Ricordanze della mia vita/Parte terza/XLI. La diplomazia e gli ergastolani

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XLI. La diplomazia e gli ergastolani

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XLI. La diplomazia e gli ergastolani
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XLI

(La diplomazia e gli ergastolani).

Santo Stefano, 3 settembre 1856.

Io credo che tua sorella Antonietta1 non è venuta perché ha voluto aspettare tuo zio, e parlargli, ed informarsi da lui di ogni cosa: non mi pare che il suo indugio nasca da qualche speranza. E se tuo zio le avrá comunicato i suoi timori, ella non verrá piú, ci avrá uno scrupolo. Ma pure ella non dovrebbe avere scrupolo di tal natura, perché fin da principio non volle sapere il modo, e lasciò interamente a noi, perché ella non avrebbe potuto giudicarne.

Tu hai descritto il modo a tuo zio, il quale, non sapendo le cose bene, se le ha figurate pericolosissime, ed ha temuto: e forse ha comunicato il suo timore ad Antonietta. Io non potrei altrimenti spiegarmi questo freddo silenzio dopo tanta caldezza.

Che sperino un bene comune, facile, piano? Non mi pare. Adesso si va facendo piú difficile la cosa pel tempo: ricordo l’anno passato, e quella grandissima disgrazia2. Del resto io ti ripeto che son sempre pronto e voglioso di vederla contenta.

Vuoi notizie di qua? Quelle voci e rigori di cui ti scrissi, sono svaniti, e non c’è piú nulla. Il comandante è gravemente ammalato coi piedi, e non può levarsi, né forse si leverá piú da letto. Non vedo piú legni. Che tempi ed occasioni si perdono!

Parliamo ora un po’ del mondo. Io credo come te che la venuta dell’ambasciatore austriaco in Napoli non fará nulla [p. 423 modifica] di bene a noi. L’Austria ha voluto mandare l’ambasciatore che aveva a Parigi, acciocché questi tornando in Francia possa presentare a Napoleone le ragioni perché il re di Napoli non può far nulla. L’Austria approva ciò che si fa in Napoli; e vuol fare approvarlo da Napoleone adulandolo con questa finezza, mandando un uomo stimato da Napoleone. Mio Dio! che sciocchezza è quella di sperare nella diplomazia, che è il gesuitismo politico? Il re di Napoli potrebbe salvare la sua famiglia e questo sventurato popolo, il quale avrebbe un’altra gravissima sventura se mutasse dinastia; ma egli è cieco, non vede che rovina sé, rovina il figlio, rovina tutti con la sua ostinazione. Tiene Napoleone per amico, gli ha mandato un ministro per difendersi, e non ricorda che i napoleonidi sono necessariamente nemici dei Borboni; e che in corte di Napoleone ci è chi pretende alla corona di Napoli. Ma a che ti scrivo queste cose? Io penso quale sará in avvenire la sorte di questo paese, e ne piango. Di me non m’importa, perché io son morto: ma della mia patria mi addolora il pensiero che ella sará in volta nelle rivoluzioni e nelle guerre civili. La tempesta verrá: chi ha seminato spine raccoglierá spine.


Note

  1. Panizzi. [N. di R. S.]
  2. Il naufragio di un piroscafo che doveva venire per salvarli. [N. di R. S.]