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Rhegii Amoenitates

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latino

Michelangelo Naldi XIX secolo Indice:Spanò Bolani - Storia di Reggio Calabria, Vol. II, Fibreno, 1857.djvu poesie Rhegii Amoenitates Intestazione 4 febbraio 2025 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Storia di Reggio di Calabria
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Rhegii Amoenitates

ODE

Quid majus oris Italiae ultimis,
Vel invidendum? En Pharos, ubi rapax
     Scyllae et Charybdis sistit aestus,
     Instat atris fere pictus undis,
Quarumque cursus fluctibus invicem
Arctis in ima parte refrangitur,
     Summusque gurges nunc profundum,
     Nunc superum repetens hiatum
Terrei carinas. En bipatens plaga
Miranda visu, qua medius liquor
     Secernit Aetneos ab almis
     Ausoniae uberibus parentis.
Ducunt choreas undique Gratiae
Hoc, quem unus anteit Bosphorus, angulo;
     Solesque verni et purus aether
     Sidereo radiant colore.
Hic arva florent, longior annua
Hic ridet aestas, mitibus et caput
     Praecingit autumnus racemis,
     Hinc pluviae, glaciesque iniquae
Procul facessunt. Hic, dum arethusium
Fontem revolvis mente, tibi en nitet
    Messana et Ætna, en Fata, solis
    In speculis radios reflectens

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Gibbis per aer, per mare concavis,
Æstatis alba, monstrat imagines[1]
     Zancles venustae, vel Columnae,
     Et miseri simulacra Glauci[2].
Portenta! Nosne Euripus, et aureus
Hermus, Chorintus vel bimaris juvat,
     Delusque Latonae, Paphiosque,
     Et zephyris agitala Tempe?
Immane quantum distat ab inclyta
Haec urbs Hidaspe et fontibus integris
     Pimplae! Rosarum necte, Chlori,
     Necte novam Rhegio coronam.
Cerne ut propinquos leniter adsilit
Colles, et almis comta coloribus
     Iucunda protendit lacertos
     Ionio Siculoque ponto.
Est ipsa ramis arbor ut aureis,
Quam propter undat fluminis alveus,
     Suis daturam poma laeto
     Dulcia temporibus colono.
Ipsi perennat gratia frondium,
Et mala certant citrea fructibus,
     Quam solis aestus non adurit,
     Nec glaciant hyemes nivosae.
Et si irretorto murmure spiritus
Austri vehementis concitat aerem[3],
     Nunquam tepentis lumen aurae
     Corripiat Boreae susurrus.
Cum terra vernis irrubuit rosis,
Frons ecce floret tota simillima
     Lauro, et corollis jactat albis
     Ambrosios ubicumque odores[4].
En Taurocinî villa nec exteris,
Quae nec paternis floribus invidet,
     Suum decorem rebus auget
     Artis et ingenii paratis[5].
O rus Valeri o balneolum, o domus
Musis amica! o Leucopetra, o sinus
     Praerupte, defles aestuosi
Immeritata rabiem gigantis!

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Villae Valeri relliquiis date
Vitam insepultis, atque viae appiae
     Ad sacra curvantis, nepotes
     Polliciti meliora, Romae[6].
O terra felix! Paulus ad italas
Ingressus oras, te docuit prius,
     Novumque firmavit salutis
     Foedus in ingenium tuorum,
Facesque Orestis matris acinaci
Atras revellens, lumen ab aethere
     Ductum vetustae tum columnae
     Imposuit, populo probante.
Sacrumque centena aes vice tinniens
Noctem premendam nocte monet semel,
     Meridiana horaque corpus,
     Vitae onus ut subigat, levandum.
Quo nunc eremus vota Deo erigit,
Ventis cupressus perdita floruit,
     Ad quam priores admoventes
     Barbaricum pepulere turmas[7].
Quorum arma pendent, velut adorea,
Funis et aris, sanguine lurida
     Nondum expiato. Summe coeli
     Rector et orbis, atrox, et omne
Hinc pelle crimen, verte malum procul;
Quod terra, et aer, quod mare proferat,
     Frui da, et infige adjacentes
     Encelados, pede ne retuso
Rursus hoc beatum concutiant solum,
Sic clara rursus gens Iapeti viret,
     Nec tardat ut, cui nulla vis, nec
     Imminuit rabics quietem,
Laetetur aetas lenis, et ingeni
Vigor per artes permeet arduas[8],
     Hinc dite cornu larga frugum
     Copia Bretiades beabit.

Note

  1. [p. 306 modifica]

    (1) Spiegare il fenomeno della Fata Morgana per l’angolo, limite, o per la totale riflessione, è volerlo spiegare piuttosto matematicamente, ossia per le idee e cognizioni generali delle cose, quando la fisica nasce dalle idee e cognizioni particolari delle stesse cose sensibili. Non mi fu dato di leggere che n’abbia scritto il reggino Arcovito, ed il gesuita P. Minasi, noto anche pei Granchi paguri. Le teorie del moto alla luce che diffondesi su tutti gli oggetti sensibili per la sua universale presenza nell’universo sensibile, e precipuamente sugli organi visuali di tutti gli esseri animali per mezzo dell’atmosfera terrestre, e de’ corpi centrali, luminosi, diffusivi e moventi la luce, (donde le leggi e il calcolo della diffusione, rifrazione, riflessione, ed effetti della luce rifratta su’ corpi opachi); la cognizione della perenne decomposizione e composizione di tutti i corpi ne’ loro elementi, mercè le leggi e forze della natura, per cui s’intende quella del fluido atmosferico o aere, (la cui natura, densità, qualità e moto fanno la scienza aerologica, come la meteorologia è fatta da’ fenomeni, detti meteore, che nell’aria son prodotti da’ varii elementi in essa esistenti, secondo le loro rispettive forze e leggi); il fatto del flusso e del ritorno o rema circoscritto fra certi spazii; le punte del promontorio Cenide o Pezzo, del porto di Messina, e di Calamizzi (presso a Reggio); il concorso dell’està, poichè quando il fenomeno apparisce nelle ore pomeridiane chiamasi la Sirena, sono tante particolarità che allontanano la spiegazione per ragioni generiche. Ho pensato qui cennar queste cose, avendo in qualche congiuntura discorso dell’avviso ch’io ne porto.

  2. [p. 306 modifica]

    (2) Ho creduto dare a Catona la voce latina di Columna, sapendosi che l’Iter Antonini, il quale da Roma cominciava, finiva a questa Colonna che ne segnava il milliario, e da essa, lambita da bel porto, si passava alla Sicilia, e perciò la via s’appellava iter ad Trajectum, quasi solo destinata a tal passaggio, o comunicazione dell’Italia co’ fecondi granai siculi.

    Ho poi voluto chiamar Gallico colla parola Glaucus, perchè, surto senza dubbio prima che le galliche cose ci lordassero l’idioma, m’è paruto derivare da una memoria favolosa. Se dura il nome a Scilla, non doveva mancar quello di Glauco, ch’erane l’amante. Ognuno sa che costui, non potendo raggiunger l’amore di quella Ninfa, pregò Circe che a’ suoi desiderii la piegasse. Ma la Dea, che di lui era ardentemente accesa, con venefica bevanda spense la vita alla leggiadrissima Scilla. Era giusto che Glauco, poco discosto, fosse rimasto a piangere sulla spoglie dell’amata.

  3. [p. 306 modifica]

    (3) All’austro ho dato l’aggiuntivo vehementis per serbare il vero che Cicerone osservò in una delle sue epistole ad Attico.

  4. [p. 306 modifica] [p. 307 modifica]

    (4) La particolarità che veramente abbella Reggio ed i luoghi circostanti è la copia degli agrumi; e se la Sicilia, Sorrento, Portici, e altro clima dolcissimo ne abbonda, le loro sessantasei varietà, che come in uno specchio vedi raccolte nell’ammirevole villetta del gentilissimo Signor Vincenzo Musitano, che ha gusto del bello, sono solo privilegio di quella contrada. Il bergamotto, che ha le sue specie variegato, cedro, limo, ed è anche un capo di ricchezza, si trapiantò in Reggio per Carlo Meuza, che prima o dopo del canonicato datogli nel 1726, dall’Italia ne portò l’innesto, il quale si fa a pezza o ad occhio; e portò pure una vite di Noc3ra che fu subito propagata. I fiori dall’arancio colà son detti zàgari. A comprendere tutta la famiglia degli agrumi, che aromatizzano quell’aria, mi son valuto della simiglianza che, secondo Virgilio, ha col laurus.

    A questa nota del Naldi credo acconcio aggiungere quel che dice il mio cultissimo amico e concittadino Antonino Màntica in un suo discorso letto nella Società Economica di Reggio:

    «È per la bocca di tutti, e con particolarità presso i nostri villani, un racconto sul bergamotto. Si volle e si vuole costantemente che un tal Vazzana, detto per soprannome Rovetto, non più che un secolo e pochi lustri indietro, essendo stato a Roma ha veduto nelle stufe e serbatoi questa pianta, alla quale era apposto il titolo di bergamotto. Ne chiese l’origine, e gli s’indicò come indigena di Bergamo, donde portata in Roma si esponeva in vendita. Il Vazzana, fattone l’acquisto di varie piante, le introdusse in Reggio sua patria, trapiantandole in un suo fondo in Santa Caterina, ove si cominciarono a fare i primi innesti sull’arancio amaro, e da dove si propagarono per i diversi proprietarii. Nondimeno può stare che dall’isola Barbada furon portate a Bergamo, dalla quale città per la via di Roma si sono introdotte a Reggio, e bergamotti furon perciò chiamate. Certo si è però, per quanto si sa, che nè in Roma nè in Bergamo si produce affatto questo frutto, nè tampoco nell’isola Barbada, mentre non si ha notizia di tale produzione in alcuna parte dell’America, nè altrove. La natura talvolta vuole anche schiribizzare nelle sue produzioni, ed aggiungere delle nuove alle antiche piante formando delle terze specie; come forse lo fa pel bergamotto, che è creduto un ibrido nato dal limone e dall’arancio, e come lo è pel portogallo-limone, che ebbe origine, non son forse trent’anni, alla marina di Bova in un fondo de’ signori Nesci, il cui albero tuttavia esiste; ed è mirabile vedersi ne’ medesimi rami uniti al portogallo-limone anche i limoni di Spagna, mentre in origine questo albero era solo portogallo, forse innestato sul limone di Spagna». Sin qui il Mantica; ma il nostro dotto, virtuoso e rispettabile medico Francesco Calabrò, in un suo opuscolo Della balsamica virtù del bergamotto, è di opinione che quest’albero sia veramente originario dell’isola Barbada, e così nominato per la similitudine del pero bergamotto. (Nota del Bolani.)

    (5) Il Calopinace, che scaturisce da Privitera, due ore di cammino sopra Tirreti, o Pertugio d’oro, anticamente s’appellava Taurocinium.

  5. [p. 307 modifica]

    (5) Il Calopinace, che scaturisce da Privitera, due ore di cammino sopra Tirreti, o Pertugio d’oro, anticamente s’appellava Taurocinium.

  6. [p. 307 modifica] [p. 308 modifica]

    (6) Una imperdonabile negligenza ad ogni antico monumento, annientò opere di sommo pregio; ed è chi sprezza i bei lavori del Canonico Morisani, che si studiò raccoglierne alcuni avanzi; ma ora il cultissimo ingegno di Domenico Spanò Bolani rivendica dall’obblio tante preziose memorie. Pare che avesse vinto ogni barbarie il destino ch’era posto alla villa di Publio Valerio, guardandosene ancor erta una reliquia; ed io vidi alcune colonne di granito intonacate, come base a poca terra, da cui l’ingordigia trae solo pochi grani. Questo avanzo deve credersi che fosse stato il bagno; e la villa era sulla strada Appia, che da Reggio, movendo per Leucopetra lambiva il Jonio, e per Brindisi nella Lucania s’addentrava, e poi per il vallo di Sejano a Pompei, Nola; quindi a Roma. Chi de’ Reggini non si esalta leggendo di questa villa le parole di Cicerone nell’epistola quarta del libro sedicesimo, e nella seconda filippica?

  7. [p. 308 modifica]

    (7) Reggio che, quando ancora il fiero ligure ed il potente Veneto avea prevalenza, poteva guardarsi, patì nondimeno cinque o sei saccheggi; il primo a’ tredici giugno del 1519; il secondo a’ sedici giugno del 1543 per Barbarossa, che pure di fuoco l’afflisse; il terzo a’ quattro luglio del 1552; il quarto addì otto giugno del 1558; il quinto da Scipione Cicala, che dal due al cinque settembre del 1594 maltrattandola, trovò validissimo ostacolo dinanzi al cipresso che giganteggiava, come sul Libano; decoro al tempietto sacro alla Madonna della Consolazione. La cui festa in settembre è una specialità storica; e un innesto di splendidezza cattolica, e di affetto alle tradizioni pagane, per le faci notturne e balli villerecci e moreschi. Le più migliaja di lumi, riuniti e divisi per tante ninfe su quelle molte spaziose e diritte strade, la sinfonia di strumenti montanini a varii crocchi, i serici parati, gli archi, gli artifizii di fuoco, fanno giocondissime le tre serate delle feste reggine.

  8. [p. 308 modifica]

    (8) Leggasi la visita che Annibale d’Afflitto fece in quella Diocesi nel 1631, ed il racconto dell’altro Arciv. Gaspare de Creales, in idioma spagnuolo stampato in Napoli nel 1646, che trovasi nella Biblioteca degli Studii.