Ricordi intorno al movimento politico di Reggio nell'anno 1847/I. Precedenti
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I.
Precedenti.
Perchè il nostro movimento politico del 2 Settembre 1847 non venga giudicato, come a taluno piacque allora giudicarlo, un fatto isolato ed incoerente, è mestieri togliere il filo della presente narrazione da alcuni anni e da alcuni fatti anteriori. Di tal che, quelli preposti, si potrà di leggieri intendere che Reggio non si è mossa per capriccio od insensatezza di pochi, ma per logica conseguenza di antecedenti, che ne avean già da lunga pezza preparata la via.
Basta aver letto alcuna fra le molteplici storie d’Italia per intendere come i popoli della nostra penisola sieno stati quasi in tutti i tempi costretti, e direi trascinati per forza a continue rivoluzioni. Di fatti, sia che oppressione straniera avesse ridotti gl’italiani a tale da dover tentare, ed alcuna volta anche disperatamente, di scuoterne il doloroso e sempre gravissimo giogo, sia che potenti invasori se ne dividessero la conquista come di preda giustamente fatta, sia che, infine, coloro che usurparono il regime dei popoli dei diversi stati d’Italia, diffidenti ognora e timorosi e però tiranni e crudeli, pretendessero governarli come mandre di muti agnelli, senza neppure potersi dolere sotto la pesante mano del tosatore, o sotto la barbara ferocia di chi finiva collo strozzarli, nella Iliade, insomma, delle sventure e delle oppressioni, che in ogni tempo travagliarono l’Italia, trovi tutta la storica ragione di quanti politici rivolgimenti venner veduti compiersi fra gl’Italiani.
Non mancarono è vero di coloro, ed anche fra gli scrittori specialmente stranieri, i quali ebbero la sfrontatezza di attribuire tutto il torto ai popoli, dichiarandoli irrequieti, incontentabili, e taluna volta anche facinorosi; ma, quanto valga tale opinione di cortigiani vilissimi, o di scrittori venduti, oggi non è chi non sappia.
Certo è che ogni buona ragione induce a ritenere per vero che non reagisce se non chi è oppresso, e che, chi disperatamente reagisce, sfidando anche il carnefice, debbe essere ridotto a tali estremi da non poter più oltre sostenere le insoffribili conseguenze della oppressione.
Dal che segue anche, come necessaria illazione, che là avvengono più frequenti le sollevazioni dei popoli, dove la tirannide si rende più intollerabile, dove le oppressioni sono più crudeli, dove le vendette e le gelosie degl’imperanti sono più perfide e più spietate.
Ora, se i rivolgimenti politici altrove compiuti han potuto essere giustificati nella storia e nella pubblica opinione, quelli avvenuti nel Reame di Napoli, se vogliono senza passione giudicarsi, debbono per fermo ritenersi come effetti indispensabili della crudele necessità e dello stato deplorevole a cui si videro i popoli ridotti. Però il Colletta, notissimo storico delle rivoluzioni del Napolitano, ha potuto giustamente asserire, che nelle Due Sicilie furono i politici rivolgimenti più frequenti che altrove, benchè di corta durata e di infelice successo; cosa che, quello storico, a buona ragione attribuisce all’igneo carattere, ed all’indole eccessivamente impetuosa dei popoli meridionali.
Noi, per non andar troppo lungi dal nostro proposito, volendo parlare del solo movimento politico compiuto in Reggio nel 1847, ci contenteremo di prendere il filo della narrazione dalla sollevazione di Cosenza avvenuta nel 1844; e ciò perchè fin d’allora eravamo noi preparati ad insorgere per recenti insinuazioni venuteci da Napoli. Ed ecco come.
Nel 1841, Gaetano Ruffo, coltissimo giovane di Bovalino, facevasi a Reggio da Napoli, dove trovavasi da qualche tempo a studiare, e veniva in questa Città, capoluogo della provincia, per trattare presso il Consiglio di Leva, della sua esenzione dal servizio militare, cui era chiamato; ma al tempo stesso aveva assunto il difficile e pericoloso incarico da un Comitato di Napoli, d’impiantare nella nostra provincia anche un comitato insurrezionale, riconoscente per centro quello di Napoli.
Disbarcato in Reggio, il Ruffo non sapeva a chi volgersi per iniziare i suoi tentativi, e non conosceva persona a cui potesse fiduciosamente affidare il pericolosissimo segreto della sua missione; pertanto, sperando nel tempo, fece vista di non occuparsi d’altro che della sua individuale faccenda per la esenzione della leva, ed a tale scopo ottenere, si volse a me; perchè io allora godeva tutta la stima dell’Intendente di quel tempo Roberto Betti, dal quale poteva molto sperare per la favorevole riuscita del suo affare. Ma siccome, all’egregio giovane, stava a cuore più la libertà della patria, che la sua esenzione dalla milizia, così, nella prima conversazione con me tenuta, dopo brevi parole su ciò che riguardava il suo particolare interesse, prese tosto, ma molto cautamente, a manifestarsi: da prima con qualche parola di malcontento sullo stato delle cose d’allora, appresso con l’espressione di qualche nobile sentimento intorno alla libertà, facendo destramente seguire qualche reticenza, ed in ultimo, forse per aver trovato nei modi ond’io accoglieva le sue parole il terreno atto ai suoi tentativi, messa da banda ogni riservatezza, proruppe con tutta l’effusione d’un cuore divampante d’amore per la libertà della Patria, e tutto mi dichiarò con nobile lealtà quanto serbava di segreto sullo scopo della sua venuta fra noi. Ei mi diceva, che in Napoli tutto era concertato per una sollevazione; che in casa del Barone Mazziotti si univano sotto pretesto d’Accademie Letterarie i giovani più ardenti per la libertà; che da quella patriottica Società, erano partiti per le rispettive province quindici giovani, i quali, per il loro ingegno ed influenza nei proprii paesi, facevano sperare moltissimo sull’ottima riuscita della loro missione; di destare, cioè, fra i proprii comprovinciali, il desiderio d’un politico miglioramento e d’indurli a pronunciarsi comunque in tal senso. Soggiungeva, che per la nostra provincia era stato scelto lui, come per la vicina Calabria Carlo Masinissa Presterà; e conchiudeva che bisognava far presto e mettersi all’opera senza perder tempo; perchè, forse, le altre province con Napoli ci avrebbero preceduto nel movimento, essendo quelle già da lungo tempo organizzate.
Tal discorso del giovane Ruffo, toccò così vivamente le mie fibre, ed armonizzò talmente coi sentimenti del mio cuore, che ardirei asserire di averlo vinto in entusiasmo; cosa che a lui piacque moltissimo e si dichiarò soddisfatto del bel modo come aveva cominciato l’opera sua. Se non che, qual prò avrebbe potuto ottenersi dall’accordo e dal buon volere di due sole persone? Era mestieri dunque allargare in altri, quanto e come era possibile, le nostre idee ed invitare quanti più poteansi a prender parte dei nostri divisamenti. Ma in ciò era d’uopo molta prudenza e moltissima circospezione.
Fu quindi di accordo stabilito che, valendoci dei modi di organizzazione della Giovane Italia, si affidasse il segreto isolatamente a sole tre persone, dando a queste l’incarico di affidarlo ciascuno ad altre tre di sua fiducia, e queste ciascheduno ad altre tre, e così successivamente; ma, praticando in modo, che l’uno ignorasse l’associazione dell’altro.
Di fatti io mi son dato all’opra, scegliendo per primo i tre miei amici che m’ispiravano maggior fiducia: Domenico Spanò Bolani, Francesco Mantica d’Ignazio ed Q3619103, ai quali ho tutto il nostro disegno svelato e quanto erami stato riferito dal Ruffo. A dir vero, le mie dichiarazioni, a prima giunta, furono accolte con sorpresa ed incertezza per la grande difficoltà dell’impresa; ma, nonpertanto io cessai dallo insistere, nè quelli duraron molto ad accettare l’ardimentoso incarico; per guisa che, in brev’ora, furon quasi trenta gli associati; tutti scelti fra i giovani istruiti e fra quelli che offrivano nella loro vita sociale maggior sicurtà e qualche pruova di patriottico sentimento.
Instava il Ruffo perchè, colla maggior sollecitudine si affrettasse l’organizzazione, per modo che ci fossimo trovati nel grado di poter prendere una parte attiva nel pronunciamento della Capitale e delle rimanenti province, ch’egli credeva imminente.
Ciò nulla ostante, dietro accordo coi più dichiarati, abbiam deciso di formare innanti tutto una cassa, contribuendo ciascuno secondo i proprii mezzi; e ciò per aver modo di provvedere a tutte le possibili occorrenze.
Difatti nel breve spazio di pochi giorni vennero raccolti e depositati meglio che 800 ducati presso di me, che solo conosceva tutt’i contribuenti; mentr’essi s’ignoravan tra loro.
Il primo uso fatto di questo denaro fu, quello dettato dalla prudenza, d’inviare a Napoli uno dei nostri, il quale di persona potesse indagare quanto vi era colà di ciò che venivaci riferito da Ruffo; e poi, ritornando a Reggio per terra, scoprisse ciò che vi era di preparato nelle province di Salerno e Basilicata e nelle altre due Calabrie. Deputato a tale incarico fu Antonino Plutino, il quale adempì fedelmente alla sua missione, non men delicata che pericolosa, per parte dell’allora più che mai vigilantissima polizia.
Plutino, non essendo riuscito a conoscere quanto vi era di cospirazione in Napoli in Salerno e nella Basilicata, pervenne a Cosenza, dove, per mezzo di amichevoli conoscenze, potè assai di leggieri scoprire lo stato vero e reale dei preparativi per una prossima insurrezione. Anzi, i patriotti di quella città, più caldi che altrove, gli si dicevano già pronti e ben preparati ad insorgere e gli manifestavano il desiderio di vedere il loro movimento accompagnato, od almeno tostamente seguito da altro pronunciamento nella nostra Provincia, ed anche nella vicina Messina; cosa, soggiungevano, che, dando maggiore vastità al movimento, avrebbe grandemente sconcertato il Governo del Borbone, il quale non avrebbe saputo dove accorrer meglio colle sue milizie.