Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato (Vol. I)/II. Mantova/VIII. Relazione di Alvise Molin alla principessa Maria Gonzaga (1638)

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VIII. Relazione di Alvise Molin alla principessa Maria Gonzaga (1638)

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VIII. Relazione di Alvise Molin alla principessa Maria Gonzaga (1638)
II. Mantova - VII. Relazione dell'illustrissimo signor Nicolò Dolfin al signore duca Carlo di Mantoa (5 agosto 1632) III. Monferrato
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VIII

RELAZIONE

di

ALVISE MOLIN

ambasciatore straordinario

alla prencipessa Maria Gonzaga

1638

Serenissimo Prencipe, illustrissimi ed eccellentissimi signori, nelle voci che s’odono di novitá e variazioni degli affari di Mantova non ho potuto piú a lungo sofferire io, Alvise Molin, che le miserie della mia infermitá possino per aventura causare alcun pregiudizio al publico interesse. Diversi importanti particolari mi furono conferiti dalla signora prencipessa di Mantova, che per angustia di tempo al mio partire non mi fu permesso ragguargliarne Vostra Serenitá, riserbandomi, gionto che fossi alla sua presenza, di farne relazione. È piacciuto al signor Dio sia stato nel ritorno assalito da febre, che, inforzata dopo il mio arrivo mi ha posto in molto pericolo della vita, e poi, quando speravo esser libero, s’è di novo invigorita a segno che mi tiene oppresso nel letto, con dubio di qualche longhezza, ma con certezza di longa convalescenza. Nei brevi respiri di questa affannosa mia malatia ho procurato cavar tutto il maggior spirito dalla mia debolezza ad adempimento di questo debito, con far poner in carta ciò che l’Eccellenze Vostre illustrissime resteranno servite d’udire e compatire; mentre possono ben credere esser grandi l’aflizioni che sente la mia anima di non [p. 202 modifica]poter prestare l’attuale mio umile servizio e di non poter particolarmente assistere in quest’occorenza. Tutto quel piú di rilevante, che ho stimato degno della notizia di Vostra Serenitá, ho studiato di non ommettere, abbandonando la superfluitá, per minorare il tedio all’Eccellenze Vostre delle mie molte imperfezioni.

Dirò qualche cosa delle condizioni della signora prencipessa e del signor duca, delle qualitá de’ ministri, del loro Consiglio; rappresenterò lo stato di Mantova, di Porto, delle fortificazioni e rendite; e, rifferendo le cose partecipatemi dalla medesima signora prencipessa, ministri de’ prencipi e suoi particolari, non tralascerò d’andar meschiando quel poco che nell’angustissimo spazio di quattro soli giorni, tutti impiegati in replicate udienze, visite del signor duca e della corte, ho potuto osservare. Mi dispenserò dal descrivere la situazione di Mantova e Stati del signor duca, dal ramemorare le disaventure passate, pur troppo note all’Eccellenze Vostre, e dal ridire quelle cose che col mezo delle stampe a tutti sono palesi; ma, restringendomi a quanto ho accenato, leverò la molestia di longa lettura all’Eccellenze Vostre illustrissime.

La signora prencipessa Maria Gonzaga, fu figlia del giá duca Francesco di Mantova e dell’infante Malgherita di Savoia, è quella che oggidí, come tutrice e madre del picciolo duca, governa. Ella è in etá d’anni 29, di bel aspetto, di spirito eccellente e di rara ed esquisita eloquenza. Vive con grandissima puritá di costumi, lontana da tutte le ricreazioni, spende tutto il tempo nel governo di Stato, nelle visite di monache e chiese, nella cura de’ figliuoli. Quattro ne ebbe del prencipe di Mantova, figlio del giá duca Carlo, ultimamente morto. Due andorono a godere il cielo, due gliene rimangono: Leonora, prencipessa d’anni nove, che mostra spirito grazioso ed, in quest’etá, latina per tutte le regole, per quanto la signora prencipessa e molti altri di corte m’hanno detto; Carlo, il duca, in etá d’anni otto. Divulgò la fama che questo prencipe fosse si mal composto ed abituato, che viver longamente non potesse; e questo concetto, radicato forse tuttavia nell’animo di molti, non è punto conferente agli affari di Mantova. A me parve vederlo in assai [p. 203 modifica]buon essere e, se non robustissimo, almeno non di soverchio delicato. È vivace, di bell’indole, per l’etá sua di spirito pronto; onde alle volte gli esce di bocca qualche risposta e concetto proprio d’uomo maturo e da amirarsi nella tenera sua etá. È disposto di vita, abile d’ingegno e riesce bene in tutte le cose alle quali s’applica. Vòlse la signora prencipessa ch’io lo vedessi a giocar di picca, e lo fa con somma leggiadria e con grande misura di tempo. Mi mandò un longo dissegno fatto di suo pugno: opra, che, per esser uscita dalle mani d’un prencipe d’ott’anni, si può ben dire meravigliosa. Né voglio tacere, parlando d’un fanciullo, cose apunto fanciullesche: s’essercita a tirar di balestra, e Io fa cosí bene, che piglia per mira le mosche sopra li muri, e l’uccide. Il giorno che giocò di picca, di sua bocca disse che poco prima ne aveva ucciso quattordeci e che aveva colpito un rondine in aria: prova, anco in persona di esperto maestro di balestra, riputata eccellente. Godeva la signora prencipessa di farmi vedere l’abilitá del figliuolo, né coprir poteva le tenerezze inseparabili dall’affetto di madre. Sovente repplicava che osservassi bene se il signor duca era in quello languido stato di salute, che si publicava con fini non buoni e con torbidi oggetti.

Il Consiglio di Sua Altezza è formato di molte persone, ma in poche si restringe la confidenza delle cose principali. Quattro sogliono essere li secretari di Stato: ora è vacante un luoco. Il conte Leonardo Arivabene è il primo: non è ben contento, perché con altri si comunica tutto, egli non è sempre chiamato; onde si duole, stimando che sia fatto torto alla persona ed alla carica. Allo stesso segno è il conte Alessandro Striggio. Il terzo secretano è il conte Ludovico Chieppio, che fresco riconosce il favore d’esser stato assunto a tal carica, essendo l’ultimo eletto, e non ha ancor fatto fondamento sopra il qual si possa alzare le sue pretensioni; onde si contenta di tutto, né si rende diffidente col mostrarsi discontento.

Oltre li quattro secretari, che al presente, come ho detto, sono tre, dodeci sogliono intervenire nel Consiglio: ora sono undeci, vacando parimenti un luoco. Di tutti tocherò qualche cosa brevemente. [p. 204 modifica]

Uno è monsignor vescovo di Mantova. Con questo la signora prencipessa confida quello che li piace: egli non vuole disgustarla; si riporta, naviga col tempo e mostra di contentarsi della parte che gli viene fatta, sia quale si voglia.

Monsignor vescovo di Casale, che al presente è ambasciatore in Francia. Dalla qualitá della carica che essercita si può argomentare in quale stato di confidenza si ritrova. Francesi lo reputano intieramente spagnolo, e Vostra Serenitá vede che non dispiace loro che sia in Francia: non perché lo gradiscano, né per esser ministro della signora prencipessa, né per se medesimo; ma perché dubitano che possa render qualche servizio alla signora prencipessa altrove, che ridondi a loro pregiudizio. E però non lo tratengono mal volontieri.

Monsignor Bertazzolo, abbate di Santa Barbara, non è contento: non gli sono communicati gli affari, ed è riputato d’affetto totalmente inclinato a Francia.

Il marchese Sigismondo Gonzaga, che è della casa e noto per l’ambasciaria fatta in Germania, non si può dire che sia in favore: la sua nascita fa che seco si tratta con rispetto, ma non con confidenza. Nell’ambasciaria di Germania non diede e non ebbe sodisfazione; sospettò che col mezo del dottor Porta si trattassero li negozi piú reconditi, e si ebbe disgusto; li conti delle spese dell’ambasciatoria parvero eccedenti: sono ancora indecisi, con qualche reciproca amarezza.

Il marchese Giulio Gonzaga, che è pur della casa, gode in apparenza buon trattamento: la libertá del parlare gli nuoce, e Tesser riputato nimico del marchese Guerriero e d’affetto francese non gli giova.

Il marchese Orlando della Valle basta che sii nominato per esser conosciuto. Vostra Serenitá piú volte contro di sua persona ha udito le querelle de’ francesi. Egli è monferrino, contrario al Guiscardi gran cancelliere, e tanto riputato spagnolo quanto questo francese: sospetto anco in riguardo del cognato, conte Mandeli, milanese. Non dirò però d’avantaggio di questo soggetto molto noto e col quale pare che la signora prencipessa tutto consigli, tutto confidi. [p. 205 modifica]

Il Brondolo, presidente del senato, è quello che fu mandato a Casale per il negozio del Montiglio; e, mentre in cosa di tanto peso se ne vale la signora prencipessa, è da credere che non sii poco il concetto della sua virtú e fede.

Gerolamo Nerli, presidente del magistrato, non entra se non è chiamato.

Il senatore Giovanni Francesco Paraleone s’ha fatto conoscere a Vostra Serenitá qui in Venezia, mentre è venuto ad essequire gli ordeni della padrona. Egli fu uno de’ principali consultori della signora prencipessa in vita del signor duca Carlo. Questo gli ha lastricata la via per condursi all’alto posto di credito nel qual s’attrova, e gli ha fatto acquistar la gran parte che tiene nelli affari di Stato, non ostante l’umiltá della sua nascita. Con pericolo di sua persona servi alla signora prencipessa di consiglier nelle proteste fatte al duca Carlo, delle quali Vostra Serenitá ebbe allora intiera notizia. Questa prova ha fatto credere alla medesima prencipessa di poter tutto depositare alla sua fede.

Il conte Federico Gazino piú per onore che per altro godeiuoco nel Consiglio. Egli è il capitano de’ svizzeri di guardia, ma questi al presente, come Vostra Serenitá sa, sono tratti dalle compagnie de’ soldati della serenissima republica, onde le proprie persone della prencipessa e del duca si possono dire fidate ed assicurate da guardie di Vostra Serenitá.

L’auditor di Camera Federico Bosio, il conte Aurelio Soardo Agnello, fratello del vescovo, e Francesco Guerini, dottor di magistrato, mai s’intricano nelle cose politiche, e questo assiste alli processi delle milizie della Serenitá Vostra. Li sopranominati sono detti «del Consiglio».

Il marchese Guerriero, tutto che senza tal titolo, gode dell’effetto, perché molto communica e consiglia seco la signora prencipessa. È cavaliere di valore, che ha ben servito li duchi di Mantova: ora è riputato da’ francesi d’affetto spagnolo. Ed il signor Della Tur apertamente ha fatto contro di lui il poter suo, recandosi ad offesa il vederlo al governo di Porto; onde ebbe a dire, sin dal principio che vi fu posto, che o il Guerriero non sarebbe stato in Porto o lui non sarebbe stato in Mantova, [p. 206 modifica]a segno che qualche privata picca e displicenza si è meschiata fra mezzo gli affari publici.

Del senato, de’ magistrati, de’ governi, podestarie, commissariati e vicariati lascerò di dire, perché riguardano piú tosto a quello tocca agli atti di giustizia che alla soma del governo di Stato.

Mantova, spettacolo in Italia della fierezza tedesca, ad alto segno rissente le passate percosse: va nondimeno giornalmente piú tosto avanzando e rimettendosi l’arti, in particolare quella della guchieria. Sará ridotta al presente a 12.000 anime: prima passava 30.000. Il pressidio che vi tiene Vostra Serenitá, oltre la reputazione, sicurezza ed altri vantaggi che porta, col denaro esplicito che mensualmene spende, fa grande effetto per l’accrescimento di Mantova. È conosciuto questo utile e predicato: non fa però che da tutti sia il medesimo pressidio mirato con buon occhio.

È posta Mantova, come è noto a Vostra Serenitá, nel mezo del lago: dal recinto delle mura poco o nulla è assicurata, essendo deboli, non terrapienate, non fiancheggiate, basse in qualche luoco, tanto che con facilitá possono essere scaliate; esposte però alle sorprese. Consiste per questo la sicurezza e diffesa nella buona guardia de’ laghi e nelle fortificazioni di fuori, come l’essempio ha dimostrato. Erano queste ridotte a buon segno, ma, per esser fabricate di terreno poco buono, vanno diroccando; onde, se non s’applica il pensiero al risarcimento, si renderanno in breve tempo infruttuose e riuscirá molto dispendioso il ridurle in stato da poterle diffendere. Le porte della cittá patiscono molti diffetti, cosí nelli restelli come nelle muraglie e ponti. Nello stato presente trovansi in qualche miglior condizione; non cosí bene però assicurate, come potriano essere, se la spesa necessaria vi fosse applicata: rimangono per se stesse tutte imperfette, non avendo diffese proporzionate. Quella della Pradella, e per la meza luna, che la signora prencipessa fa incamisare di fuori, e per li fianchi, resta in assai buona diffesa. In quest’ultimi giorni apunto quella di Cerese, che era delle piú frequentate, situata alla parte del Modenese e Parmeggiano, cadde affatto, il corrente dell’acque del Lago di sopra avendole levati li fondamenti. [p. 207 modifica]

Per la guardia del lago, tanto necessaria, non vi è piú che una barca, della quale, essendo stata fatta rissarcire dal duca Carlo, si potrebbe facilmente servire: l’altre sono inutili affatto e, si crede, inabili al potere esser racconciate. Quella pure, restando senza esser adoperata, si ridurrá presto imperfetta come l’altre. La mancanza dell’acqua del lago, oltre la cattiva aria, rende sempre piú malsicura la piazza. Non si vede piú proprio rimedio del sostegno di Governolo, nel quale, se bene continuamente si travaglia, procedendosi con lentezza, se ne vede poco profitto; onde necessario riesce il rissarcimento di quel sostegno che in occasione di guerra (che Dio tenga lontana!) deve diffondersi con ogni studio per conservazione dell’acque del lago.

L’artigliaria, che era la maggior parte scavalcata, ora è ridotta in assai buon stato per servirsene, avendo fatto riffar li letti e ruote il duca Carlo defunto. Delle monizioni non si può sapere il netto, essendo in mano della signora prencipessa. Si suppone che vi possa essere: piombo, pesi n. 3640; polvere, 3414, corda, 2900 in circa. Di monizioni di viveri non vi è alcun deposito, oltre la quantitá che ordinariamente si conduce per sostentamento annuale degli abitanti.

È giudicato che 4000 fanti effettivi e 500 cavalli bastar potessero per diffesa; da accrescersi però secondo la qualitá delle forze di chi venisse all’attacco.

Lo Stato di Mantova fará al presente intorno 500 cavalli, armati in modo che non si può dire che siano né corazze né leggieri. Generale, come si è detto, è il marchese Giovanni Francesco Gonzaga, riputato del partito francese. Fará inoltre 5000 fanti, ma 3000 buoni. Il signore Della Tur, come generale, ha il commando cosí sopra la cavalleria come anco sopra la fanteria. Ha Vostra Serenitá al presente in Mantova, come gli è noto, 1500 fanti in circa e due compagnie de’ capelletti a cavallo, e sono malamente alloggiati: li quartieri assignati sono case di particolari rotte e rovinate, e sempre vanno peggiorando. Gli ordini di Sua Altezza restano inessequiti; onde, se non fosse la grande applicazione dell’eccellentissimo signor proveditor in terraferma, che tutto invigila, a tutto provede con isquisita prudenza, patirebbero molto. [p. 208 modifica]

Assiste al governo il signor conte Leonardo Martinengo. Supplisce questo cavaliere con perfetta maniera a tutti li numeri, adempisce cosí bene la sua carica e le fonzioni politiche, che, mentre ogni giorno se ne veggono vive prove e sono udite da questo eccellentissimo senato, potrei dispensarmi dal rifferirle; ma non deve di questo testimonio, se ben debole, restar deffraudato il suo gran merito. Io ho goduto gli effetti di sua virtú ed affetto in pieno modo, con molto publico servizio e con particolar mia grande obligazione. Merita che sia fatto quel conto di sua persona, che alla nascita, al valore, alla prudenza sua si conviene.

Mi resta a dire di Porto. Se questa fortezza cadesse in mano d’altri, grande ed evidente sarebbe il pericolo di Mantova, ed in tal caso bisognerebbe con tagliate separarlo, fortificandosi a fronte del medesimo oltre li Molini: il che come si potrebbe fare con non molta difficoltá, cosí l’assicurar li Molini dall’artigliarie di Porto non sarebbe forse possibile d’ottenere. Verso la cittá, dalla parte del Lago maggiore, non è fortificato, ed il maschio, che era sopra la porta, fu gettato in aria dalla polvere che si accese nella presa della cittá; di modo che non è punto meno in pericolo Porto d’esser guadagnato da chi fosse padrone di Mantova, che Mantova da chi fosse padrone di Porto. E se n’è veduto l’essempio, quando, infelicemente sorpresa Mantova da imperiali, il duca Carlo non si assicurò di fermarsi per ore a pena in Porto. È guardato da cento fanti sotto un capitano ed un sergente maggiore, ed il marchese Guerriero è il governatore. Vi sono in Porto quattordeci pezzi d’artigliaria di diverse sorti, ma non vi sono palle alla misura delle medesime, poiché si trovano nelle monizioni della cittá. Io sono entrato in Mantova per la via di Porto con grosso séguito, e non ho veduto che vi fosse alcun rinforzo straordinario. Sono stato in Porto a revisitar il Guerriero, e pure non si è osservata alterazione alcuna. Onde si può dire che in queste due occasioni la Serenitá Vostra fosse ella padrona di Porto.

Dell’entrate e spese fu stabilito un conto poco doppo la morte del duca Carlo, del quale il bilancio è il seguente: [p. 209 modifica]

ENTRATE

SPESE

Impresa generale di tutto lo Stato, tolta ad affitto dal signor Zavarelli per scudi di moneta mantovana, che sono mezzi ducatoni 6.000 Per le spese di corte 15.700
Communi 6.000 Per la stalla 20.000
Salaro e transito de’ sali 19.500 Salariati di corte 24.000
Seda e transito di seda 20.000 Pensioni a diversi 4.000
Nòve imposte diverse 24.000 Alla guardia di cavalli leggeri 3.500
Molini pei le bozole, sacchi formento 1.500 Barigello della cittá e Stato 2.200
Lago, pessi, pesi 4.000 Legna 3.300
Per la carta ed altre spese 2.000
Al senato, capitan di giustizia, presidente di magistrato 3.000
Stipendiati delle guardie e salariati diversi 32.100
A Baccio da Verazzano per suoi crediti se li paga annualmente, che fra due anni in circa saran forniti e se l’imborsa nell’appalto del sale tenuto da lui 1.200
Al marchese Luigi Gonzaga, come sopra 3.000
Al conte da Nuvolara 4.800
A monsú Corretto, delli quali lui dará conto a Sua Altezza 8.000
Faceva dare il sig. duca Carlo alla signora prencipessa 6.000
Scudi di Mantova 87.000 132.800


Si riscuotono altri scudi 60.000 in circa, che vanno nella cassa del publico e si spendono annualmente in pagar li soldati ordinari di Porto, fabriche dentro e fuori della cittá, sostegni ed altre spese che occorono a beneficio dello Stato.

Si suole cavare dal Monferrato dopie 18.000, delle quali 13.000 vanno in spese ordinare per quel Stato e le altre 5000 avanzano. La signora prencipessa nondimeno suol dire che a capo l’anno trova che si spendono in circa 6000 scudi mantovani di piú della rendita e che dal Monferrato non si cava [p. 210 modifica]da poco in qua cosa alcuna, doppo massime che il Guahianetto, presidente del magistrato, è stato espulso e sono arrivati li disgusti con francesi al segno che oggidí sono.

Dell’entrate de’ Stati di Francia non parlo, perché, e per le obligazioni ed impegni fatti dal duca Carlo e per le pretensioni delle prencipesse cognate di Sua Altezza, non ne sente ella alcun beneficio. Egli è nondimeno vero che alla morte dei duca Cario si sono ritrovati de’denari, ed in somma considerabile; ma la signora prencipessa ha usato ogni studio perché la vera somma non si sappia.

In Mantova fui visitato da molti, e devo rifferire quello che da alcuni de’ principali m’è stato detto.

Venne monsignor vescovo, mostrò grande divozione ed ossequio verso la Serenitá Vostra, estendendosi in questo con parole vive ed efficaci. Attestò poi esser inclinata e assoluta la signora prencipessa a dipendere totalmente dalla serenissima republica, e che, per quella parte che egli aveva di consigliere, disse che non mancava di contribuire perché da queste massime non si dipartisse, giudicando che siano le buone e piú conferenti al servizio suo proprio e de’ suoi figliuoli. Fece qualche tocco della mortificazione che riceve la signora prencipessa nel vedere essere a lei tanto contrari li ministri di Francia, dando segno di credere che giovar non possa agli affari il trattar con asprezza e recidere la confidenza. Io spesi seco quelli concetti che valer potevano a confirmarlo in quella buona disposizione che mostrava e lo lodai di prudenza e virtú.

Monsignor Della Tullerie, ambasciator del re cristianissimo, venne a vedermi, e seco era il signor Della Tur; ma questo senza aver precedentemente appuntata la visita e senza averla, doppo, fatta separatamente ricercare. Non fu parlato di negozio; ma, quando restituii la visita all’ambasciator Tullerie, col quale trovai pure il signor Della Tur, allora, fatti li complimenti che vanno in forma, cominciò questo a dire della signora prencipessa che era di genio totalmente spagnolo; si diffuse studiando di provarlo col racconto di varie cose successe; esagerò con veemenza sopra la persona del marchese Guerriero; disse esser [p. 211 modifica]esposto il pressidio di Vostra Serenitá ad esser tagliato improvvisamente a pezzi, se questo cavaliere continuava ad essercitare il governo di Porto, poiché, presa quella fortezza, era presa Mantova; s’affaticò in dimostrare esser necessario qualche pronto rimedio; disse che bisognava che la serenissima republica vi pensi; che non si può senza evidente rischio lasciare correre le cose di questo modo, perché la signora prencipessa un giorno fará il colpo, non essendo il numero delle genti di Vostra Serenitá sufficiente a reprimerlo; e parlò con tanta passione contro la signora prencipessa e contro il marchese Guerriero, che, riputata eccedente dal medesimo signor Della Tullerie, lo corresse, aggiongendo nondimeno che si era stati ad un pontino e che, se li dissegni di Casale riuscivano, non vi sarebbe stato rimedio. Diedero titolo alla prencipessa di molto accorta e dissero che burla tutti; che non bisogna prestarle credenza alcuna, perché ha delle macchine in testa; e che insomma è portata intieramente al partito spagnolo e tiene prattiche secrete, fomentata anco da’ suoi consiglieri; contro de’ quali, e in particolar del marchese Della Valle, s’espressero pure in viva maniera, dicendo La Tullerie che egli perseguita quel buon vecchio ottuagenario Guiscardi, gran cancelliere, solo perché si dimostra d’affetto francese, conoscendo con la sua antica prudenza cosí ricercare il servizio del signor duca. Io risposi che la republica a tutto sta attenta; che opera quello che può conferire alla conservazione di Mantova, agl’interessi del signor duca, sempre con ottimo fine e rettissima intenzione; che in Mantova s’era rinforzato il pressidio della miglior gente, ridotto buon nervo di soldatesca nel Veronese e ben disposte tutte ie cose; onde non si poteva negare che, per la parte sua, non operasse la serenissima republica tutto quello poteva. Lasciai cadere qualche tocco che dalla dolcezza e soavitá del trattare si poteva sperar qualche frutto, dovendo la signora prencipessa, col riflettere nelle proprie considerazioni, appigliarsi a quello che era piú conferente al servizio suo proprio e della sua posteritá. Il signor Della Tur repplicò delli medesimi concetti prima espressi, placitando la signora prencipessa [p. 212 modifica]ed il marchese Guerriero, contro il quale chiaro si conosce che conserva pessimo animo.

Il marchese Della Valle non entrò meco in negozio: s’estese nell’espressioni d’ossequio e riverenza verso la serenissima republica, disse qualche cosa de’ buoni sensi della signora prencipessa; ma non s’internò punto negli affari correnti.

Il marchese Guerriero nel discorso meschiò qualche racconto delle mortificazioni e disgusti che riceve la signora prencipessa da’ francesi. Disse esser rissoluta di dipendere dalla serenissima republica; che quelli della casa di Mantova avevan piú volte avuto l’onore di portar l’armi in servizio della Serenitá Vostra e si avevan fatto conoscere suoi buoni servitori; che comprendeva la medesima signora prencipessa evidentemente consistere nel patrocinio della serenissima republica la sua sicurezza; non esser però da credere che ella sia mai per far cosa che valer potesse a raffredare o scemar la protezione che gode, troppo rilevanti pregiudizi ed irreparabili conseguitandone necessariamente. Nel suo particolare mostrò di professare grandissima obligazione alla Serenitá Vostra; espresse di conservar viva la memoria, con grande sentimento di debito, della disposizione dimostrata di condurlo al servizio della serenissima republica, per la quale si sarebbe riputato a somma gloria di portar l’armi e spender la vita, e che li doleva che la necessitá d’adoperarsi in servizio del padrone non gli avesse lasciato campo di godere dell’onore e della buona fortuna di servire la serenissima republica. Disse poi che alla Maestá cristianissima egli aveva sempre contribuito ogni ossequio e riverenza maggiore; che tuttavia da’ suoi ministri poteva dire d’esser stato quasi d’ordinario perseguitato e che insino in tempo del fu duca Carlo, di gloriosa memoria, di mal occhio era da loro veduto; che egli, essaminata la sua coscienza, non sapeva d’aver dato alcuna giusta causa di questo; che tuttavia le cose erano ridotte a segno che gli avevano al presente fabricata una barca grande, volendo inferire il negozio del Montiglio e di Casale. Protestò d’esser pronto a giustificarsene col mondo tutto, ma che nelle mani de’ francesi non voleva [p. 213 modifica]ponersi, vedendo l’aperta e dechiarita professione loro di fargli del male. Aggiunse che lo imputavano d’aver mandate lettere di credenza per il sargente Ferro, con oggetto di concertare di dare Casale in mano de’ spagnoli: pigliò la risposta, che disse essere autentica di pugno del Montiglio, e me la mostrò (di questa mandai a Vostra Serenitá da Mantova la copia datami allora dalla signora prencipessa), dolendosi che non la volevano francesi poner in processo, perché dal contenuto di quella si comprende essere il negozio di prestanza di denari e non di dare Casale a’ spagnoli. Si diffuse sopra di ciò, per farmi credere essere questa pura e mera impostura per pregiudicare alla signora prencipessa e rovinar la sua persona, ed essibi di ponersi nelle mani di chi sia, fuor che de’ francesi, per giustificarsene. Le mie risposte furono generali d’affetto, di stima, di consolazione, meschiate di lode del suo valore e di ringraziamento della confidenza, con oggetto di confirmare ed ingrandire la buona disposizione da lui dimostrata.

Venne il senator Paraleoni: mi portò copia del processo, che rendo a Vostra Serenitá insieme con le due lettere, una scritta alla signora prencipessa, l’altra al medesimo Paraleoni da’ deputati ad assister al detto processo in Casale, che la signora prencipessa aveva fatte legger nell’udienza privata, de’ quali diedi allora notizia a Vostra Serenitá. Accompagnò il processo e le lettere il Paraleoni con viva espressione dell’intiera confidenza che vuol usare la signora prencipessa con la serenissima republica, godendo che da lei sia tutto veduto, tutto essaminato, perché chiara vedrá dal medesimo processo scoprirsi la calunnia. Disse che il tempo non aveva servito di fare tutte le annotazioni nel margine al medesimo processo, ma che al ressidente qui in Venezia si sarebbe mandato quello di piú fosse occorso, perché lo partecipasse. Da questo entrò a parlare di se medesimo, professando sommo ossequio e riverenza, e molto dicendo di tenersi obligato alla Serenitá Vostra per gli onori ricevuti qui ogni volta che dalla signora prencipessa vi è stato ispedito. E soggionse che, se bene dall’eccellentissimo Consiglio de’ dieci fu fatto diligentemente osservare, in particolare per [p. 214 modifica]venir in chiaro se andava a partecipare subito all’ambasciatore di Spagna le risposte dell’eccellentissimo senato e consigliar seco, come era detto da alcuni che tenesse ordine di fare, avrá piú tosto questa diligenza servito per far conoscere l’insussistenza del concetto, poiché s’avrá veduto che l’essecuzione de’ suoi ordini ad altri non è stata conferita, né le commissioni della sua padrona con altri consigliate. Ripigliò poi da novo ad assicurarmi di sua vera divozione ed ossequio verso la serenissima republica.

Io, dicendo li ringraziamenti propri per la confidenza della signora prencipessa, confirmando il buon animo che egli dimostrava con adequate parole al caso e alla persona, aggionsi che l’eccellentissimo Consiglio di dieci è Consiglio di giustizia criminale, che non si meschia negli affari e deliberazioni di Stato: da che poteva ben conoscere falsa esser la relazione fattali che osservata fosse la sua persona, con la quale era intieramente corrisposta quella confidenza che veniva d’ordine della signora prencipessa ad usare con la serenissima republica. Né lasciai d’assicurarlo che gode l’affetto e la stima della Serenitá Vostra, come quella che.ha avuto occasione di vederlo piú volte mandato dalla signora prencipessa, onde ha potuto conoscere infatti la sua prudenza e virtú. Entrò poi egli a dire che la signora prencipessa riceveva grandissimo sollievo ne’ suoi travagli ed era sommamente consolata per l’onore fattole da Vostra Serenitá di questa ambasciaria, e che nelle presenti congionture in particolare gli era riuscita sopra modo cara per confidar tutto. Che tante sono le cose che ha da partecipare per effetto di quella intiera confidenza, che è rissoluta d’usare con la serenissima republica, che, se bene l’udienza privata è stata longhissima ed a me forse troppo noiosa e che molto in essa m’aveva detto, non aveva tuttavia potuto conferir ogni cosa. Che caro gli sarebbe che io prendessi l’incommodo d’andare ad un’altra privata udienza secretamente, ma che non ardiva darmi questo fastidio e che dubitava che, non potendosi farlo in modo che non si sappia e senza osservazione, averebbe dato argomento a discorsi: tanto piú che erano principiati a segno, che era detto aver la signora prencipessa trattato [p. 215 modifica]cose meco lontanissime dal vero e dalla sua intenzione. Che però, se mi paresse a proposito, potrei mandare il secretano, per li corridori secreti, dalla signora prencipessa, in ora che nessuno sia in corte, che li dirá quanto occorre. Io, mostrandomi pronto all’andare o al mandar il secretano, secondo il gusto di Sua Altezza, m’espressi non dover aver alcun riguardo né provar mai alcun incommodo nel servirla: esser da Vostra Serenitá mandato a quest’oggetto e, mentre mi riesca di farlo con sua sodisfazione, non aver che desiderare d’avantaggio. Egli replicò che vedeva affatto impossibile che senza grande osservazione io potessi capitare dalla signora prencipessa, e che però sarebbe forse meglio che mandassi il secretano, essendo ella da tutte le parti circondata e guardata in modo da’ francesi, che di continuo la fanno osservare, che si può dire non sia padrona mai di se medesima.

Molti altri cavalieri e signori m’hanno visitato nel tempo di mia dimora in Mantova, fra i quali il prencipe di Coreggio; ma, per non aver loro parte ne’ maneggi e per non m’aver detto cosa alcuna di consequenza, mi dispensarò dal rifferire semplici complimenti a Vostra Serenitá.

Non devo tuttavia tacere un’osservazione fatta da me. Ed è che non solo il signor Della Tur non è venuto formalmente a visitarmi, poiché, accompagnando l’ambasciatore, entrò seco nella stanza, come ho detto, nulla sapendo io di sua venuta; ma nessuno delli dipendenti piú dichiariti di Francia è venuto a vedermi, e sono questi li marchesi Giulio e Francesco Gonzaga, questo generale della cavalleria dello Stato, il marchese di Poma, l’abbate di banta Barbara Bertazzolo, ed altri, bolo il marchese Cavriano, che fu aio del duca, venne, ma nel punto medesimo che uscivo dalla stanza per andar a ricevere il signor duca, che veniva a mia visitazione. Ebbi discorso sopra di ciò col signor conte Lunardo Martinengo, il quale formò concetto clic questo non potesse esser seguito senza precedente concerto fra di loro; e, speculandone le cause probabili, ci parve che dubitar potessero che da’ loro discorsi separati mi riuscisse di scoprire qualche cosa delle loro prattiche e fini. [p. 216 modifica]

Mandò la signora prencipessa a chiamare il secretano subito doppo il pranzo, in tempo che nessuno era in corte. Fu introdotto a Sua Altezza per li corridori. Gli disse qualche cosa della necessitá delle sue risserve nel trattar con chi si sia per esser sempre osservata da’ francesi, che sinistramente interpretavano ogni sua operazione. Poi soggionse che tanto aveva che dire ed era cosí breve il tempo, che però l’aveva mandato a chiamare, perché mi rifferisse aver ella fatto tutto il possibile perché gustato rimanesse sempre il signor Della Tur, ma non esserli punto giovato. Che egli con il signor Della Tullerie ed altri praticavano continuamente in una conversazione di dame, fra quali ve n’è qualcheduna non bene contenta, che ha procurato di sovertire lo spirito loro e far aver a lei con tali mezi de’ disgusti. Che dal principio ha procurato, col far bella ciera a queste dame, divertirle dalli mali proponimenti, e distornare di questo modo li mariti ancora: non aver ottenuto l’intento; onde ha provato se il rimedio contrario giovar potesse, e cominciò a far loro ciera brusca e non ben trattarle quando andavano in corte. Questo pure causò effetto tutto contrario: s’inasprirono di modo, che indussero il signor Della Tur a far de’ mali uffici contro di lei, ne’ quali sempre piú si è andato impegnando per discreditarla e porla in mala fede appresso il re cristianissimo e la serenissima republica. Da che n’è nato che, procedendosi con questa diffidenza, si sono ridotte le cose allo stato che ora sono e si è stampata l’impostura di Casale, con solo oggetto di levar a lei la tutela ed arrogarla alla Maestá cristianissima, come nominata nel testamento del fu duca Carlo, intendendosi in questo molto bene col signor D’Emeri, ambasciator in Savoia, aperto nimico della sua casa, e tenendo mano il cavaliere Guiscardi, lo spirito del quale non ha potuto guadagnar mai, tutto che abbia, sino in vita del duca Carlo, studiato di beneficarlo e presa una figlia sua per dama della prencipessa Leonora. A questo passo disse esserle opposto che non l’abbia voluto presso di sé per consigliarsi, come pare fosse intenzione del duca Carlo, espressa nel suo testamento; e, per giustificarsi, mostrò e diede al secretano, che doppo ne cavò copia, la seguente lettera scritta al Guiscardi: [p. 217 modifica]

Illustrissimo signor, signor collendissimo, apena son tornato da Nivers che mi conviene andar in Normandia in fretta per levar le signore prencipesse Anna e Benedetta dall’imminente pericolo di contaggio e condurle presso la signora prencipessa Maria a Colomier, per fermarsi l’una con lei e l’altra trasferirsi nella sua badia d’Avene: onde, oltre gli affari publici, i domestici ancora della serenissima casa mi danno poco respiro. Ma quel ch’io temo è la divisione domestica per li beni di qua circa il testamento; e non mancheranno intrichi, se Iddio ed il re non ci mettono la mano. E io con ogni mio spirito procurerò di conservare l’unione di qua e di lá, dove so che Vostra Signoria illustrissima per la parte sua fará ogni sforzo. Ma non è giá consigliata da questi signori a transferirvisi, essendo stimata costi troppo necessaria la sua persona, e per altri rispetti ancora; onde potrá scusarsene sopra la sua grave etá e la staggione cattiva. Dal signor Costantini, che sará riespedito al mio ritorno di Normandia, Vostra Signoria illustrissima intenderá tutte le nòve ed affari di qua. Intanto le mutazioni di Mantova dispiacciono grandemente, e le negoziazioni secrete con Modena ed altri col mezo del signor secretario Parma; onde, se non vi si rimedia e non si camina in altra maniera, qua si disgusteranno affatto, con pregiudizio del padrone serenissimo e de’ suoi popoli, per servizio dei quali Vostra Signoria illustrissima è essortata a faticare vigorosamente col solito suo zelo ed affetto e dar quelli consigli che Ella come contutore è obligata. E da questa parte sará gagliardamente appoggiata, avendone fatto un buon dispaccio, e con gusto hanno inteso la missione del nostro signor Prata a Mantova, dove piaccia a Dio che operi secondo l’intento. Ma, quanto a Vostra Signoria illustrissima, è pregata da questi signori a non moversi dalla patria, per molte considerazioni, massime della sua salute tanto necessaria costi. La morte di Savoia ed i novi turbini, che colá si preparano da quelli, e spagnoli dánno qua gran pensieri: però sono risolutissimi ad ogni protezione ed assistenza verso la sorella, e si rinforzerá cotesta armata con ordini a Criqui per nostro solievo.

Presentai a Sua Maestá la lettera di Vostra Signoria illustrissima e di codesti signori del Consiglio, la quale fu gratissima, e col ritorno del Costantini si procurerá la risposta, come anco quella del signor cardinale, che molto confida, ed il buon padre ancora, nella persona e prudenza di lei: sopra il tutto che il povero prencipe pupillo sia conservato ed allontanati i mali consiglieri. [p. 218 modifica]

Ricevo, in questo punto ch’io parto, le lettere di Vostra Signoria illustrissima de’ 12 e 17 corrente, e mi valerò dell’aviso. I libri saranno incassati e inviati la prossima settimana: importano da 200 scudi intorno, come vedrá dalla lista, e potrá col mezo del Repolio farmeli rimborsare.

Il signor Mollo è gionto felicemente in Olanda, e mi raccomanda la qui inclusa.

Il signor conte Carlo è ora nel collegio di Navara, dove gli ho dato un servitore, non potendosi far di meno. Ma non mi par molto inclinato alli studi; onde penso che converrá metterlo presto nell’accademia per altri essercizi.

Il mio viaggio è rotto. Spagnoli hanno lasciato finalmente San Giovanni de Luz, Damniller è reso, Vitri priggione, svedesi fan bene, e non si dispera di pace.

Ho servito il signor conte ne’ particolari che ha desiderato. La supplico ad assicuramelo e scusarmi se per la fretta non scrivo ad altri, mentre per fine le faccio riverenza.

Di Parigi, ultimo ottobre 1637.
Di V. S. illustrissima

obligatissimo e perpetuo servitore
Priandi.



Volse con questa lettera far apparir non aver approbato francesi che andasse a Mantova; disse che Dio volesse che vi fosse, perché non potrebbe far il male che fa a Casale; e confidò come quella lettera gli era capitata in mano, che fu, per quello disse, nella seguente maniera. Un piego grosso arrivò di Francia a lei diretto. L’apri, con stupore d’aver tante lettere; ma poche ne trovò per lei: molte per il signor Della Tur in un pachetto. A lui lo rese di sua mano; ed egli, apertolo in presenza di Sua Altezza, ritrovò lettere per il Guiscardi, che ella si essibi con pronta occasione di recapitare. Monsignor Della Tur gli le diede, ed ella le apri, e sono, per quanto disse, quelle che al presente sono state lette, delle quali affermò aver giá qualche cosa partecipato al signor [p. 219 modifica]conte Martinengo. Soggiúnse poi che, non contenti d’averle tolto il dominio di Casale e Monferrato, cacciando il Guabianetto, presidente del magistrato e che aveva cura delle rendite, onde piú non cavava cosa alcuna, aveano fatte prattiche in Mantova di gran consequenza e rilevanza, che il signor Della Tur avea cominciato con un capitano francese, essortandolo ad arricordarsi di essere buon suddito del re e, in ogni caso, tener buono per Sua Maestá. Questo rispose che era al soldo della serenissima republica, che non doveva o poteva far cosa contro la sua riputazione; ma che, trattandosi del servizio del re, si sarebbe levato da quello della serenissima republica, per spender la vita poi in quello di Sua Maestá. Che fu poco doppo, con occasione di permuta, levato quel capitano, onde rimase quel negoziato senza effetto; e che prattiche simili non solo l’ha continuate il signor Della Tur, ma il signor Della Tullerie ancora, con li principali soggetti di Mantova, coltivandole a segno che è venuta una flotta di lettere del re a diversi. Cosi apunto disse, e ne levò una di manica, che mostrò al secretano, autentica francese e anco tradotta in italiano: fu letta da lui medesimo. Il contenuto era in sostanza: aviso d’aver inteso dal signor Della Tullerie la buona disposizione verso gl’interessi del re, essortazione a continuar nel proposito, dimostrazione di grado, rimettendosi nel resto a quel di piú dicesse il signor Della Tullerie. La lettera del re mostrata dalla signora prencipessa era diretta al marchese Giulio Gonzaga, era scritta al principio di giugno e frescamente capitata. Disse averla avuta in confidenza, e che sapeva esserne state recapitate di simili molte: in particolare nominò il marchese di Pomá, l’abbate di Santa Barbara. E soggionse che a’ suoi propri piú stretti ministri credeva ne fossero pur state scritte; che ancora non n’era ceri a, e che sperava venirne in chiaro. Essagerò sopra questo negozio grandemente, disse molte altre cose e fece diverse instanze e considerazioni, che, avendole a me medesimo repplicate, saranno ridette a Vostra Serenitá particolarmente.

Andato io dalla signora prencipessa a licenziarmi, mi disse che dovevo aver inteso quello che ha confidato al secretano, [p. 220 modifica]e da questo e dalle cose precedentemente partecipatemi chiaro comprendere in quale stato e condizione si trovava. Cominciò a considerare essere giá priva d’ogni auttoritá in Casale e Monferrato, spogliata delle rendite, repplicando molte delle cose avisate a Vostra Serenitá da Mantova del modo con il quale si regono li francesi; e disse che, quando il Prata fu a Mantova con partecipazione della Francia, come si vede dalle lettere del Priandi date al secretano, non trattò seco cosa alcuna e non puoté mai penetrare quello che fosse andato a negoziare. Mostrò anco di non esser contenta del Priandi, per quello che di corrispondenza teneva col Guiscardi ed altri, senza a lei darne notizia. Disse che scrivevano anco li suoi ministri al re senza a lei darne parte; che, avendo il pressidente Guabianetto detto di sottoscrivere per ubidire, ma protestato doversi darne aviso a lei, quest’era stata una delle cause per le quali l’hanno cacciato, e perché avisava le cose che occorevano, non secondava li pensieri del Guiscardi ed era d’impedimento al disponer delle rendite a gusto suo. Fece instanza perché da Vostra Serenitá fossero fatti efficaci uffici in Francia a ciò il Guabianetto fosso rimesso, che da se medesimo poi si sarebbe levato; e disse che, se lo suppongono reo o sospetto nel fatto del Montiglio, per esser stato nominato nel processo, si doveva essaminarlo prima che espelerlo. Soggionse poi che, non contenti li ministri di Francia di aver a lei levata ogni auttoritá nel Monferrato, facevano le pratiche in Mantova che aveva detto al secretario: gionte a segno, che con lettere del re medesimo erano confirmati ed inanimiti quelli che andavano agregando al partito. Essere queste cose troppo rilevanti e nelle quali di tutto si trattava. Il rimedio essere necessario, e che non crede mai che si possa consigliarla a lasciarsi spogliare della tutella del figliuolo, a lei debita e per natura e per il testamento dell’avo. Con questa violenza, che ben conosceva, non essere ragionevole e troppo pericoloso che il commando dell’armi resti in mano di chi machina affari di tanto peso e di tanto gravi consequenze, che, se non fosse stato il rispetto che porta alla serenissima republica, non gli lo lasciarebbe un’ora; ma che non ha voluto far alcuna novitá se prima [p. 221 modifica]la serenissima republica non è informata, a ciò non pigli qualche gelosia dell’operazioni sue. Ora, essendo necessario il rimedio, desidera che si trovi ripiego a ciò sii levato il signor Della Tur di Mantova, potendo supplire dentro la cittá il signor conte Martinengo; e, per quello tocca alla gente dello Stato, nominerá persona d’intiera confidenza della serenissima republica col suo consiglio e partecipazione, senza la quale protesta non voler far mai cosa alcuna. Qui entrò a considerare esser l’interesse commune, poiché non compliva alla serenissima republica che la direzione totale de’ Stati del signor duca cadesse nelle mani de’ francesi; soggiongendo che ella si regolava e si sarebbe regolata col consiglio savio e prudente della Serenitá Vostra. Che li francesi vorrano dare la regola loro a gusto proprio; e ripigliò a dire che bisogna che la serenissima republica consideri e pesi questo punto: se è di suo servizio che francesi dispongano a voler loro di tutto, ed in quale necessitá sarebbe posta, se dalla serenissima republica coll’uso della sua prudenza non sará dato pronto rimedio. Giá non potersi piú ascondere il fine de’ ministri francesi; giá l’operazioni fatte nel Monferrato a sufficienza palesarle e le prattiche in Mantova ponerle in chiaro essere ella obligata, per proprio interesse non solo, ma per ogni ragione, a far tutto per ripararsi da questi colpi. Supplicare però la serenissima republica ad applicarvi il pensiero, a contribuire gli uffici suoi in buona forma e a riparare in tempo a quegli accidenti, che dalla necessitá possono essere prodotti, gravissimi ed irreparabili. Che non sará difficile anco con sodisfazione della Maestá cristianissima il levar di Mantova il signor Della Tur, disponendosi con propri uffizi gli animi ed insinuando con la somma sua prudenza quello che reputerá conferente; e che pregava la Serenitá Vostra ad intraprendere il negozio. Che ella conviene vivere in continui sospetti ed in continue gelosie, sempre temendo di qualche violento tentativo per levarle la tutella di suo figliuolo ed il commando anco in Mantova, come è seguito nel Monferrato, a segno che piú volte aveva motivato al signor conte Lunardo Martinengo che ella confidava in ogni accidente d’esser diffesa dall’armi di Vostra Serenitá. E che [p. 222 modifica]erano stati fatti congressi cosí frequenti e lunghi, che alle volte aveva convenuto vegliar le notti intiere, temendo di qualche improviso attentato; onde era obligata a far osservare e vivere in grandissimo timore e sospetto. Che nella serenissima republica è posta tutta la sua speranza, tutta la sua sicurezza: che, se potesse temere d’essere da lei abbondonata, sarebbe disperatissima. Segui poi a dire che ella non crede succedere queste cose di ordine del re, e che suppone non essere sua intenzione che sia privata della tutella del figliuolo: che però piú facilmente Vostra Serenitá potrá rimediare. Che ella crede che basti al re valersi de’ suoi Stati nelle proprie occorrenze, ma che non vogli levargliene il possesso: tuttavia che, mentre li ministri suoi caminano con questi passi, è necessario che Sua Maestá si determini se vuol levar a lei la tutella o no. Se vuol farlo, contro ogni convenienza, contro il testamento del duca Carlo, esser dovere che siano udite prima le sue ragioni; se non vuol farlo, esser necessario che prescriva limiti a’ suoi ministri e non permetta che con l’operazioni loro si conduchino a questo fine. La serenissima republica sola poter riparar gl’inconvenienti e dar buona forma alle cose; e supplicarla a farlo quanto prima. Da questo passò a querelarsi del signor D’Emeri, dal quale disse aver ricevuto lettere scritte in modo che pare che commandi: che se ne doleva in Francia e non voleva risponderli. Si diffuse contro questo nelle doglianze longamente, ed entrò nel fatto del Montiglio e di Casale. Repplicò molte cose dette; si dolse gravemente che non vogliano li ministri francesi perfezionare il processo; disse che non era ragione lasciar di tal modo indefinito negozio di tal natura; che, doppo che il signor Emeri è stato in priggione tre o quattro volte solo con il Montiglio, che l’ha indotto ed astretto a far tre scritture a modo e gusto suo, dicono: — Che dirá adesso la prencipessa? — E soggionse: — Io dico che si formi il processo canonicamente, si finisca la causa: supplico la serenissima republica a mandar persona che assista al processo, a ciò sia fatto con li modi debiti e si dilucidi il negozio, perché son certa che si scoprirá la calunnia. Sono state inventate queste imposture per dire: «la [p. 223 modifica]prencipessa ha fatto», «la prencipessa ha detto», e cavar pretesto di qua di far quello che vanno ogni giorno facendo nel modo che tutto il mondo vede e conosce. — Repplicò l’instanze perché da Vostra Serenitá fosse procurato che il Montiglio fosse condotto in Mantova, ivi guardato dalle sue genti e perché con l’assistenza di ministri di lei sia continuato il processo con modi legittimi. E disse esser questo necessario per tirare la causa avanti; poiché, dovendosi confrontar il Montiglio con il Guerriero, né volendo questo per le giuste cause dette, che sono note, ponersi in mano de’ francesi, non si poteva far questo confronto se non in Mantova, al quale potevano pur esser presenti li ministri di Francia. Che, finito questo negozio, si scuoprirá l’impostura, e dalle molte falsitá divulgate e diseminate tanto piú poter apparire la candidezza dell’animo suo e la puritá delle sue operazioni. Che il tempo chiarisce tutto. Che hanno sparso che fosse maritata nel cardinale infante, di che non è passata minima trattazione, e pure si vede che doppo tanto tempo non è effettuato il matrimonio, come sarebbe seguito se fosse stato concluso. Lo stesso essersi detto del fratello de l’imperatore, col quale pure non ha trattato per imaginazione; e che questa varietá faceva chiaro apparire esser, questi, concetti che non hanno altro fondamento che il talento pessimo di quelli che gl’inventano. Con il duca di Modena disse viver piú tosto qualche amarezza per il fatto de’ priggioni, che ben furono restituiti, essendo, queste, cose che lasciano sempre dietro di sé qualche cosa d’aspro. Tuttaviaesser ella accusata d’intelligenze secrete con quel duca, come si vede nella lettera del Priandi, data al secretario; e pure, doppo tanto tempo del sospetto di tali intelligenze, non essersi veduto alcun effetto, come sarebbe seguito se vi lossero state. Che, se volesse raccontare le invenzioni e tutte le machine che sono state ordite contro di lei, non finirebbe mai. Che tutto si concludeva poi con dire che era spagnola, che aveva la madre in Spagna e che era amata dalla imperatrice Leonora. Che, se la signora infante era in Spagna, loro gliel’avevano fatta andare. Che veramente la riveriva ed amava come madre, ma che sapeva ancora essere ella della casa di Savoia, che aveva voluto [p. 224 modifica]rovinar questa nella quale era nata e maritata; che non aveva ancora risposto alle lettere scrittegli con l’aviso della morte del duca Carlo, avendo avuto a male che con corriero, non con gentiluomo, come pretendeva, le fossero state espedite; e che, se fossero bene informati, non farebbero questa opposizione. Che, se l’imperatrice Leonora l’ama, lo fa perché non si scorda d’essere di questa casa; e, quando che se ne scordasse, si scordarebbe ella d’esserle parente e serva; e che ben si sa quanto ha procurato di giovare alle cose di Mantova. A questo passo non lascerò di dire che un altro interesse oltre l’affetto tiene viva la confidenza dal canto della signora prencipessa verso l’imperatrice Leonora, e questo è perché spera di poter esser beneficata nel suo testamento di molte gioie e molte richezze che possedè.

Seguitò la prencipessa: — Che io poi sia spagnola, lo sa Dio, e se vorrei vedere tanto lontani li spagnoli quanto li francesi, poiché son certa che gli uni non mi farebbero meglio degli altri. Sono nata prencipessa italiana, gli affetti miei sono da prencipessa italiana, amo miei figliuoli come buona madre, altro non ho io in cuore che il loro bene, il loro servizio; e ciò si conoscerá col tempo. — In questa parte molto s’estese, come ho rappresentato anco nelle mie lettere da Mantova aver ella fatto nell’altra udienza. Segui poi a dire che, quando fu Saivedra in Mantova, diede parte di tutto; fece lo stesso quando vi fu l’Atimis: ma nulla esser giovato e non esser creduta. Che il secretario dell’imperatore si trattiene per crediti di Sua Maestá; che ha fatto ufficio che sia levato, per le gelosie che porta, e esserle stato risposto che, mentre stanno li ministri di Francia in Mantova, ben ve ne può stare anco uno dell’imperatrice, che ha tanto interesse per esservi nata. Che ella non può far d’avantaggio se non ramaricarsi di veder tutto interpretato in sinistro e conculcati sempre contro di lei li mali uffici. Che non è pazza di volere, mentre francesi le occupano il Monferrato, dar il Mantovano a’ spagnuoli, perché a lei, a suo figliuolo nulla rimanga. Che ben sa non le sarebbero piú amorevoli questi di quelli, e che aveva memorie tali che non le potevano far desiderar che nelli suoi Stati fosse posto piede da austriaci, da’ quali tutto il mondo sapeva come fu trattata. [p. 225 modifica]E raccontò a questo passo che, essendo ella col bambino duca fugita in Porto, quando fu presa Mantova, non puoté la baila seguirla e restò in mano de’ soldati. Fu posto a caso il bambino sopra un letto, nel quale poche ore avanti mori un apestato, e Dio benedetto lo preservò. La baila, richiesta in grazia a’ tedeschi, fu negata e detto che allora sarebbe concessa, quando Porto si fosse reso, rifiutando tutti li premi che in quel misero stato gli potevano esser dati; onde si nutrí il bambino con pane de’ soldati cotto nell’acqua. Che queste erano cose che troppo restavano impresse nell’animo e non potevan lasciar luoco a quegli affetti ed inclinazioni de’ quali era accusata; onde non sapeva come e con quali fondamenti potessero chiamarla spagnola. Da questo tornò a dire che tutto il suo sostegno, ogni sua speranza, la propria sicurezza e dei figliuoli ben conosceva esser riposta nella benigna protezione della serenissima republica; da lei aspettar il sollievo, il rimedio, la sua quiete; in Vostra Serenitá voler confidar tutto; senza di lei non voler operar cosa alcuna; da lei bramar aviso, consiglio e favore; aver prove tali dell’affetto della serenissima republica; esser certa non aver ella altro interesse che la conservazione de’ Stati a’ suoi figliuoli; che con loro alla serenissima republica si raccomandava; dalla sola sua assistenza poter esser preservata; in questa confidare a segno che, se potesse sognarsi che fosse per mancarle, sarebbe totalmente disperata.

Io risposi alla signora prencipessa che Dio benedetto in tempo di sommo bisogno aveva proveduto il signor duca pupillo di madre e tutrice di tanto spirito, di tanto valore, di tanta prudenza e virtú, che ben si conosceva che particolare era la protezione che aveva dell’Altezza Sua. Che, essercitando ella queste parti donategli a tal oggetto da Sua divina Maestá, non era da temere che tutto non avesse ad essere ottimamente diretto e condotto a buon fine. Che nelle gran procelle si conosce l’esperienza ed il coraggio de’ buoni marinai. Che Dio non solo ha voluto dottarla di parti eccellenti, ma darle anco occasione d’essercitarle, perché tutto il mondo le conosca, le celebri. Insinuai poi quanto conveniva il procurare di rimettere la confidenza con la Francia, il trattare con delicatezza; e nel discorso feci [p. 226 modifica]spiccare qualche ragione viva e concludente dall’interesse proprio di Sua Altezza per gli Stati di Francia, per essere il Monferrato e Casale in mano de’ francesi. La consolai e l’accertai che punto non s’inganava nel credere non aver la serenissima republica altro interesse che la conservazione sua e delli Stati a’ suoi figliuoli; l’accertai che la protezione di lei sará con tanto oggetto di bene; e che gli uffici propri si facevano in Francia e da per tutto, e s’applicava l’animo e l’opera, come s’era fatto sempre, per tener lontano ogni sinistro.

Nelli accoglimenti, nelle cerimonie e nel trattamento vòlse la signora prencipessa, in riguardo del merito della Serenitá Vostra, ch’io fossi sopra il solito avantaggiato non poco, e con tutte le dimostrazioni procurò di far apparire d’esser unitissima alla serenissima republica, non meno di quello che abbia procurato con le parole e concetti di confirmare l’affetto e la credenza di dover dipendere.

Mi diede alcuni memoriali, raccomandando l’espedizione favorevole, perché anco tanto piú apparisca essere ella in grazia della serenissima republica; ed io li rendo a Vostra Serenitá per quello che le paresse, a contemplazione della signora prencipessa, risolvere sopra di essi.

Mi resterebbe a dire dell’intelligenze con prencipi; ma dalle cose espresse chiaro si comprende in quale grado siano, quelle, massime che meritano riflesso: onde non replicherò il tedio a Vostra Serenitá.

Delli gentiluomini veneziani e di terraferma, che m’hanno accompagnato, ho giá scritto nelle mie prime lettere e dato conto del merito loro.

Del secretario Marc’Antonio Padavino tiene Vostra Serenitá, e nelle publiche cariche fuori e nel continuo essercizio nell’eccellentissimo Collegio, tanta cognizione della sua virtú, che non vi sarebbe bisogno di maggiori attestazioni. Gli antichi e recenti meriti della sua casa parlano cosí vivamente, che la grazia publica non ha bisogno di fioche persuasioni per essergli contribuita. Tuttavia non devo tacere che la prontezza con che egli volò da Firenze per servir a Vostra Serenitá, l’assiduitá, la virtú con [p. 227 modifica]che egli ha diligentemente e valorosamente assistito a questa mia carica, meritano l’aggradimento di Vostra Serenitá.

Di me stesso, serenissimo Prencipe, eccellentissimi signori, ho poco che dire, mentre tutto ciò che opero è debito verso la patria e tutto ciò ch’ommetto è diffetto de’ miei poveri talenti, non mai della volontá, che non avrá in alcun tempo altri respiri che nell’essercizio di servire alla patria. Supplicole escusar le imperfezioni di questa mia relazione, condannandone i diffetti alla mia infirmitá.

La signora prencipessa nel mio partire mi regalò con un gioielo di diamanti: è posto a’ piedi della Serenitá Vostra, perché sia frutto della sua somma benignitá. La prego però a farmene grazia, in contrasegno che sia gradito il mio impiego e scusata la mia debolezza.

Al secretano mandò la signora prencipessa un anello con diamanti, ed egli pure supplica umilmente la Serenitá Vostra d’esserne fatto degno. Grazie.