la notizia di Vostre Eccellenze.

Io devo discorrer delli Stati di Mantoa e di quel signor duca in termini molto differenti da quelli che han fatto tutti gli altri ambasciatori di Vostra Serenitá, ritornati da quelle legazioni. Fissi han parlato di Stati floridi, di popoli numerosi, di ricchezze di quella casa abondanti. A me tocca rappresentar la destituzione d’un paese, di popoli e di casa che rissente in ben compatibile maniera e rissentirá per piú d’una etá le miserie del sacco, inumanamente inferitoli giá due anni da’ tedeschi. Col discorso gli altri hanno versato sopra prencipi italiani [p. 174 modifica]possessori di quei Stati, aderenti, se non d’affetto, almeno per necessitá de’ confini, alla prepotenza de’ spagnoli. Da me intenderanno le inclinazioni e li geni di un prencipe, possessor dei Stati predetti medesimi, francese di nascita, di Stati, di aderenze, ed in conseguenza geloso non pur, ma diffidente di Spagna.

Carlo Gonzaga, che è l’ottavo in ordine di quelli di questa casa, quali con titolo di duca abbino dominato quei paesi, succedutovi, come piú prossimo in sangue, per il mancamento della passata linea nel fu duca Vincenzo II, vi si è condotto per il mezo delle fluttuazioni grandi d’armi, de’ negozi e de’ trattati ben note. Egli è di etá di cinquantadue anni, se ben non li mostri, aiutandosi con capillatura posticcia all’uso di Francia. Gode intiera salute e procura conservarla col tenersi da tutti li disordini lontano. È solito di dire che, se ’l signor Dio gli fa provar de’ disturbi nelli Stati, lo ricompensa nella prosperitá della complessione. Apparisce di coscienza purissima, d’ottimi sensi, di buona intelligenza delle cose, di discorso facondo; e se a queste parti, in aggionta della gentilezza del suo tratto, corrispondessero quelle delle essecuzioni, molto avantaggerebbe egli di stima e gli interessi suoi di condizione. L’auttoritá che impartisce a’ suoi ministri e la connivenza che usa con gli altri, invece di conciliargli gli animi de’ sudditi, gli deroga piú tosto presso essi il concetto e gli mantiene intepidito quell’affetto loro, che mai per il vero ha provato, come si converrebbe, ardente e cordiale verso di lui. Possiede il signor duca di molto diminuti li Stati di Mantoa e Monferrato da quello abbino fatto li precessori suoi, e per le fiere rovine della guerra e della peste, delli qual mali sono stati essi per si longo tempo la sede, e per li grandi partaggi, con che in virtú dell’accordo di Cherasco gli furono essi smembrati.

In altri tempi rendeva il Mantoano alli duchi 200.000 ducati d’entrata: ora a gran pena s’avvicinano a 70.000, consistenti nelle esigenze dei molini e di alcuni dazi solamente. Abondava quel morbido paese di vittuarie di ogni sorte, e di grani in particolare, a segno che, soprafacendo il proprio bisogno, ne somministrava agli altri luoghi circonvicini ancora. Di presente [p. 175 modifica]tutto il viver de’ grassumi, polli e carnaggi conviene procacciarsi dal Veronese e Bresciano, li vini da Modena, e dallo Stato ecclesiastico per lo piú il grano.

Il territorio di Mantoa, che faceva 170.000 anime, fra’ quali, oltre alla contadinanza da cultura, erano descritti 10.000 uomini di ordinanze in raggion di uno per casa, rimane, per la mortalitá delle persone, ridotto a 43.000 solamente e, per la dissipazion degli animali, nella maggior parte inculto; e le distruzioni delle case di campagne e gl’incendi delle ville intiere fanno pompa mestosa delle crudeltá che ha esso ultimamente sofferite. Minori le ha provate la cittá, nella quale e le chiese, che sono per lo piú riguardevoli assai, sono restate illese, e li stabili, levati quelli dei borghi ove fermò l’assedio, si veggono almen al di fuori sottratti dalle devastazioni, se bene molti di essi privi di abitanti, in modo che le strade lontane dal centro della cittá verdeggiano tuttavia: gli altri, denudati della loro mobilia e delle loro merci, le quali fiorivano nell’agucchieria in particolare e ora sono quasi del tutto destitute. Al qual proposito ho saputo esser stato offerto al duca da alcuni olandesi d’inviare a Mantoa, con qualche privilegio, in via di appalto, fin mille uomini in diverse arti versati, per essercitarsi in esse e vivificarle.

Il palagio del duca, qual è, per la sua ampiezza, per la copia di logge, sale, galerie e cortili, delle piú nobili abitazioni che goda altro prencipe in Italia, apparisce vedovo di quelle superbissime suppelletili di seta e d’oro, di quelle pitture eccellenti e di quegli altri ornamenti tutti, che lo rendevano, per l’esquisitezza e per l’abondanza in qualitá, per il vero regale, conspicuo e maestoso.

Il Monferrato, pervenuto nella casa Gonzaga per via di femine, se le ha ampliato il dominio, le ha insieme, col progresso del tempo, consunto l’erario e desolati li sudditi, per li dispendiosi litigi sostenuti in corte cesarea a fine di cavarne giudizi favorevoli, per la costosa costruzione della gran fortezza di Casale, per l’obligo di mantenervi il numeroso presidio necessario al guardarla e per le discordie e guerre aspramente [p. 176 modifica]per longhi anni sofferite con la casa di Savoia, a quello Stato, con quello del Piemonte, confinante ed infesta.

Rilevava di entrata annua il Monferrato alli duchi di Mantoa meglio di 230.000 ducati, quando era tutto unito in numero di 218 terre grosse. Al presente la parte rimasta al signor duca, che è di 147 terre solamente, può arrivar a 80.000 ducati in circa, assorbiti dalle spese di quel governo, composto, con titolo di «Consiglio», del gran cancellier Viscardi, che tiene le chiavi della cittá, del governator della cittadella Rivara, delli possidenti e di un secretano di Stato, quali con poca economia al certo regolano l’entrate sudette. Cosi, ove non gionge a rischiarar con li raggi della propria providenza l’occhio ben aveduto del prencipe, s’offuscano fra le nebbie del privato interesse quelli del buon servizio de’ ministri. Non rissente il signor duca presente, né potrebbe meno di gran lunga farlo, il dispendio del presidio di Casale, mantenutovi, sino dal principio del suo ingresso, dalla Francia, con qualche augumento nel numero e con introduzion piú libera di soldatesca francese nella cittadella medesima doppo la morte del duca d’Umena. In essa, oltre il marchese di Rivara, governator del duca, vi ha introdotto il signor di Toiras monsieur di Santoné, suo nipote; e 560 fanti, per lo piú francesi, di presidio vi si trovano. Nel castello della cittá, in Nizza, Ponzan, Moncalvo ed altri luoghi forti restano li governatori di Sua Altezza assistiti da capi del re cristianissimo con milizia pure francese, il numero della quale, ripartita fra Casale e gli altri posti sudetti di quello Stato, ascende a piú di 2400 fanti, tutti pagati dal re, oltre a 300 del paese, che servono a mo’ di ordinanze. Se bene resti il duca dalle paghe de’ soldati sgravato in quel paese, rimane tuttavia, per tali presidi, quello Stato dall’obligo continuo delli alloggi, a che 10 tengono sottoposto quelle milizie, opresso assai. Diversamente succede di quelle da Vostra Serenitá contribuite al signor duca per la sicurezza di Mantoa, quali lo servono senza altro aggravio che di alcuna picciola ricognizione agli ufficiali per il commodo degli utensili. Anzi che, oltre la custodia e disciplina militare che vi essercitano, dánno esse gran fiato con la [p. 177 modifica]dispensa del denaro di Vostre Eccellenze, che riscuotono nelle lor paghe, alle quasi cadenti professioni degli operari e bottegari di quella cittá. A gloria del nome della serenissima republica riede che li favori, che impartisce ai prencipi, non restino presso essi derogati da alcuna opposizione contraria.

Di monizioni da vitto e da guerra si trova Casale proveduto abondantemente da’ francesi. In cittadella piú di 4000 sacchi di grano mantengono sempre risservati, ed un monizioniero regio assiste in Casale con denari e recapiti per il tener monito il resto dello Stato. Della cittadella, doppo la morte di Umena, ha cura esso monizioniero di far instaurar le fortificazioni, alla parte a che nel secondo assedio fu fatta da’ spagnoli la breccia; ed il medesimo pensa Toiras di far essequire al «cavalier de’ tre venti», guastato dall’artigliarla nel medesimo secondo assedio.

Mantoa, quanto a monizioni da guerra, resta anch’essa in sovrabondante maniera monita con quelle per la maggior parte che, tolte in Valezo e Villafranca, luoghi di Vostra Serenitá, dagli alemanni, sono state da essi al partir loro da Mantoa lasciate per il debole prezzo di 4000 doble al signor duca, il quale ricevè il commodo di tal somma di denaro dal Cristianissimo ed il vantaggio di aver con esso acquistato un capitale di ben triplicato valsente, come si può vedere dall’aggionta nota, che ho procurato di averne per quelli di Vostre Eccellenze che averan gusto di ponderare come dalle catture eziandio della republica abbi il duca potuto trar considerabili profitti. Di monizioni da vitto di tutte sorti resta all’incontro quella cittá non dico penuriosa, ma totalmente mancante. Di grano, che è fra l’altre l’essenziale, avendo io ritrovato sul fine il partito, posi inanzi, fra gli altri miei discorsi, al signor duca quanto fosse necessario rinovarlo e, si come dissi, potersi lasciar a’ cittadini il pensiero di provedersene per il bisogno delle lor case. Cosi, mentre avevo per camino osservato molto poco potersene prometter dal territorio, stante l’incoltura di esso sopra descritta, aggionsi di creder che, per ogni termine di buon governo nelle gelose congionture correnti, convenisse tenersi obligato il novo partitante a render proveduta la piazza per due [p. 178 modifica]in due mesi almeno. Non fece poca impressione nell’animo del duca il mio concetto, e, l’ultima audienza che ebbi, mi disse averlo proposto in consulta; e, per quello espose l’ambasciator d’Avò in questi ultimi giorni, se ne sono poi uditi gli effetti.

Si può chiamare Mantoa piazza forte, per esser nel mezo dell’acque, ma debolissima contro un assalto formale, quando siano gli assalitori padroni dei laghi, avendo essa per il resto il recinto di muraglia senza terrapieni, all’antica, tolto li fattivi ultimamente alle venute principali. L’isperienza nell’ultimo acquisto, che ne fecero imperiali, comproba questa veritá, mentre alcun tentativo lor non riuscí, se non quando spuntarono il transito libero per l’acqua. È vero che averebbono durato maggior pena e dato ai nuovi soccorsi di Vostra Serenitá maggior tempo, se la peste non avesse diminuito di molto li diffensori di dentro e se il coraggio in chi comandava fosse stato piú rissoluto, di che pare la corte adossi la maggior colpa al marescialo Di Coure.

Potrebbesi giudicare che, per la gran disuguaglianza sopra espressa, dall’esser di questo duca a quello de’ precessori suoi, di entrate, di sudditi, di constituzioni della cittá e territori, molto inferiore anco in consequenza dovesse esser presso agli altri prencipi l’esistimazione di lui; tuttavia, ben penetrandosi con la speculazione, il si può riconoscer in molte parti in posto piú avantaggiato anzi degli altri. Gode egli e goderanno li successori suoi quello non facevano li precessori: li ducati di Nivers, Retei e Umena, se ben quest’ultimo in sol titolo. Ne cava oltre 170.000 ducati d’entrata; e, quantunque siano impegnati nelle levate che de’ francesi fece per il primo suo ingresso alli Stati in Italia, avendo nondimeno avanzato a buon segno certo aggiustamento con li creditori nel regno, spera ben tosto liberar Sua Altezza quelle sue rendite. Sono inoltre li detti Stati suoi di Francia popolatissimi, abili a somministrar prontamente per ogni occorrenza al signor duca buon numero di milizia bellicosa ed opportunissimi ad accommodarlo d’altra sorte di gente. Anzi so passargli in animo di farne, per la popolazione di Mantoa e per la coltura delle campagne, calar [p. 179 modifica]qualche considerabile quantitá. Questi Stati, che gode il duca in Francia, danno a lui un altro vantaggio eziandio sopra li suoi precessori grandissimo, qual è il pegno del potente patrocinio di quella cristianissima corona, mai da molti anni in qua interessatasi per alcun altro prencipe d’Italia tanto né si apertamente come ha fatto per l’Altezza Sua. Con tali prerogative di condizione ha potuto il duca, se ben a grande prezzo non ha dubbio, sottrarsi a quel giogo de’ spagnoli, che han convenuto provar tutti li suoi precessori: di non valer per insino ad ispedir ambasciate, né a prender mogli per sé o accasar in altri prencipi le figlie della loro casa, senza la licenza ed assenso delli governatori di Milano.

Solevano dir li spagnoli, fin quando si poteva di lontano preveder la mancanza della linea delli duchi passati, che, se fosse succeduto a quelli Stati anche un turco, per religion ed interesse di Stato tanto naturai aperto nimico del Cattolico, non poteva esser che non si rendesse, per conservarsene padrone e goderli, dipendente da quella corona. Pretendevano che non potessero li duchi di Mantoa, ed in effetto non lo potevano, mandar un fante, né far capitar un sacco di monizione nel Monferrato, né ricever da esso nel Mantoano, non dirò uomini, ma meno un bichier di vino, che di si buoni ne abonda, senza licenza del governator di Milano. All’incontro li governatori volevano esser cosí padroni di continuamente far transitar dal Genovesato al Milanese la regia soldatesca e d’inviarla bene spesso in alloggio sopra il Monferrato, come sopra lo Stato di Milano medesimo; e potevano ben li duchi rissentirsi in se stessi e quei popoli esclamar le estorsioni che ne ricevevano, ma non giá poner alcun freno alla volontá dei ministri spagnoli. Con l’assenso di questi si ponevano dalli duchi li governatori in Casale; e Ferdinando, tutto che nell’ingresso del suo dominio fosse stato cosí poco ben trattato da Spagna, si altamente soccorso e protetto con mensual contribuzioni di denaro dalla serenissima republica, ad ogni modo trovò bene, per conciliarsi col Cattolico, di deputare, fuor d’ogni aspettazione commune, in particolar grattifícazion di quella Maestá, al [p. 180 modifica]governo della detta piazza di Casale un cavallier della nazione spagnola medesima, che fu don Alfonso d’Avalos. Anzi di piú si valevano li spagnoli delle gelosie e mosse d’armi di Savoia sopra lo Stato del Monferrato, per lo piú suscitate da loro, per mezo di sottometterselo ed estorquerlo, col manto della diffesa, piú di quel che facessero con le offese gl’istessi savoiardi. Ove il duca presente, per la connession de’ Stati e di sangue che ha con la Francia, ha trovato modo di scuotersi da si grave ed insofferibile dipendenza. È vero che, avendo convenuto Sua Altezza, per le angustie in quali lo hanno con la guerra passata constituito austriaci, appoggiar tutta la diffesa de’ suoi Stati in Italia alla Francia ed alla serenissima republica, parerebbe ch’egli si fosse involto fra nodi di non inferiori dipendenze; di che procurano di continuo, per mezo della imperatrice e d’altri, farlo imprimere spagnoli, facendoli pervenir esibizioni speciose di riporlo in ogni piú intiero posto di libertá. Ma è anco verissimo che, per quello tocca al presidio della serenissima republica di diffesa di Mantoa, è esso stato da Vostra Serenitá contribuito a disposizione ed ubidienza cosí piena del duca, ed entro ai medesimi limiti con si morigerato e puntual termine si mantengono quelle milizie, che conviensi da cadauno disappassionato confessare riceverne Sua Altezza il commodo della custodia della piazza senza alcun’ombra di gelosia o caratto di veruna aderenza, che non sii per solo termine di gratitudine piú che volontaria. E circa alli soccorsi della Francia nel Monferrato, oltre che non possono venir da parte piú confidente al duca, che è pur francese, si deve aver per massima molto sicura: essere li soccorsi di un prencipe grande ad un inferiore tanto meno gelosi e molesti, quanto men di fomento ricevono dalla vicinanza e prepotenza de’ confini da dove provengono. Il si riconosce in prattica nel caso presente, nel quale con tanta misura procedono il marescial di Toiras e gli altri ministri francesi nel non operar cosa veruna, sia per augumento di fortificazioni, per introduzion di milizie, cambio di presidi o altro nel Monferrato, senza mandar a riceverne prima il piacimento del duca; ché ben si vede incontrar anzi essi di far [p. 181 modifica]ad ognuno apparir il tributo che giustamente rendono alla superioritá in quello Stato dell’Altezza Sua.

Questo tanto che ho discorso per dimostrar la condizione piú esistimabile presso agli altri prencipi del presente duca, la quale s’accrescerá per giornata col respiro che anderanno prendendo li suoi Stati, li suoi sudditi e le sue rendite, conferma quel che è in effetto della molto piú avantaggiata condizione a che s’è avanzata insieme la causa publica dai tempi andati.

Il possesso, a che col negozio s’è portata la Francia, della piazza di Pinarolo in Piemonte, per ispianarsi la strada, non ostante la distanza de’ confini, alli pronti suoi soccorsi a Casale, serve a mirabilmente bilanciar la prepotenza de’ spagnoli in Italia e a togliervi loro tanto di credito e potere (con l’averli massime, doppo, interdetti li passi dei Grisoni), quanto apunto se n’hanno a se stessi accresciuto li prencipi, che hanno rimesso ne’ suoi Stati il signor duca, quali sono il Cristianissimo e Vostra Serenitá. Assai ben compensate però devono chiamarsi le contribuzioni delle spese e dell’opera, quantunque gravose, fatte per redimer questo prencipe e ben impiegate quelle che si continuano per conservarlo. A tali vantaggi, ispuntati alla causa commune dalla virtú di chi ha tenuto in protezione il signor duca, non si può negare che non poco abbi derogato il destino, colla morte ancor recente, nel fior degli anni loro, delli duchi di Retei e di Umena, suoi figliuoli. Perché, se bene del primo resti, oltre una femina, un figliuolino maschio entrato nell’anno terzo di sua etá, chiamato Carlo, nome del duca presente, suo avo, di nobile ciera, di vivacitá di spirito, senza imperfezion veruna di salute, il quale, come nato e nodrito fra le agitazioni dell’armi ed il suono delle artigliarie, mostra anco in questa sua tenerezza geni generosi; ad ogni modo non resta iscansata l’imminenza a quelli Stati e all’Italia tutta di due ben gravi e dannosissimi pericoli.

Per riparare all’uno, qual è la dubia sicurezza della succession di quella casa, ristretta in una sol testa, si porge al signor duca da quelli che tengono vero zelo del suo bene il mezo [p. 182 modifica]del nuovo matrimonio di lui. Nel qual proposito io, e con una mia lettera spedita espressamente da Mantoa e con discorso fattone ultimamente in iscritto per il commando particolar che ne ebbi (sopra il quale stimò bene questo eccellentissimo senato di passar gli uffici, a Roma e altrove, propri apunto del bisogno), mi trovo di aver cosí distintamente rappresentato e le varie insinuazioni che vengono fatte al duca, e li fini diversi con che vengono suggerite, ed il contraposto che vi fa la prencipessa vedova sua nuora per esser, per quanto può, in tal caso di maritaggio, ad altre preferita, e le scomposizioni che potriano rieder dall’iscontentarla, che il tenersene da me qui nuovo proposito sarebbe un replicar le cose precedentemente esposte. Da che, anzi, ho mirato in tutti li capi di questa mia relazion riverente di allontanarmi, a mira di ottener il mio primo intento col non accrescere, o con replica delle cose scritte o con evagazion fra le communi che si vedono alle stampe, il tedio all’Eccellenze Vostre illustrissime.

L’altro pericolo, che sovrasta per la morte seguita di questi doi prencipi figliuoli del duca, è che prima del ridursi il prencipino nipote e li figliuoli, che potesse aver con nuove nozze Sua Altezza, ad etá abile per la reggenza de’ Stati, possa ella, che Dio non vogli, mancare; perché, in caso tale, le massime del governo sarebbono sottoposte a facilmente mutarsi in favore de’ austriaci. Di questo mal influsso, se bene conviene attendersi i ripari in primo luogo dalla providenza del cielo, ad ogni modo potrebbe secondarla il signor duca col guardare la sua persona con miglior cura. Mentre, senza alcuna mira a se stesso, cavalca quasi ogni giorno in campagna con la compagnia di otto o dieci solamente; lascia pratticar le sue stanze da sudditi milanesi, che senza alcuna occasione ho osservato andarsi trattenendo in quella corte; né diligenza veruna fa usar nelle vivande ed in altro, che possi assicurarlo dalle insidie, tutto che sii stato avertito da alta mano, e possa di raggion sospettarlo, che si machini contro la persona di lui. Anche a questo mal imminente sarebbe antidoto, a mio parer, molto opportuno il riporsi, da chi tiene la protezion di quello [p. 183 modifica]Stato, soggetti di tal credito acanto il duca di Mantoa, come ne sono in Casale, che servissero, in ogni caso di sua mancanza, col consiglio e con l’auttoritá, non meno che con la buona disposizione delle forze di Vostra Serenitá, che si trovano in quei presidi, a tener nel buon sentiero incominciato li vantaggi di quella casa ed il servizio della publica causa. Sopra questa materia accennai al mio ritorno, nell’eccellentissimo collegio, come il presidio di Porto, formato di milizie del duca sotto un capo di casa Canale, giá commissario della cavallaria, si trova a cavalliero di quello di Mantoa; in modo che, se si mutassero per qualunque accidente con la mutazion del possesso le massime, onde quei soccorsi, giá supplicati dal duca presente alla republica, si rendessero poco grati o troppo sospetti a chi comandasse, potrebbono dal presidio sudetto di Porto essere facilmente abbattuti e reietti, col maggior danno allora dell’interesse commune e del particolar ben vivo di questo serenissimo dominio.

In altri tempi, che il duca chiese due compagnie d’infanteria a Vostra Serenitá, per poner anche la detta fortezza di Porto con piena confidenza nelle mani della gente di lei, e che Ella, fermandosi in non voler estender li suoi soccorsi oltre il recinto di Mantoa, lo consigliò a sostener le sue proprie milizie, come ha fatto, non cadeva in considerazione, essendo in vita li doi prencipi figliuoli di Sua Altezza, il dubioso caso della mutazion di quel governo. Lo hanno riconosciuto Vostre Eccellenze, con l’ordinar ultimamente all’eccellentissimo signor generai Zorzi di cominciar ad insinuare a Sua Altezza il tenere taivoita cambiato quel suo presidio in Porto con parte delle loro milizie del presidio di Mantoa. Sará incombenza propria di questo eccellentissimo senato il tener l’occhio della sua singolare prudenza ben attento sopra quel gran posto, che, essendo alla banda del Veronese, riesce anco alla republica maggiormente geloso, per quel di piú che le parerá di andar col progresso del tempo e delle occasioni deliberando.

Sin quando segui la morte del primogenito dell’Altezza Sua, fecero spagnoli, prevedendo ciò che potesse succeder, spiccar [p. 184 modifica]l’infante Margarita, vedova di Savoia, fu moglie del duca Francesco di Mantoa, da Turino, sotto pretesto di conferirsi a consolar la prencipessa sua figlia nella perdita del marito ed assisterla nella gravidanza, in cui egli l’aveva lasciata. Speravano che l’infante, qual è tenuta di affetto non men che di tratto spagnolo, d’etá sopra li quarantadue anni, sagace ed aveduta, potesse ridur alle aderenze loro il signor duca; ed ella, con frequenti secrete negociazioni col governatore di Milano, nei primi mesi del suo arrivo in Mantoa, se ne affaticò, se ben senza frutto. Godono al certo spagnoli ch’ella si trattenga in quella cittá per formarvi un partito a favor loro e per attraervi alcuno de’ ministri. Anche il duca di Savoia ama vederla in quella corte, e per quelle trattazioni di nozze della prencipessa vedova, figlia di lei, col prencipe cardinale suo fratello, che gli cadesse bene secondo le congionture di avanzare; e per fondatamente esplorar al certo li dissegni e maneggi con la Francia del duca, quali, per non aver egli sottoscritto al partaggio del Monferrato, convengono esser a savoiardi in qualche parte gelosi. Francesi sofferiscono la dimora d’essa infante in Mantoa, e per non irritarsi apertamente contro il suo animo, e per non Scontentar quello del duca suo fratello. Le fecero offerir a’ mesi passati, per obligarsela, 10.000 ducati di pensione; ma, avendo ella preso tempo di accettarla, si ingelosirono volesse prima darne parte a’ spagnoli, a mira o di riceverne il loro assenso o di profittar presso di loro li suoi vantaggi sopra tale esibizione della Francia: onde il marescial di Toiras, per render vuoti di effetto simili intenti di lei, immediate gliela ritrattò. Spiacque al signor duca assai che con prontezza non ricevesse la infante il favore della Maestá cristianissima. Gli ha protestato non poter egli farle piú longamente corrisponder il trattenimento delle 500 doble il mese assegnategli. Gli ne continua tuttavia la piú parte che può e tratta con dissimulanza con lei, o sia per il suo genio di usar connivenza con ognuno o perché in effetto non stimi in tutto di suo svantaggio l’aver la infante in sua casa, abile a tener vivo, per ogni accidente di qualche rivoluzione improvisa del [p. 185 modifica]mondo, il filo d’apertura a qualche riconciliazione con spagnoli e a servir di mezana nelle occorrenze che con loro gli potessero accadere o trattenerli col negozio e con le delusioni ancora. Giá quando ha interposto il governator di Milano la novitá di construir un passo sopra il fiume Oglio nell’indubitata giurisdizione di Mantoa, ha il signor duca, doppo averlo con vigor degno fatto distrugger, riposta la negoziazione in mano della infante sudetta. Vi resta essa fortemente impegnata di riputazione per entro, avendo persuaso il duca a rimetter il passo devastato, con parola che spagnoli da sé lo averebbono distrutto; ed invece di cosí essequire, proseguirono anzi nell’uso e dominio di esso. Il giorno del mio partire da Mantoa, mi fece ricercare la infante di andar a lei in udienza privata, come essequii. Si mostrò scontenta di Feria per questo mancamento di parola. Diede segno di risentimento d’essere tenuta d’affetto spagnolo, mentre professava conservarsi d’animo e di sensi vera prencipessa italiana, qual è la casa da dove è nata e quella ove è stata in moglie. Procurò di cavar da me li sentimenti della serenissima republica sopra questo accidente del fiume Oglio; e mi portò in fine inanzi che, tenendovi il Cattolico varie pretensioni sopra, sarebbe forse bene, per non lasciar semi di dissidio a quella banda, tutte unitamente ultimarle. Io, si come stimai nella risposta lasciarla in credenza di che non solo la republica ma li altri prencipi ancora fossero per sentire male al sicuro una tal novitá, cosí, scorgendo che il partito di ultimar tutte le pretensioni insieme era a fine o di sottrarsi essa dall’impegno nell’individuo di questo ultimo accidente, overo col desiderio de spagnoli raccomandatar l’affare alla eternità, o lasciar aperta questa porta alli pretesti delli motivi d’armi a questa banda, le dissi doversi prima dal governatore di Milano, con la deposizione del passo promessa ad essa signora, ritornar le cose in pristino e abollire le novitá, perché poi, volendosi trattar di pretensioni vecchie, restava aperto l’adito di farlo per le vie del negozio pratticate fra prencipi e ordinarie.

È questo emergente del fiume Oglio di considerabili consequenze. Spagnoli, col passo ora fatto, transitano liberamente da [p. 186 modifica]Calvaton, luogo milanese, a Mosio, che gli sta dirimpetto, terra del Mantoano. Prima non era in lor facoltá di traghettar quel fiume senza saputa, perché non potevano far calar barche dall’alto, essendovi la fortezza di Pontevigo, della serenissima republica; né farle meno venir all’insú, per trovarsi a cavallier del fiume quella di Goito, del signor duca: ove di presente hanno il passo libero, fra il mezo di queste doi piazze, per transitar di giorno e di notte a voglia loro anco con qualche numero di gente armata. Dubita il duca che, fermato da’ spagnoli questo primo punto del passo, s’avanzino ad un altro, per assicurarsi la ripa di qua con qualche fortino. Mi considerò, l’ultima audienza che ebbi da lui, come, passati di qua dal fiume, potevano in mez’ora di piano camino ridursi ad Acquanegra e di lá in poco piú sotto Asola, piazza si importante di Vostra Serenitá. Sperava Sua Altezza si arrendesse Feria alla raggione ed alla stessa propria parola: e cosí m’asserí precedentemente, come avisai; ma doppo s’è chiarito della delusion delle speranze di quel ministro. Da me per risposta si portò al signor duca la necessitá di rappresentar il successo e le sue consequenze immediate in Francia. Mi promise di farlo, aggiungendomi che. con il fondamento poi delle risoluzioni e sentimenti sopra ciò del Cristianissimo, averebbe procurato d’intender quelle dell’Eccellenze Vostre, per andarsi secondo gli uni e gli altri pienamente aggiustando.

Un’altra pietra di scandalo ripigliano spagnoli a questa banda di Lombardia, col procurar di farsi ceder per via di concambio da Fiorenza, con le nozze della prencipessa di Stigliano, Sabioneda. È quella piazza, non ha dubio, come sono anco Bozolo e Castiglione, membri del Mantoano. Giovanni Federico Gonzaga fu di tutto quello Stato unitamente rinvestito dall’imperator col titolo di duca, ove quatro de’ suoi ascendenti lo avevano goduto sino allora con il titolo di marchese. Li fratelli di Giovanni Federico, appartandosi da lui, si posero poco appresso nelle dette terre, godute sin qua, doppo, come tuttavia si godono, dalli discendenti loro. Non è però che per raggione si possino smembrarle, con alienazione veruna di esse, dalla prima investitura [p. 187 modifica]di tutto il corpo di quello Stato, per quel che in mancamento di quelle linee devono unirsi di nuovo col resto del Mantoano. Anzi, che alla stessa condizione era Castel Giufré, eziandio reincorporato allo Stato dal fu duca Guglielmo. È stata da molti anni in qua la vecchia prencipessa di Stigliano tentata per piú vie in Napoli, ove dimora, da spagnoli a ceder loro con speciosi partiti detta piazza, ma mai vòlse assentirvi, e quest’eccellentissimo senato e li signori duchi di Mantoa ne la han sempre fatta efficacemente dissuadere. Dubiosa ella talvolta di esser oppressa dalla forza, ha ricorso a Vostra Serenitá per esser assistita di qualche banda di gente da pressidiarla. Il marchese di Poma si offerse ultimamente al Cristianissimo, quando fu a quella corte ambasciatore del signor duca, d’impadronirsi con poca gente di detta piazza e tenerla a disposizion di Sua Maestá e dell’Altezza Sua. Nell’importanza di quel posto per la sicurezza di Mantoa e per quella di questo serenissimo dominio non entro, come cosa ben nota e patente. Spagnoli non solamente in prosperitá di fortuna, che non apparisce rischiarita per loro al presente, ma in aversitá eziandio d’accidenti, che pratticano assai vicini, non possono, per sé giá avendo tutte le speranze sopra il Monferrato ed inlanguidite quelle sopra ’ Grigioni, attender d’altrove il ricovero abile a conservarsi il piede in Italia, che col ponerlo apunto in Sabioneda, ed in Mantoa conseguentemente; onde li uffici e li riflessi, che si sono ripigliati da Vostre Eccellenze in questa materia, sono ben degni della loro maturitá.

Con il papa tiene il signor duca di Mantoa ottima intelligenza. Riceve qualche considerabil commodo dalla confinanza con lo Stato ecclesiastico. È memore della prontezza con che anco prima del suo ingresso alli Stati gli ne fermò Sua Santitá il dominio per mezo dell’approvazion che diede alle nozze della prencipessa Maria nel prencipe suo primogenito; ed il desiderio che il pontefice gli confermi il benefizio con la dispensa, se ben difficile, al maritaggio della detta prencipessa in lui medesimo, lo porta ad accrescer ad ogni maggior segno tutti li termini di rispetto con la Beatitudine Sua. [p. 188 modifica]

Verso l’imperatore non può conservare buon animo Sua Altezza, riconoscendo la dessoluzione dello Stato di Mantoa da lui. Lo mostrò nella corta risposta che diede al baron Rabata, ambasciator di quella Maestá, dalla quale i duchi precessori si sarebbono molto bene guardati. Ad ogni modo, come feudatario dell’imperio e stretto parente dell’imperatrice, la qual è della stessa casa Gonzaga, figliuola del fu duca Vincenzo primo, usa il signor duca nelle apparenze ogni dimostrazion di rispetto con Cesare; e gli onori contribuiti al detto ambasciator suo, come avisai, lo comprobano.

La medesima alienazione d’animo e per li rispetti stessi tiene l’Altezza Sua con il re cattolico. Non può celare il godimento delli sinistri che provano ambedue quelle corone. Li chiama «giudizi ben giusti del signor Iddio»; né vagliono le lusinghe di promesse, che gli fanno di quando in quando pervenir all’orecchie spagnoli, per scancellarli dalla memoria li danni ed offese passate o per fargli creder miglior loro disposizione in avvenire verso di lui.

Con il re d’Inghilterra, che lo tratta di «Altezza», come fa l’imperatrice, passa il duca uffici di piena confidenza, e con gli altri prencipi tutti, quali o per sangue o per interessi sono con la Francia congionti. Sino col duca di Savoia, tutto che goda tanta parte del Monferrato, si trattiene con modi d’amorevole corrispondenza, in riguardo che sii ora quel prencipe aderente della cristianissima corona. Vive il signor duca in speranza o di riaver un giorno il suo, col compenso che sii per procurarne la Francia a Savoia per altra via, overo di esser del partaggio del Monferrato compensata in altra parte l’Altezza Sua.

Nella Francia ha tanti pegni di Stati, di rendite, di parenti, della prencipessa medesima sua figlia, il signor duca, tanto ha rimesso Casale e tutto quello Stato nelle sue mani, che, quando il patrocinio, gli interessi e la gratitudine non lo conservassero a quella corona volontariamente unito, tali pegni valerebbono a tenervelo per necessitá. Con termini di ogni onore e stima però procura conservarselo tale il re cristianissimo. Gli ha mandato ambasciatori di congratulazione e di condoglianza, secondo [p. 189 modifica]le occorrenze. Ha loro espressamente ordinato di trattar con Sua Altezza con maniere di molto avantaggiate per lei da quelle facevano con gli altri duchi precessori, e pareggiatala con quelli di Savoia e di Toscana.

Col fondamento di ciò e di esser alla stessa condizione trattato da Cesare e da Inghilterra e di aver l’onor della parentela dell’imperatore e del Cristianissimo e quello della colleganza con la Francia e con Vostra Serenitá, desidererebbe il signor duca di esser da lei eziandio onorato dei titoli che è solita dare a Savoia e Fiorenza, e non trattarlo tuttavia con quelli che oggidí sono fatti ordinari fra li cavallieri privati. E se ben egli non me n’abbi fatto il motivo, me ne hanno ben parlato li ministri, con quali mi son ritenuto sopra generali; e forse ne fará passar qualche instanza il signor duca alle Eccellenze Vostre, all’arrivo del suo ressidente presso di esse.

Verso questo serenissimo dominio professa Sua Altezza una parzialissima devozione. Si chiama restituito nel possesso de’ suoi Stati dalle mani principalmente delle Eccellenze Vostre; protesta di mai esser, qualunque accidente succeda, per disgiongersi da esse, e che imprimerá questa massima e lascerá questo precetto alli suoi posteri. Ho osservato che gode dei soccorsi di Vostra Serenitá senza minima ombra di gelosia; e procurò egli di confermarmene con la confidenza di mostrarmi la lettera dell’imperatrice in questo proposito, come rappresentai. Sovente gli vengono suggeriti dei sospetti però, per renderlo di essi soccorsi geloso. Alcuni de’ ministri, che con calor sostenevano non doversi uguagliare l’ambasciator di Vostra Serenitá nelli ricevimenti a quello di Cesare, qual è direttore del feudo, assai bastando di trattarlo a misura dell’altre corone, dissero a Sua Altezza che io sostenevo questa pretensione con la sponda che mi davano le milizie della serenissima republica, abili a farmene far la raggion in ogni caso. Il qual concetto fu francamente ribattuto con le adequate risposte da chi ben guidò a mio nome quel negozio. Riconosce il signor duca la continovazione longa ed incessante delle tante contribuzioni ricevute da Vostra Serenitá. So che mira di astenersi quanto piú [p. 190 modifica]può di moltiplicare in instanze, per non riuscirle molesto. Li miei uffici hanno atteso al confirmarlo nel suo affetto filiale e sincero verso Vostra Serenitá, ad assicurarlo del candor di lei verso Sua Altezza ed a farle apparir gli avantaggi ben grandi del tenersi sempre unito con questo serenissimo dominio; e posso affermare che non sono state in questi punti, come li piú essenziali, infruttuose le mie rimostranze.

Negli onori verso la mia persona, come rappresentante Vostra Serenitá, ha abondato con la pienezza che giá fu descritta da me nelle mie lettere distintamente e che non replico.

Basta che m’è riuscito ispuntare che non si prattichi disuguaglianza veruna nelli onori alli ambasciatori della serenissima republica dalli cesarei, sotto qualsisia pretesto o di feudi o di maggioranza di corone, e che il successo ha riguardato alla funzione non solo mia d’allora, ma per le occorrenze avvenire e non pur in quella, ma nelle altre corti tutte, ove un essempio in contrario averebbe servito di fòro: perché, se avessi lasciato amettere grado di maggioranza d’onori in simili accoglimenti alli ambasciatori di Cesare per la maggioranza del posto di quella Maestá, lo averiano poi facilmente potuto pretender quelli degli altri re, con pregiudizio ben grave della serenissima republica.

La prencipessa Maria vedova, figliuola che fu del duca Francesco di Mantoa, come che sii di affabilissime maniere, di ottimi sensi, di ciera delicata e venusta, nell’etá sua di 23 anni, col merito di aver dato alla casa del signor duca la posteritá, con li pensieri di che possi col matrimonio con lui confirmargliela, è in grado di molta stima ed affetto tenuta da Sua Altezza. Alcuni particolari ho espresso nelle mie lettere e scrittura precedente. Di piú dirò: ametterla il signor duca nel Consiglio (quel che non fa dell’infante), quando si tratta del governo della cittá e del territorio; e si nomina il Consiglio della prencipessa.

Ricevè ella prontamente la pension dal Cristianissimo. Si rissenti non lo facesse la madre. Con essa però s’intende bene, la qual vorrebbe accasarla col Cardinal di Savoia, suo fratello: pensiero che, quando succedesse il maritaggio del signor duca [p. 191 modifica]in altra dama, potrebbe avanzar piedi e rinovarebbe maggiori di prima le pretensioni e le discordie fra queste doi case. Della proroga alle gioie di Verona, concessa da Vostra Serenitá, rimarrá detta prencipessa grandemente consolata ed obligata.

Il Parma, il conte Caffini, il Striggio, fratello del marchese che mori a Venezia, ed il conte Arrivabene sono li quatro secretari di Stato del signor duca. Li doi primi hanno parte nelle consulte, oltre a’ quali entrano nel Consiglio il vescovo di Mantoa di casa Soardi, il conte Sigismondo ed il marchese Giulio Gonzaghi. Quest’ultimo, apertamente contrario ad austriaci, vi è stato ultimamente connumerato da Sua Altezza forse per far contrapeso a quelli che si scorgono di quel partito. Con lui è unito il conte Caffini. Il Parma procura conservarsi neutrale, se bene sia a questi doi in qualche parte sospetto. Il vescovo, negoziator sagace e prudente, da che riconosce dalla corte cesarea il matrimonio di una dama della imperatrice, principale di sangue e di ricchezza di casa Agnelli, in suo nipote, e che con lo stesso patrocinio aspira avantaggi in Roma per se stesso, sostiene il partito e interessi di casa d’Austria e tira con sé il conte Sigismondo Gonzaga, suo stretto amorevole parente; e questi doi non vennero, non mandarono a complire con me, essendo il vescovo partito il giorno appresso del mio arrivo in Mantoa, come significai.

Il marchese di Poma, fratello del prencipe di Bozolo, se ben non entri in Consiglio, è però in concetto ed in istima alla corte. L’ha accresciuta doppo la fonzion della sua ambasciaria per il duca in Francia e doppo il titolo di generale delle levate che occorresse di fare al Cristianissimo in Italia e l’annuo stipendio conseguiti da Sua Maestá. Egli e unito coi marchese Gonzaga e col Caffini. Ha trattato con me con ogni rispetto, si mostra appassionato della grazia di Vostra Serenitá, e per capo d’onore molto preme di aver da lei un attestato per il servizio che le prestò per alquanti mesi nel commando delle milizie della serenissima republica che militavano nel Mantoano; ed il signor duca assai amarebbe vederlo in ciò dall’Eccellenze Vostre consolato. [p. 192 modifica]

Pochi altri cavallieri ho trovato acanto Sua Altezza di tal credito che m’accada farne menzione, levati il marchese Canossa, conte Francesco Brembato e signor Bortolamio Barisoni, sudditi di Vostra Serenitá, che mi han confirmato la lor devozione verso di lei con ogni termine di ossequio.

Ben del conte Francesco Martinengo, che si trattiene in Mantoa di ordine di Vostre Eccellenze alla custodia di quelle loro milizie, tutto ch’io abbi alcuna cosa scritto per lettere ed esposto in voce alla Serenitá Vostra, non posso lasciar qui sotto silenzio il merito in che s’avanza. La disciplina della soldatesca appoggiata alla sua sol cura, la continenza in che la mantiene, la sodisfazion che ne riceve il signor duca, il credito e confidenza in che è presso Sua Altezza, sono prove evidenti del degno servizio di lui. Lo sostenta egli con decoro, lo sofferisce con grave interesse delle sue misurate fortune. Il fermare questo cavalliere a publici stipendi, a segno corrispondente alla sua nascita ed a quello di aver prevenuto la retribuzione col precedente merito de’ suoi utili impieghi, crederei capitale del publico vantaggio.

Mi mandò il signor duca al partir mio due memoriali: l’uno a ciò li suoi sudditi condennati al remo, quali ha nuovamente rissoluto, per servir a Vostra Serenitá, di mandar a servire sopra le galere di lei, non siino aggravati della spesa della condotta da Verona a Venezia, mentre quel viaggio riede a servizio della republica; l’altro a ciò sia concesso al stampator di Sua Altezza in Mantoa di poter estraer da questa cittá li caratteri bisognevoli per rimettere in quella la stampa, dissipati ivi da tedeschi col pretesto che avessero impresso scritture pregiudiziali a casa d’Austria. Ambidue appresentai nell’eccellentissimo Collegio. Sará della prudenza di Vostre Eccellenze il rissolverne alcuna cosa.

Anche il conte Francesco Brembato mi diede sua supplica a Vostra Serenitá per la licenza di poter comprar alcuni beni nel territorio mantoano. Gli accidenti passati di quello Stato, che hanno reso le campagne prive di uomini e di animali per la coltura, hanno insieme constituito i padroni inabili a poterle rimetter ed in necessitá di vender li beni, quantunque di fondo [p. 193 modifica]fertile, per vilissimo prezzo, sino di tre doble al campo. Molti de’ sudditi della serenissima republica a quei confini rissentono della nuova proibizione per non poter godere di un tale vantaggio; ed ho udito cavallieri mantoani di buon discorso a ponderar assai sopra questa restrinzione fatta nuovamente dalla Serenitá Vostra, non pratticata altrove, e che non incontri ella anzi di ampliare con le raggioni de’ sudditi privati di lei le publiche, in certo modo, eziandio sopra quello Stato confinante. Ciò che ho osservato di piú rimarcabile è che cremonesi e genovesi, con una cosí buona congiontura di non aver concorrenza, si vanno introducendo nel possesso di quei beni, molti de’ quali sono intersicati con questo serenissimo dominio, con quelle consequenze di cui devo io rimetter il riflesso alla maturitá di questo eccellentissimo senato.

È venuto con me il signor Andrea Badoer, mio genero, ed il signor Giovanni, suo fratello, furono dell’illustrissimo signor Pietro. La stretta congionzion, che tengo con essi, conviene, per non adossar agli attestati miei nota di interessati, defraudar il luogo alla retribuzione del vero. Assai ben degno gli lo porge però la ingenuitá de’ loro costumi, l’erudizione degli ingegni e la maniera nobile del trattar loro, che, unite al splendor con che sono comparsi, gli han resi stimati ed accettissimi a quella corte e li renderanno abili nel progresso degli anni a quei carichi, nei quali li maggiori di lor casa hanno sempre cospicuamente meritato con la serenissima republica.

Li signori conte Giulio Pompei veronese, conti Giunio e Giovanni Battista Porto vicentini, conte Lionello da Lion padoano, con altri quatordici gentiluomini principati delle cittá di terraferma, mi hanno favorito delle loro assistenze; e nel tempo ristretto, che ho convenuto dar loro per porsi ad ordine, non potevano certo far piú a fine di decorar degnamente l’ambasciata.

Secretano presso di me in questa legazione ho avuto il signor Antonio Anteimi. Delle degne condizioni del suo talento, ereditate da longa linea de’ suoi benemeriti antenati e praticate nei piú gravi negozi, giá tanti anni, da Vostre Eccellenze in questo eccellentissimo senato e nell’eccellentissimo Consiglio di [p. 194 modifica]dieci ancora, crederei, con troppo dirne io, di scemare piú tosto il merito ed il concetto. All’incontro, se tutto passassi sotto silenzio, farei al certo offesa alla propria convenienza; poiché, oltre alle parti di sua prudenza e virtú ad ognuno ben note, ho si pienamente riconosciuto in lui quelle di una puntualitá di servizio, d’una moderazione di costumi e d’un zelo sviscerato del maggior decoro di Vostra Serenitá, nelle persone di publici rappresentanti con chi s’attrova, che sono in stretta maniera obligato di nobilmente comendarle. Egli, non contento di venir in persona a questo servizio, vi ha condotto un unico suo figliuolo, senza riguardo ai pericoli di staggione né all’interesse della spesa per farlo ben degnamente comparire; il quale, avendo nell’etá tenera di undeci anni maturato frutti di creanza, modestia e virtú, essercitati con assistenza continua alla mia persona, che me Io han reso carissimo, dimostra chiaro di uscir dalla buona scola del padre e del zio e di dover imitar le vestigie eziandio, del modo che porta il nome, del signor cancellier grande, suo avo. Ed a ciò il corso delle peregrinazioni e servizi di questa casa non s’intermetta, pur si trova il signor Antonio in procinto di partire per la sua ressidenza in corte cesarea, ove nelle congionture gravi correnti, e sempre in ogni altro luogo, possono esser certe le Vostre Eccellenze di restar dall’opera di lui utilmente servite.

Per quello tocca alla mia persona, dirò che il mio sentimento per non aver potuto far piú si compensa con la consolazione di aver fatto quanto ho saputo per ben servire a Vostra Serenitá in questa ambasciaria. Ho, subordinando li miei privati alli publici riguardi, sofferentemente veduto per il longo spazio di cinque anni fermar dall’un canto il corso a qualche avanzamento di mia fortuna, dall’altro continovare ad accrescermisi quello di non piccioli interessi per tenermi di punto in punto allestito all’obligo della carica. Al comandamento di Vostre Eccellenze di andarla ultimamente ad essequire mi vi sono in poche ore aviato, superando con la profusion della spesa gl’intoppi dell’angustia del tempo, per confirmar la mia ossequente obedienza. Con la medesima a somma gloria mi recarò di servire [p. 195 modifica]in qualonque altra occorrenza, come quello che quanto è in me riconosco in feudo da questa gran patria concessomi, al degno fine di ravivar, come farò di vero cuore, con caratteri anche di sangue, occorrendo, le memorie della devozion de’ maggiori, e di lasciar in essempio, come bramo, impronti corrispondenti alli posteri miei.

Prima del mio partire mi mandò il signor duca in dono un gioiello: lo ho posto a’ piedi di Vostra Serenitá, per renderlo parto della munificenza di lei e delle Signorie Vostre eccellentissime verso di me. Le supplico con ogni umiltá maggiore restar servite di farmene la grazia, in segno che abbino, come sovra modo ambisco, ricevuto in grado benigno, se non le opere povere di talento, almeno la volontá ricchissima di affettuosissimo zelo con che le ho servite. Si come supplica della medesima grazia riverentemente il secretano, per la catena parimente, conforme

al solito, donatagli al partire da Sua Altezza. Grazie. [p. 196 modifica]

NOTA

di tutte le monizioni di guerra che sono state messe dentro l’arsenal di Mantoa dall’illustrissimo signor bachelier, le quali sono state comprate da lui di signori alemani per mezo del signor Virgilio Costante, pagadore general della Maestá imperiale.

1. Due cannoni di fonda grossi, che non sono stati ben fondati.

2. Cinque grossi mortali di medesima materia, portando lire 60 di balla, con tutti loro arnesi buoni.

3. Dodeci pezzi di ferro, portando ciascheduno lire 6 di balla.

4. Trenta petardi di fonda.

5. Quaranta petardi di legno legati di ferro.

6. Quantitá di pignate di fuoco, circoli, torze, lance ed altre cose artificialmente composte.

7. Seimille balle di artigliaria.

8. Doimille badilli, pichi, serpi: tutti stromenti atti per li guastatori e novi.

9. Cinque grandi casse di chiodi di ogni sorte, necessari per l’artigliaria.

10. Una dozena di «cani» overo letti per condur li cannoni, con quantitá di rote, il tutto ferrato e novo.

11. Vintimille lire di ferro in barra.

12. Trenta maioli di ferro per metter dentro le rote.

13. Quatro grandi casse di aciale in barra picole.

14. Piú tutti stromenti necessari al séguito dell’artigliaria.

15. Quantitá di corde o cai per lo tiragio dei cannoni, piú quantitá di scale.

16. Casse di tutte le sorti, che si ritrovano che fanno mille lire in circa. [p. 197 modifica]

17. Trentamille lire di sanitri raffinati.

18. Vintimille lire di solfere.

19. Vintimille lire di corda.

20. Doicentocinquanta casse di balle di moschetto.

21. Diecimille moschetti con le forcine, fornimento o bandoliera.

22. Cinquemille piche o alebarde, tremille corsaletti novi.

23. Dodici scudi o rondazzi a prova del moschetto.

24. Due casse di ferro per forcine e piche.

25. Milledoicento armature fornite per corazze o genti d’arme a cavallo.

26. Quarantamille lire di piombo in pezzi.

27. Duemille stampe per far le balle di moschetto. [p. 198 modifica]

SCRITTURA SUL MATRIMONIO

DEL DUCA DI MANTOA

Serenissimo Prencipe, Vostra Serenitá cornette a mi, Nicolò Dolfin, come ritornato dall’ambasciaria di Mantoa, che, precorrendo nel punto del matrimonio di quel signor duca la relazione mia, la quale pure farò tra pochi giorni, le esponga immediate ciò che m’è occorso di intendere per quelle risoluzioni, a che paresse a questo eccellentissimo senato di devenire in negozio di tante consequenze e che non può patir dilazione.

Io, riconoscendolo del peso che veramente è, scrissi, quando ero in quella cittá, una piena lettera di questo solo proposito, che sará aggionta in rinovazione della memoria di Vostre Eccellenze. Ora posso riverentemente dirle di piú: che il matrimonio del signor duca di Mantoa è in effetto desiderato da tutta la corte e sudditi suoi, a troppo rivoluzioni prevedendo ognuno esposto lo Stato, quando terminasse la sua discendenza, appogiata di presente ad un solo figliuolino, nipote dell’Altezza Sua. Da questa uniformitá di sensi al matrimonio in generale, che nel particolare però del soggetto è presso molti discrepante secondo la diversitá degli affetti, si lascia rapir il duca a condescendervi; il quale per altro, per la remozione delle occasioni nella precedente vita di dui prosperosi figliuoli, n’era anco alienissimo nell’animo.

Avrebbe qualche desiderio per sé l’infante vedova radicato sin nel principio della sua mossa per Mantoa; ma quei fini, che allora militavano di che tali nozze valessero solo a qualche agiustazione migliore delle differenze fra Savoia e Mantoa [p. 199 modifica]ed a miglior unione di quelle due case, non militano punto di presente, a petto dell’ogeto principale di prender moglie non avanzata in etá, tale che rendi dubia la posteritá.

Alcuni ameriano qualche prencipessa dipendente dalla casa d’Austria, per conciliar il duca con quella corona; ed a tal fine giá si sono cominciati valer dell’imperatrice, come avisai. Questi tali, per sostener il concetto loro, portano al duca l’oportunitá di porsi in grado di qualche confidenza con imperiali, e l’avantagio di trar da questo maritaggio emolumento di considerabil dotte, tanto necessario nelle estreme angustie di Sua Altezza, che non potrebbe atenderlo dalle nozze con la nora.

Altri portano qualche dama suddita per partito migliore, per interesse di sangue o d’affetto che ne tenghino, asserendo che, nella poca propension de’ vassalli all’Altezza Sua, questo valerebbe a conciliarle gli animi in gran maniera.

Non mancano di quelli che sugeriscono esservi delle dame private nel regno ben grandi e ricche, che potrebbono ben accomodar il signor duca; ed aggiungono che ve ne saria per aventura alcuna in Venezia, e altre volte averne adottate per figliuole la serenissima republica.

La prencipessa nora sta ferma in desiderare o che non si mariti il signor duca o, maritandosi, lo faccia con lei, per non vedersi soprafatta di grado e d’auttoritá da altre prencipesse in quella casa. Lacrimò quando fu avisata andasse il vescovo di Mantoa a Parma per trattato di nozze a quella parte. Il duca, forse pentito di averle dato questo disgusto, divulgo ai non averlo spedito per tal occasione, e ne diede asseveranza a me eziandio Visita esso signor duca ogni giorno detta prencipessa, le dá segni di molto stimarla, ed ella se ne rende meritevole. Cena con lei il piú delle sere e se ne mostra inclinato assai. Non se ne scuoprí apertamente però, perché dall’infante non sii sturbato il negozio e da altri ancora, e anco a mira di non impegnarsi col dubio di non poter poi ottenerne la dispensa. Per facilitarla, crederei poterne valer presso il papa grandemente la considerazione della division che pretenderebbe detta prencipessa far al certo, partendosi anco da Mantoa, de’ suoi beni [p. 200 modifica]alodiali, se seguisse con altra il matrimonio, ed il fomento che ne riceveriano le machinazioni de’ imperiali. E se Sua Santitá ponesse a campo la facilitá, che m’accennò il duca ed avisai, di unirsi gl’interessi di quella casa con il congionger la prencipessa nipota col novo figliuolin che nascesse al duca, potrebbesi rissolverle molto agevolmente l’argomento, con ponderarle che quella sarebbe una medicina incerta e lontana ad un male sicuro ed instantaneo; tanto maggiore nelle congionture correnti, nelle quali, partita la prencipessa vedova scontenta da Mantoa, ben saprebbono li spagnoli accoglierla e tenerla, col notrimento di alate speranze, e consolata in se medesima e ad essi aderente e congionta.

Ch’è quanto in momento d’ora, ricevuto il commando di Vostre Eccellenze, subito in ubidienza dovuta riferisco. Grazie.