Rime (Stampa, Franco, altri)/Nota

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NOTA

[p. 365 modifica]Gaspara Stampa (n. verso il 1525-m. 1554) e Veronica Franco (1546-1591) si trovano unite in questo volume, perché furono nella condizione della vita molto più vicine che finora non siasi, nonché creduto, nemmeno sospettato. Di Veronica Franco sono ben noti i fasti galanti; e la ricostruzione della sua biografia e lo studio de’ suoi scritti han dato materia ad Arturo Graf per scrivere un interessantissimo capitolo del malcostume cinquecentesco. Madonna Veronica fu una delle cortigiane più in voga nella splendida e corrotta opulenza veneziana della seconda metà del Cinquecento: la donna di piacere colta e sapiente nell’arte sua, che toccò i fastigi della fortuna nel suo mestiere, quando un re, Enrico III di Valois, di passaggio a Venezia, si recò a farle una visita; e finì, come molt’altre sue pari, volgendosi alla religione e alla contrizione1. [p. 366 modifica]

Di Gaspara Stampa la vita ci è rimasta fin qui molto oscura, e quel che finora se n’è detto ce la fece credere di nobile casato, giovane incauta, tradita dall’uomo da lei primamente amato, il bel Collaltino di Collalto, nativo della amorosa marca trivigiana. Ma la scoperta d’alcuni documenti e un nuovo esame delle testimonianze pervenuteci intorno alla Stampa, mi han dato modo di dimostrare che fu anch’ella a’ suoi tempi un’etèra singolarmente adorna dei pregi della bellezza e dell’ingegno2. Quindi le rime di queste due poetesse, cosí diverse nell’arte loro, insieme raccolte in questo volume, costituiscono nel loro complesso uno dei piú interessanti documenti della storia della coltura e della galanteria nel secolo decimosesto, anche prescindendo dal loro valore nel rispetto dell’arte.

Io non esito ad affermare che la Stampa e la Franco sono le due piú caratteristiche poetesse del Cinquecento. Il canzoniere della prima, sebbene lo raffreddi spesso, e ne attenui l’efficacia, l’imitazione palese del grande modello petrarchesco, è pervaso da un’onda di sentimento, che soverchia non poche volte la maniera tradizionale e arricchisce di viva poesia piú e piú sonetti audaci, ardenti, vibranti, ora grido di passione desiosa, ora voce di gioia soddisfatta, ora lamento e rimpianto accorato: l’eterna storia d’amore trova in esso, per opera di una donna che molto amò e dell’amore godette senza misura tutti i gaudi e le voluttà inebrianti, un’espressione che talvolta assurge a vera, intima poesia. E la poesia riabilita agli occhi nostri madonna Gasparina dai molti amori, come nel velo del petrarchismo, e quasi direi del platonismo, rimane adombrata la sua persona reale.

Piú trascurata e sciatta nella forma, diffusa e donnescamente loquace, stentata a volte e spesso contorta, Veronica Franco non è per questo meno significativa figura di scrittrice. Ella ci si mostra nelle sue poesie, quasi con ostentazione, la femmina da conio che fu nella vita: nelle sue Terze rime abbiamo talvolta l’aperta esibizione delle gioie sensuali, onde madonna Veronica era maestra: essa veramente associa, per allettare i suoi amici, la poesia e la procacità, sacerdotessa non solo di Venere, ma anche di Apollo. [p. 367 modifica]Per queste sue epistole erotiche, in cui talora a’ suoi corrispondenti rievoca le lotte amorose, nelle quali s’è con essi azzuffata (cosi nella ii e nella xiii), e in cui sono evidenti influssi classici ed umanistici (come nella xx), essa prende un posto tra i nostri elegiaci del Cinquecento, non ultima per vivacità scapigliata e per forza di sentimento. E qualche piú rilevata caratteristica è nelle rime della Franco. In esse talvolta s’afferma un senso risoluto d’emancipazione femminile, sbocciando di sulla turpe emancipazione morale, a cui ella s’era data. Anche vi si nota un forte e immediato sentimento della natura. Nel suo sensuale concetto della vita, le bellezze naturali, specialmente quelle della campagna ubertosa, s’accolgono e trovano nel verso efficace rappresentazione.

Esse si personificano, s’atteggiano plasticamente con movenze umane, piú propriamente femminili. I bei colli, su cui sorge la villa di Fumane, ov’ella stette alcun tempo, a svago suo e del conte Marcantonio della Torre, proposto di Verona, suo protettore e signore del luogo, allo sguardo e alla fantasia della donna amorosa si popolano, spontaneamente e non per influsso della coltura classica, di dèi e di ninfe «succinte e leggiadre»: le acque, che ne accrescon la bellezza, mormoreggianti, balzanti e fuggitive in declivio, docili e chete nel piano, che irrigano con «dolce tributo di se stesse», ispirano a Veronica una descrizione originale e piena di grazia. E con questa ammireremo la descrizione del canto degli uccelli, che la donna ascolta dal verone della villa sontuosa, e la caccia ansiosa dei cani sulle tracce della selvaggina agognata.

L’una e l’altra poetessa eran dunque meritevoli d’una ristampa nella grande collezione degli Scrittori d’Italia.

I

GASPARA STAMPA

Il canzoniere di Gaspara Stampa, di cui non ci è giunto nessun manoscritto, ebbe un’edizione sola nel Cinquecento, riprodotta direttamente o indirettamente da tre altre, di varia importanza, nel Settecento e nel secolo passato. La prima edizione, oggi molto rara, usci in Venezia l’anno stesso della morte della poetessa:

[1]. Rime di ma- | donna Gaspara Stampa. ‖ Con gratia et | Privilegio ‖ (Impresa: la Virtú, col motto: Virtus Dei donum). ‖ [p. 368 modifica]In Venetia, per Plinio Pietrasanta | m.d.liiii. — È una bella edizioncina in caratteri corsivi, con frontali ornati e iniziali figurate: il canzoniere occupa pp. 176 numerate, precedute da quattordici non numerate (contenenti la dedica di Cassandra, sorella della poetessa, a monsignor Giovanni Della Casa, alcuni sonetti in morte di Gaspara e la dedica di questa a Collaltino da Collalto), e seguite da altre tredici, parimenti non numerate, nelle quali sono la «tavola», l’elenco degli «errori incorsi nello stampare» e il «registro». Stimo opportuno riferire la dedica all’autore del Galateo3.

all’illustrissimo

et reverendissimo monsignor

MESSER GIOVANNI DALLA CASA,

arcivescovo di benevento

suo signore

CASSANDRA STAMPA.

Poi che a Dio nostro Signore è piaciuto di chiamar a sé, sul fiore si può dire degli anni suoi, la mia da me molto cara e molto amata sorella: ed ella partendo ha portato con esso lei tutte le mie speranze, tutte le consolazioni, e la vita istessa; io ho cercato di levarmi davanti gli occhi tutte le sue cose, acciò che il vederle ed il trattarle non rinovasse l’accerbissima memoria di lei nell’animo mio, e per consequente non rinfrescasse la piaga de’ molti dolori, avendo perduto una cosí savia e cosí valorosa sorella. E, volendo e devendo far il medesmo di queste sue rime, tessute da lei, parte per essercizio dello ingegno suo, felice quanto a donna, se non m’inganna l’affezzione fraterna, parte per esprimere alcun suo amoroso concetto, molti gentiliuomini di chiaro spirito, che l’amarono, mentre visse, ed hanno potere sopra di me, m’hanno tolta, mal mio grado, da questo proponimento e costretta a raccogliere insieme quelle che si sono potute trovare; mostrandomi che io non devea né potea, per non turbar la mia pace, turbar la gloria della sorella, celando le sue fatiche onorate. Questa adunque è stata la cagione ch’io le ho fatto publicare. Perché poi io le abbia dedicate piú a Vostra Signoria reverendissima che ad altro signore, è per questo. Tre, se io non erro, sono le sorti de’ signori, che si trovano al mondo: di natura, di fortuna e di virtú; i due primi sono signori di nome, l’ultimo di effetto, perché quelli sono fatti da altri, e questo si fa [p. 369 modifica] da se stesso; però a lui dirittamente si conviene il nome e la riverenza di signore. Girando per tanto gli occhi per tutta Italia, per trovare a chi piú meritevolmente il nome di vero signore si convenisse, il vivo raggio di Vostra Signoria reverendissima splendè agli occhi miei da quella sua riposta solitudine, ove il piú delle volte per dar opera ai suoi gravi ed alti studi, e pascer di preziosissimo cibo il suo divino intelletto, si ritiene, sí fattamente che, come ferro da calamita, sono stata tirata a viva forza a consacrarle a lei, perché (oltra che è signore di natura, nato nobilissimo in nobilissima città d’Italia; di fortuna, per le ricchezze amplissime che ella ha; di virtú, possedendo tutte le piú nobili e piú segnalate scienze che si trovino, ed alla quale, come a chiarissima stella e ferma, si deono indrizzare tutte le opere di quei che nel mare di qualsivoglia fatica onorata navigano), io sono sicura che in questo compiacerò anche alla benedetta anima della amata sorella mia, se di là s’ha alcun senso o memoria delle cose di questo mondo. La quale, vivendo, ebbe sempre per mira Vostra Signoria reverendissima, come uno de’ piú belli lumi d’Italia, ed a lei destinate le sue fatiche; inchinando e riverendo sempre il nome e l’alto giudicio di lei qualunque volta se ne ragionava, che era assai spesso, e portando a cielo i suoi dottissimi, leggiadrissimi e gravissimi componimenti al pari di tutti gli antichi e moderni, che si leggono. Non isdegni adunque Vostra Signoria reverendissima di ricever con quella molta bontà d’animo, che Dio le ha dato, questi pochi frutti dell’ingegno della disideratissima sorella mia, dalla quale fu, mentre visse, osservata e tanto reverita; contentandosí che sotto l’ombra del suo celebratissimo nome si riposi anco la penna, lo studio, l’arte e gli amorosi e ferventi disidèri di una donna con tante altre divinissime fatiche dei piú alti ed esquisiti spirti dell’età nostra. E con questo, baciandole le dotte e sacre mani, faccio fine.

 Da Venezia a’ 13 d’ottobre 1554.

Questa prima edizione fu forse curata da Giorgio Benzone, modesto letterato, il quale di quegli anni curò alcune altre stampe del Pietrasanta, e che si diè premura di radunar alquanti sonetti in lode e in compianto di madonna Gaspara, da premettere al canzoniere di lei.

La seconda edizione fu dovuta all’iniziativa del conte Antonio Rambaldo di Collalto, un gentiluomo del Settecento, discendente di Collaltino, l’amante della Stampa, e fu preparata da Luisa Bergalli, la quale in quest’opera ebbe la preziosa assistenza di Apostolo Zeno.

[II]. Rime di madonna Gaspara Stampa; con alcune altre di Collaltino, e di Vinciguerra Conti di Collalto: e di Baldassare Stampa. Giuntovi diversi componimenti di varj autori in lode della [p. 370 modifica]medesima. In Venezia, mdccxxxviii. Appresso Francesco Piacentini.

— È una bella edizione in-8°, di cui si hanno anche copie piú rare e ricche in-4°: precedono alcune notizie biografiche, dovute al conte Rambaldo di Cobalto, sulla poetessa e sui due signori da Cobalto di cui si raccolgono le rime, con un corredo di testimonianze e documenti vari, tratti da molteplici stampe e raccolte del secolo decimosesto. L’edizione è condotta su quella cinquecentesca, ma non fedelmente; con qualche buona correzione, ma anche con qualche arbitraria alterazione e con troppi ammodernamenti grafici; ed è arricchita di qualche poesia dispersa della Stampa, cioè un sonetto4 e un capitolo5, delle rime di Collaltino e Vinciguerra II da Cobalto e di Baldassare Stampa, non mai prima riunite e prese da raccolte cinquecentesche, e di tre sonetti in lode della poetessa6, aggiunti a quelli già compresi nella prima edizione; ma è pure ingombrata da un profluvio di versi di numerosi rimatori del Settecento: fumo di lodi a Gaspara Stampa, a Collaltino, a Irminda Partenide, la raccoglitrice, e al conte Antonio Rambaldo di Cobalto.

Accuratezza e diligenza non mancano nemmeno alla terza edizione, che fa parte della Collezione diamante del Barbèra.

[III]. Rime di Gaspara Stampa novamente pubblicate per cura di Pia Mestica Chiappetti, Firenze, Barbèra, 1877. — L’editrice afferma nella sua prefazione: «In questa nuova ristampa ho preso per fondamento la prima edizione e accettato dalla seconda quanto, a mio avviso, era stato ragionevolmente corretto», aggiungendo altre correzioni e modificando spesso la punteggiatura. Questa ristampa fiorentina è arricchita d’una Vita di Gaspara Stampa della stessa editrice, la quale ha numerato le rime e reso conto nelle note di molte delle sue correzioni al testo. Ma né tutte le correzioni fatte in questa edizione sono approvabili, né la prima edizione è stata in essa rispettata quanto si doveva, ché troppe libertà si è prese l’editrice, vinta anch’essa, come la Bergalli, sebben meno, dalla preoccupazione di ammodernar la forma7. [p. 371 modifica]

Su questa terza edizione è quasi letteralmente condotta quella, meno buona, che per la Biblioteca classica del Sonzogno curò Olindo Guerrini.

[IV]. Rime di tre gentildonne del secolo XVI (V. Colonna, G. Stampa, V. Gambara), con prefazione di Olindo Guerrini, Milano, Sonzogno, 1882, pp. 177-342.

Delle rime di G. Stampa, tre soli sonetti (nella presente edizione hanno i nn. li, lxx, lxxv) furon pubblicati, mentr’ella era in vita, nella raccolta: Il sesto libro delle Rime di diversi eccellenti autori novamente raccolte et mandate in luce con un discorso di Girolamo Ruscelli, Vinegia, per Gio. Maria Bonelli al segno del Pozzo, 1553; e furono ristampati poi da Lodovico Domenichi nella sua preziosa raccolta: Rime diverse d’alcune nobilissime et virtuosissime donne, raccolte per messer Lodovico Domenichi, Lucca, per Vinc. Busdrago, 1559, p. 57 sg.8. La citata raccolta del Domenichi contiene anche un sonetto della Stampa (n. cclxiii) a G. I. Bonetto, prima non mai stampato, e un altro sonetto di lei in lode di Giovanna d’Aragona, già edito, oltre che nel canzoniere della poetessa, anche nel Tempio alla divina | Signora Donna Giovan | na d’Aragona ecc. ‖ In Venetia, per Plinio | Pietrasanta, m.d.lv (a p. 149). Nell’edizione 1738, oltre il sonetto al Bonetti, fu ristampato per la prima volta un capitolo (a p. 173 sgg.), che aveva visto la luce soltanto nel 1573, in una raccolta genovese messa insieme da Cristoforo Zabata: Nuova | Scelta di Rime | di diversi begli | ingegni; | fra le quali ne sono molte del Tansillo | non piú per l’adietro impresse, | e pur ora date in luce ecc. ‖ In Genova, | appresso Christofforo Bellone F. A. | mdlxxiii. Quivi il capitolo «Della signora Gaspara Stampa» è a [p. 372 modifica]pp. 194-8; e, poiché colei che lo scrive, dirigendosi ad una giovane fattasi monaca, risulta essere una donna maritata, m’è sorto qualche dubbio sull’autenticità della poesia; ma non ho creduto sufficiente questo argomento per escluderla dal canzoniere della Stampa, che potè scriverla a nome d’altra persona.

Nella riproduzione del canzoniere di madonna Gaspara io mi sono attenuto rigorosamente al testo del 1554, fuorché nelle modificazioni puramente grafiche richieste dalle norme fissate per questa collezione di Scrittori d’Italia9: dove però il senso lo richiedeva, ho fatto alcune correzioni, delle quali do ragguaglio piú oltre.

Rispetto all’ordinamento delle rime, non ho creduto di dovermi troppo allontanare da quello che esse hanno nella prima edizione, la quale fu evidentemente condotta sull’autografo. Parecchi anni fa venne proposta una nuova distribuzione delle rime della Stampa, come piú conveniente per seguire «nel suo svolgersi la passione amorosa di G. S. e dare un ordine di tempo a’ suoi versi» 10; ma essa è tale che sconvolge quasi interamente l’ordine che le rime hanno nell’edizione del 1554, né credo si possa sostenere che risponda alla piú esatta interpretazione psicologica del canzoniere della nostra poetessa. A seguir sostanzialmente l’ordine della prima edizione mi sono indotto per due ragioni principali: la prima è che essa o rappresenta fedelmente l’originale e quindi l’ordine voluto dalla poetessa, o se, com’è probabile, se ne discosta in qualche parte, ne deve riprodurre tuttavia le linee fondamentali e, per cosí dire, l’ossatura; la seconda, che qualunque rimaneggiamento non può non esser troppo soggettivo e, di conseguenza, non da tutti approvabile, perché piú o meno arbitrario.

Per queste ragioni ho dato il titolo di Rime d’amore alla prima parte del canzoniere, ponendo in fine ad essa, distinti come sono nell’edizione 1554 dalle altre poesie, i Madrigali ed i Capitoli, ed ho formato una seconda parte con le Rime varie, che nella [I] edizione precedono i Madrigali e i Capitoli. Dalle Rime d’amore ho tolto solo un sonetto, il 190° dell’edizione 1877, ponendolo tra le Rime varie (n. cclxxxiii), e la canzone ii, che non [p. 373 modifica]pp. 194-8; e, poiché colei che lo scrive, dirigendosi ad una giovane fattasi monaca, risulta essere una donna maritata, m’è sorto qualche dubbio sull’autenticità della poesia; ma non ho creduto sufficiente questo argomento per escluderla dal canzoniere della Stampa, che potè scriverla a nome d’altra persona.

Nella riproduzione del canzoniere di madonna Gaspara io mi sono attenuto rigorosamente al testo del 1554, fuorché nelle modificazioni puramente grafiche richieste dalle norme fissate per questa collezione di Scrittori d’Italia11: dove però il senso lo richiedeva, ho fatto alcune correzioni, delle quali do ragguaglio piú oltre.

Rispetto all’ordinamento delle rime, non ho creduto di dovermi troppo allontanare da quello che esse hanno nella prima edizione, la quale fu evidentemente condotta sull’autografo. Parecchi anni fa venne proposta una nuova distribuzione delle rime della Stampa, come piú conveniente per seguire «nel suo svolgersi la passione amorosa di G. S. e dare un ordine di tempo a’ suoi versi» 12; ma essa è tale che sconvolge quasi interamente l’ordine che le rime hanno nell’edizione del 1554, né credo si possa sostenere che risponda alla piú esatta interpretazione psicologica del canzoniere della nostra poetessa. A seguir sostanzialmente l’ordine della prima edizione mi sono indotto per due ragioni principali: la prima è che essa o rappresenta fedelmente l’originale e quindi l’ordine voluto dalla poetessa, o se, com’è probabile, se ne discosta in qualche parte, ne deve riprodurre tuttavia le linee fondamentali e, per cosí dire, l’ossatura; la seconda, che qualunque rimaneggiamento non può non esser troppo soggettivo e, di conseguenza, non da tutti approvabile, perché piú o meno arbitrario.

Per queste ragioni ho dato il titolo di Rime d’amore alla prima parte del canzoniere, ponendo in fine ad essa, distinti come sono nell’edizione 1554 dalle altre poesie, i Madrigali ed i Capitoli, ed ho formato una seconda parte con le Rime varie, che nella [I] edizione precedono i Madrigali e i Capitoli. Dalle Rime d’amore ho tolto solo un sonetto, il 190° dell’edizione 1877, ponendolo tra le Rime varie (n. cclxxxiii), e la canzone ii, che non [p. 374 modifica]

Alle rime di Gaspara Stampa ho fatto seguire un’Appendice composta di quattro parti: i. Rime di diversi in lode e in morte della poetessa; ii. Rime di Baldassare Stampa, fratello di Gaspara; iii. Rime di Collaltino di Collalto; iv. Rime di Vinciguerra II di Collalto; e ciò per non allontanarmi dall’utile criterio seguito nell’edizione 1738, e in parte anche nelle altre edizioni13), di radunare col canzoniere di madonna Gaspara anche le rime di coloro che ebbero con essa relazioni piú strette, ad illustrazione dei versi da lei dettati. Tutte queste rime dell’Appendice ho collazionato con le loro edizioni originali, e alcune del i° gruppo, mancanti alla [i] e [ii] edizione, sono qui per la prima volta messe insieme con le altre.

Della prima parte, il sonetto di Ippolita Mirtilla (n. i) è tolto dalle citate Rime diverse raccolte dal Domenichi, p. 83; il ii, di Carlo Zancaruolo, non mai riprodotto col canzoniere della Stampa, previene dal Ragionamento di m. Francesco Sansovino nel quale brevemente s’insegna a’ giovani huomini la bella arte d’amore ecc., Mantova, mdxxxxv. dov’è stampato a c. 16 b col titolo «A la divinissima e bellissima Madonna Gasparina Stampa»14); il iii, del Parabosco, l’ho tratto dalle Rime scelte da diversi eccellenti autori ecc., In Vinegia, appresso G. Giolito de’ Ferrari, mdlxv, p. 185; il iv, di Malatesta Fiordiano, dalle Rime di diversi eccellentissimi autori nella lingua volgare ecc., In Bologna, presso Anselmo Giaccarello, mdli, p. 306; il v, vi, vii, viii, x, xi, xii, [p. 375 modifica]xiii, xiv dalla edizione 1554 delle Rime della Stampa15; il ix, di Girolamo Molino, dalle Rime di m. Girolamo Molino novamente venute in luce ecc., In Venetia, mdlxxiii, c. 104 a; il xv, xvi, xvii li ho tratti dalle Rime di poeti italiani del secolo XVI, Bologna, Romagnoli, 1873 (Scelta di curiosità letter., dispensa cxxxiii, p. 154 sg.); di cui il raccoglitore (A. C.) dice d’averle derivate per la maggior parte dai codici G. V. Pinelli dell’Ambrosiana; e il xviii dal codice 115 della Trivulziana, dov’è trascritto di mano del marchese G. G. Trivulzio, che lo fece precedere da queste parole: «In un libro ms. che fu già di Alessandro Padoani, contenente varie poesie, eranvi xxi sonetti contro Gaspara Stampa, ma tutti erano stati lacerati, eccetto l’ultimo, che qui si trascrive, e che non subí la sorte degli altri, ma solamente fu in qualche parola cancellato», e seguito dall’explicit della serie infamante: «Il fine dei xxi. So: | sopra Mad. Gas | para Stampa».

Le 34 poesie di Baldassare Stampa sono tratte da varie stampe e raccolte del Cinquecento, non tutte riscontrate dai precedenti editori. Nel Dialogo amoroso di messer Giuseppe Betussi (In Venezia, al segno del Pozzo, mdxliii) sono i sonetti xiv (c. 37 b), xvi (c. 37 b), ix (c. 38 a), xxiii (c. 38 a), xxxiv (c. 38 b)16; — in fine alla Lettura di m. Benedetto Varchi, sopra un sonetto della «Gelosia» dimons. Dalla Casa ecc., In Mantova il dí xx luglio del xxxxv, dedicata da Francesco Sansovino a Gaspara Stampa, è ristampato il son. xiv (c. 19 a); — nel libro I delle Rime diverse di molti eccellentissimi autori ecc., Venezia, Giolito, 1545, sono le poesie i (p. 98), xv (p. 98), ix (p. 97), di cui le prime due soltanto furon ripubblicate nella seconda ristampa della medesima raccolta giolitina (Venezia, Giolito, 1549, p. 96); — nel libro ii delle Rime di diversi nobili huomini et eccellenti poeti nella lingua thoscana ecc., Venezia, Giolito, 1547 (ristampato con varianti, che però non riguardano le rime dello Stampa, nel 1548), si hanno (1) (2) [p. 376 modifica]altri nove sonetti e un madrigale: della nostra edizione i nn. xviii (c. 140 a)17, xx (c. 140 a), xxvi (c. 140 6), xxvii (c. 140 b), in (c. 141 a), xiii (c. 141 a), xix (c. 141 b), xxviii (c. 141 b), xxix (c. 142 a), v (c. 142 a);—nel libro primo delle Rime spirituali.

Venezia, al segno della Speranza, 1550, si trovano i son. xxviii (c. 29 a) e xxiv (c. 194 a); — e infine nel libro in delle Rime di diversi nobilissimi et eccellentissimi autori, Venezia, al segno del Pozzo, 1550 (Cesano), sono 19 sonetti, quelli a cui ho posto i nn. xxiii (c. 20 a), ii (c. 20 a), xxiv (c. 20 b), xiv (c. 20 b), iv (c. 21 a), xxx (c. 21 a), xvii (c. 21 b), xii (c. 21 b), xxxi tc. 22 a), xxxii (c. 22 a), xxv (c. 22 b), xxi (c. 22 b), vi (c. 23 a), vii (c. 23 a), xxxiii (c. 23 b), xxii (c. 23 b), x (c. 24 a), viii (c. 24 a), xi (c. 24 b). Non so se tra questi sonetti dello Stampa sia compreso quello che il Quadrio (Storia e ragione d’ogni poesia, II2, 262) dice trovarsi con altri d’altri autori nel seguente rarissimo opuscolo: Stanze di m. Vincenzo Quirino bellissime ecc. ad instanza di Baldassar Paventino detto il Tonante, In Venezia, per Bernardino Bindoni, s. a., di cui ho fatto ricerche infruttuose presso parecchie biblioteche.

Non inutile stimo riprodurre qui due sonetti di Lodovico Domenichi, che riguardano Baldassare Stampa, col quale il poligrafo piacentino ebbe amicizia. Tra le Rime di in. Lodovico Domevichi, In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de Ferrari, mdxliv, a c. 9 a, si trova il primo 18:

               S’ogni vostro desir il cielo acqueti,
          lo qual par che gli miei sdegni e rifiute,
          e gradisca ognor piú quella virtute,
          che farà i giorni vostri e molti e lieti;
               se natura i bellissimi secreti
          vi scopra e l’opre sue non conosciute,
          e stieno al par di voi le lingue mute
          degli antichi e novissimi poeti;
               cantate in dolci versi e vaghe rime,
          Stampa gentile, i lieti e i mesti effetti,
          ond’or il mio bel sol m’alza ed opprime.
               S’udirà poi dai nobili intelletti
          lodar il nome vostro alto e sublime,
          e darvi seggio fra gli spirti eletti.

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L’altro sonetto è in morte dello Stampa, che pare finisse precocemente la vita a Padova, dove forse attendeva ancora agli studi, e si trova tra le Rime di diversi, Venezia, Giolito, 1545, ma non tra le Rime del Domenichi. Lo riproduco dalla ristampa della raccolta giolitina del 1545, fatta nel 1549 (p. 373)19:

               Correndo il giorno tuo verso l’occaso,
          ch’a pena avea mostrato il lume al mondo,
          e giá fatto ogni primo a te secondo,
          che di gloria ed onor privo è rimaso,
               nebbia coperse il collo di Parnaso,
          che ’l tuo splendor rendea chiaro e giocondo,
          e ’l fonte d’Elicon, purgato e mondo,
          torbido venne a tanto orribil caso.
               Apollo sospirò, pianser le muse,
          e fu tal grido d’ogn’intorno udito,
          che dai cor nostri l’allegrezza escluse.
               Rimase allora ogni animo smarrito,
          e questo suon la bocca a tutti chiuse:
          Stampa caro e gentile, ove se’ito?

Anche Alessandro Campesano, dottor di leggi e rimatore bassanese, uni la sua musa mediocre a quella del Domenichi, per piangere l’immatura fine dello Stampa20:

               Invida morte, perchè il dolce Stampa
          involi a noi nel piú bel fior degli anni?
          Perché al suo vol tronchi, malvagia, i vanni
          sì tosto? e spegni cosí chiara lampa?
               Già non mi cal che nessun mai non campa
          tue frodi, che ’l morir è uscir d’affanni;
          ma che contra i miglior prima usi inganni,
          di giusto sdegno il cor arde ed avampa.

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               Questi, vivendo, avria mostrato al mondo
          la vera via, come a virtú s’ascende,
          con stil cui fora stato il tempo a scherno.
               Ma, cieco me! l’abisso alto e profondo
          e l’oscur’opre del consiglio eterno
          vile e caduca polve non comprende.

Delle rime di B. Stampa ho tentato un nuovo ordinamento. Nelle altre edizioni si segue l’ordine della ristampa Piacentini (1738), in cui precedono due sonetti delle raccolte giolitine 1545, 1549, seguono dieci poesie delle raccolte giolitine 1547, 1548, poi le diciannove della raccolta 1550, e vengono ultimi tre sonetti pubblicati dopo il Dialogo amoroso del Betussi (1543): quindi non si rispettò nemmeno l’ordine cronologico delle varie edizioni originali delle rime dello Stampa.

Considerando che queste poesie, sebbene pubblicate in tempi diversi, dovettero esser tutte scritte nel medesimo tempo, forse nel 1543b (poiché lo Stampa morì nei primi mesi del 1544), ho voluto disporle in modo da tracciare una breve storia dell’amore che l’infelice poeta vi cantò: prima le lodi alla donna amata, poi le gioie e i favori amorosi, e poi le gelosie e le angosce e il presentimento della morte. A questo gruppo ho fatto seguire le rime varie: quelle agli amici, le religiose e, ultime, le poche d’occasione.

Intorno a Collaltino e a Vinciguerra II di Cobalto rimando all’edizione del 1738, alla bibliografia raccolta nel mio studio citato su Gaspara Stampa, e a quel che ivi ne ho detto; e per le loro poesie in particolare agli studi di Augusto Serena, Collaltino da Collalto rimatore (nelle sue Pagine letterarie, Roma, Forzani e C., 1900, pp. 99-109) e La poesia della casa di Collalto, Treviso, Turazza, 1912. Per le rime di Collaltino abbiamo due sole fonti: il libro 1 delle Rime diverse già citate (Venezia, Giolito, 1545) contiene tre sonetti, quelli che nella presente edizione hanno i nn. ii (p. 349), iii (p. 350), i (p. 350); e la seconda ristampa dello stesso libro I delle Rime diverse (Venezia, Giolito, 1549) contiene gli altri otto: iv e xi (p. 185), v e vi (p. 186), viii e vii (p. 187), ix e x (p. 188). Mentre nelle edizioni precedenti queste rime son disposte nell’ordine che hanno nelle due raccolte cinquecentesche, prima quelle del 1549 e poi quelle del 1545, io ho premesso queste a quelle, con qualche spostamento: oltre che del i, del sonetto xi, che è encomiastico, e del vii, che canta la stessa donna ricordata per nome nel vi. [p. 379 modifica]

Delle rime di Vinciguerra II, le prime cinque sono tratte dal vi libro delle Rime di diversi eccellenti autori, Venezia, al segno del Pozzo, 1553, fi. 258 ¿-259 ò, e sono stampate nello stesso ordine, fuorché le prime due, che ho invertite; la canzone è tolta dalle Rime di diversi illustri signori napoletani ecc., Venezia, Giolito, 1555, p. 428 sgg.; e il sonetto ad A. G. Corso dalla seguente stampa: Stanze pastorali, | Del conte Baldesar | Castiglione e del si | gnor Cesare Gonzaga, | Con le Rime di m. Anton | Giacomo Corso. |||| Aldi filii | Con privilegio | in Vinegia m. d. liii, c. in a; nella quale è anche la risposta per le parole, del Corso, che comincia: «Cobalto, in cui del ciel scendendo in terra» (c. nr a),. da me tralasciata ri). Delle principali correzioni da me apportate al testo delle rime della Stampa e delle altre raccolte nell ’Appendice, pongo qui un elenco, avvisando il lettore che di esse alcune si trovano già nelle edizioni precedenti: non tutti però gli emendamenti in queste contenuti sono stati da me accettati, essendo alcuni di essi o erronei o ingiustificati: Nella Dedica «allegarla» corretto «allegrarla»; xiii, v. 8 «ombra» c. «opra»; xviii, 7 «piange» c. «pinge»; xxvi, 12 «tanta» c. «tanto»; xxxii, 6 «e l’altra qual» c. «e qual l’altra»; xxxv, 9 «scolpito» c. «scolpita»; xliii, 7 «i’ son» c. «e son»; lviii, 13 «pianger» c. «pinger»; lx, 4 «l’altra» c. «l’altro»; lxix, 10 «de’ nostri» c. «de’ vostri»; lxix, 14 «ho fatto» c. «ha fatto»; xcix, u «etrarmi»c. «atrarmi»^ cxiii, 8 «chi m’è» c. «che m’è»; cxxvi, 13 «al suo» c. «il suo»; cxxxix, 4 «accende» c. «accendi» per la rima; cxl, 14 «stai» c. «sta»; cxliii, 6 «date» c. «dato»; cxlix, 2 «d’arder» c. «arder»; clvi, 5 «aggrave» c. «aggreve» per la rima; clxiv, 2 «mai» c. «me»; clxvi,

    3«darmi» c. «dammi»; clxxii, 13 «vede» c. «intende» con gli altri

editori, per la rima; clxxiii, 7 «e me» c. «a me»; clxxxi, 1 «fa» c. «fe’»; clxxxi, 6 «mia» c. «mai»; cxciv, 13 «questo» c. «questa»; cxcv, 3 «questo» c. «questa»; coi, 13 «queta e sicura» c. «queto e sicuro» per la rima; con, n «e si può» c. «e’ si può»; ccix, 9 «antica ancor» c. «antico amor»; ccix, 10 «desire» c. «al desire»; ccix,

    11«fa» c. «fu»; ccxi, 8 «nè mi va» c. «nè mi vai»; ccxiv, 4 «fredda

piú» c. «freddo piú»; ccxl, 8 «che» c. «chi»; ccxlii, 61 «sonare * (1) Si trova invece nelle altre edizioni delle Rime della Stampa: nella edizione Piacentini (1738) si può vedere anche qualche poesia in lode di Collaltino (pp. xxvi, xxix). [p. 380 modifica]c. «sonare»; ccxlih, 8 «vi mostrò» c. «mi mostrò»; ccxliii, 24 «mi ricongiunge» c. «vi ricongiunge»; ccxliii, 28 «poca» c. «poco»; ccxliv, 34 «tutti» c. «tutte»; ccxliv, 42 «vinto» c. «vinta»; cclv, 8 «per darni» c. «per darne»; cclxxxii, 4 «piena» c. «pieno»; cclxxxiii, 14 «premette» c. «permette»; ccxci, 12 «pena c. «penna»; ccxciii, 8 «puote» c. «puoté»; ccxcvi, 15 «scarco» c. «carco»; ccc, 1 «partendo» c. «tornando» con gli altri editori, per la rima; cccv, 7 «pur» c. «far». Ho modificato qua e là la punteggiatura; e di qualche sonetto credo di avere in questo modo reso piú facile il senso: cito i nn. xxxii, xlviii, cx.

Nell’Appendice, parte prima, sono le correzioni: nel sonetto 11, v. 8 «tuo» c. «suo»; iv, 6 «viso» c. «vivo»; — nella parte seconda, v, 7 «suo dolore» c. «mio dolore»; xx, 3 «vi sento» c. «mi sento»; xxviii, 2 «e ’l» c. «il»; xxxiv, 10 «rei» c. «bei»; — e nella parte terza ho restituito, secondo i testi cinquecenteschi, la lezione genuina alle poesie v e vi, nelle precedenti edizioni guaste in piú luoghi.

Alle singole poesie ho apposto un titolo o un breve argomento.

II

VERONICA FRANCO

Anche delle rime della Franco ci mancano i manoscritti, fatta eccezione di qualche sonetto. Le Terze rime ebbero nel secolo xvi una sola edizione, oggi rarissima: Terze rime | di Veronica | Franca | al Serenissimo Signor | Duca di Mantova | et di Monferrato, s. 11. t. Manca, con ogni nota tipografica, l’indicazione dell’anno; ma che l’edizione, elegante, in formato di quarto e con bei caratteri corsivi, sia stata fatta nel 1575 risulta dalla dedica seguente al duca di Mantova e Monferrato, Guglielmo Gonzaga, che ristampo a complemento della presente edizione:

AL SERENISSIMO

PRENCIPE SIGNOR
E PADRON MIO
COLENDISSIMO IL SIGNOR
DUCA DI MANTOVA
E DI MONFERRATO
VERONICA FRANCA.


Se ben lontanissima corrispondenza e quasi disproporziouata proporzione si trova tra le chiarissime virtú dell’Altezza Vostra e ’l mio desiderio [p. 381 modifica]d’onoraria e degnamente servirla, sí che tutto quello, ch’io potessi fare in questa impresa, sarebbe raen ch’ombra a paragon del vero; nondimeno in quello, dove mi sono mancate le forze e i convenevoli concetti di celebrarla ed essaltarla, m’è sopravanzato l’animo d’esprimerle questo mio virtuoso, se ben impossibile desiderio, in tanto che non mi sono potuta astenere, ch’io non ne l’accertassi col debile testimonio di queste poche terze rime, che le dedico, non in modo che trattino il singoiar merito delle sue ricchissime doti, chè queste non cadono sotto la povertà del mio incapace stile, ma in maniera che, dando al suo discreto giudizio alcun leggier gusto della mia bassa musa, con questa esperienzia quasi mostrando la mia insoiíicienza, perché poi mi vaglia per buona scusa s’io non ardisco por bocca nel cielo del suo inestimabil valore, debbano sotto l’autorità del suo gloriosissimo nome comparire nella presenzia del secolo, e liberamente appresentarsele con assoluta dependenza dall’arbitrio della Vostra Altezza. La quale, conoscendo in ciò la mia brama, che non ha per fine altro che di scoprir a lei la prontezza di se stessa, gradirà, son certa, in questo minimo dono l’infinitudine dell’animo mio in riconoscer il suo merito, col tributo di quello che m’è concesso, poi ch’io non posso con quello che si converrebbe a lei. E per piú distinta significazion della mia devozione le porgo questo mio volume per man d’un mio ancor fanciullo figliuolo, quivi per adempier quest’officio da me mandato; il quale nel volto, e negli atti, e in ogni guisa d’inchinevole riverenza, meglio d’ogni altro esprimendo il mio medesimo core nella serenissima sua presenza, mi vaglia tanto piú a conciliarmi il favor della sua cortesissima grazia, in mercé della mia sviscerata osservanza e in sopplimento di quello ov’io non giungo col potere all’union degli effetti con la mia volontà, con la quale mi sono legata di perpetuo indissolubil nodo di umilissima servitú con la Sublimità Vostra.

Di Venezia, a’ 15 di novembre mdlxxv.

La ghiotta raccolta delle Terze rime ci si è conservata in pochissimi esemplari. Il Cicogna (Delle iscrizioni vetieziane, Venezia. 1842, v, 421 sgg.) ne conosceva tre: l’uno appartenuto ad Apostolo Zeno, ora nella Marciana, con qualche nota manoscritta dello stesso Zeno nel foglio anteriore di guardia, un altro appartenuto a Marco Foscarini, e il terzo del conte Pietro Leopoldo Ferri (cfr. a proposito la Biblioteca femminile italiana del Ferri medesimo, Pa dova, 1842, p. 172 sg.). Di questi tre esemplari gli ultimi due recavano il primo componimento col nome dell’autore, Marco Veniero: non cosí l’altro esemplare, che dà il capitolo come di incerto autore; ciò dimostra che la stampa delle Terze rime subi una modificazione dopo il primo foglio. Secondo il Foscarini, dei capitoli non scritti dalla Franco, vari sono gli autori; il Degli Agostini, [p. 382 modifica]seguito dal Cicogna, riteneva invece che fossero tutti da attribuire al Veniero: ciò che a me pare meno probabile.

Delle Terze rime, di cui il Graf riferí sparsamente alcuni brani nel suo studio, solo di recente si è avuta una prima ristampa: Veronica Franco, «Terze rime» e sonetti. Prima ristampa con prefazione e bibliografia a cura di Gilberto Beccari, Lanciano, Carabba, 1912 (nella collezione Scrittori nostri). Purtroppo questa ristampa fu fatta senza metodo e con non poca trascuranza: l’editore, che si direbbe avesse voluto fare una riproduzione letterale della stampa cinquecentesca, non l’ha esemplata con la necessaria diligenza, e l’ha talvolta guastata con scorrettezze (dovute anche in parte ad una cattiva revisione tipografica), pur avendo apportato al testo qualche giusto emendamento. E dei sonetti della Franco ha stampato soltanto una scelta.

Nella presente edizione invece io ho stimato opportuno radunar tutti i sonetti della Franco, che ci son pervenuti, riscontrandoli tutti direttamente, meno il xv, con le seguenti raccolte a stampa o manoscritte, da cui provengono:

1) Lettere Familiari | a diversi | della S.Veronica | Franca. | AlTl/luslriss. et Reverendiss. | Monsig. | Luigi d’Este Cardinale. s. n. t. La data di questa edizione dev’essere il 15S0, poiché del 2 agosto 1580 è la dedica al cardinale di Ferrara. Qui si trovano i sonetti a cui ho dato i nn. 1 e li, inclusi nella lettera a Enrico III re di Francia, la sola con indirizzo21. [p. 383 modifica]

2) Panegirico | nel felice dottorato | dell’Illustre, et ecce II.m0 | Sig. Gioseppe Spinelli, Digniss. | Rettor de Legisti, et | Cavalier Splendidissimo. | Raccolto da Giovanni Fratta | Gentil’/momo Veronese, et Académico Animoso. | Con Privilegio. J Stampato in Padoa, per Lorenzo Pasquati | L’anno m d lxxv22. A c. 24 b si trova un sonetto della Franco, il in della nostra edizione.

3) Rime di diversi Eccellentissimi Auttori nella morte del/’Illustre sign. Estor | Martinengo Conte di Malpaga. | Raccolte, et mandate | All’Illustre, et valoroso Colonnello il S. Francesco Martinengo suo fratello, Conte di Ma!paga | Dalla Signora Veronica Franca, s. n. t. Questa raccolta è del 1575 (cfr. Graf, op. cit., p. 328), ed è preceduta dalla seguente dedica, non mai ristampata:

All’illustre
e valoroso
COLONNELLO
IL SIGNOR FRANCESCO MARTINENGO
conte di Malpaga
VERONICA FRANCO.

Si come per avventura sarebbe temeraria impresa, s’io tentassi d’aggiunger prudenza con le mie parole al vostro valoroso spirito, consolandovi nell’acerbo caso della morte del conte Estore, vostro dolcissimo fratello; cosí non mi può essere ascritto se non a grande amore ed a gran riverenza che io procuri che resti nel mondo celebrata e famosa la memoria d’un cosí segnalato cavaliere, non pur con la mia penna umile oltre ad ogni convenevolezza, nell’abbondanza massimamente di tanti altissimi meriti, ma con quella de’ piú nobili ed elevati ingegni, che scrivano in raro ed accommodato stile l’altrui lodi. Da alcuni de’ quali avendo io ricevuto questo favore, che quello che hanno scritto in tal proposito, persuasi dall’eccellente virtú di quel nobilissimo signore e guidati dallo splendore della vostra molto illustre e meritevole famiglia, si sono contentati di spender nome d’averlo fatto a richiesta delle mie preghiere; ho voluto con questo titolo mandar a V. S. le loro bellissime composizioni, [p. 384 modifica]acciò che Ella, tanto piú confermandosi nella buona opinione della mia fede e del mio desiderio, insieme sappia a chi sentir grado nell’effetto dell’opere, quando ancora nel merito dell’intercessione non s’abbia ad aver risguardo se non a me; la qual nella preziosa corona di cosí divini intelletti pur mi sono inserita e tessuta, componendo anco io alquanti sonetti sopra cosí degno ed importante soggetto, che insieme con gli altri le mando in picciol segno della mia devozione, e del senso che io tengo comune con lei ne’ suoi dolori, se ben poi dall’allegrezze sue vivo dal suo canto lontana. Le quali nondimeno prego Nostro Signore che di continuo accresca, e che aggiunga alla degna vita di V. S. illustre con molto avvantaggio gli anni tolti al signor suo fratello morto, anzi pur vivo e rinuovato nel cielo.

Nella raccolta preparata dalla Franco hanno rime un «clariss. sig. D. V.» (verisimilmente Domenico Venier), Marco Veniero, Orsato Giustinian, Bartolomeo Zacco, Celio Magno, Orazio Toscanella ed alcuni altri. La Franco vi inserí nove sonetti (nn. iv-xii della presente edizione)23.

4) Dal Canzoniere del sig. Bartolomeo Zacco gentiluomo padovano, che contiene anche rime d’altri (^cod. marciano ital. xi, 14, già Farsetti, cc. 77 a, e 82 b), sono tratti i sonetti xm e xiv, che furon dapprima pubblicati dal Cicogna (Iscrizioni veneziane, Venezia, 1842, v, 424), il quale pubblicò anche due sonetti dello Zacco, proposta e risposta rispettivamente di quelli della Franco, che cominciano «Donna cortese ch’ogni mesto stato» e «Posto in duol tanto quanto egli è ben degno»24.

5) Il sonetto xv fu trovato in un codice miscellaneo della Biblioteca dei Serviti e pubblicato la prima volta nelle Novelle letterarie per l’anno ¡75J (Venezia, Occhi, 1757), p. 320, donde Io tolse il Cicogna (op. cit., vi, 884 sg.), da cui io l’ho riprodotto.

6) Finalmente il sonetto xvi si trova a c. 91 b di La Setnirantis Tragedia di Mvtio Manfredi II Fermo ecc., In Bergamo, per Comin Ventura, ciò Io xeni, insieme con altri di vari autori, tra cui Torquato Tasso (c. 91 a), in lode di quella tragedia25. [p. 385 modifica]

Il Cicogna (op. cit., vi, S84 sg.) pubblicò da un codice miscellaneo del Museo Correr di Venezia alcuni tratti d’un cosidetto testamento, curiosissimo, di Ludovico Ramberti, uno degli amanti della Franco (5 zener 1575); in un codicillo del quale il testatore dice che sulla sua tomba, «deposito», vuole che sia posto «el sottoscritto epitafio con versi vulgari, azzò che siano intesi da tutti, e sotto di essi sia similmente destaggià un ‘V.5 grando e un ‘ F.’in memoria che sono stati fatti dalla dottissima M. Veronica Franca». Riporto l’epitaffio:

Lodovico Ramberti

          Lettor, no son qua minga sopelio,
          seben ti vedi il mio nome in sta piera,
          perchè ’l mio corpo fu destribuio
          per le forche ordinarie de sta tera,
          che a sto modo ho volesto dar in drio
          i quarti de mio frael che za ghe giem.
          St’arca xe qua per to coinmodità:
          sti me voi dir del ben, dimelo qua.

L’epitaffio si riferisce ad una bizzarra disposizione del testamento: il Ramberti voleva diviso in quattro il suo cadavere, e che i pezzi fossero posti sulle quattro «forche ordinarie da mar»; «e questo per restituir delli quattro quarti della felice memoria del quondam mio fradello, che indebitamente despiccai con le mie proprie man da esse forche». Salvo che il testamento è apocrifo, e di conseguenza non può avere maggior autenticità l’epitaffio, attribuito a Veronica Franco (cfr. Graf, op. cit., p. 337).

L’edizione del 1575 delle Terze rime di Veronica Franco — in mancanza di manoscritti — è stata da me riprodotta fedelmente in questa ristampa, senza escludere naturalmente i sette capitoli di autore incerto (il i°solo ha il nome di Marco Veniero, offerto da qualche esemplare dell’edizione cinquecentesca). Ho dovuto riordinare interamente la punteggiatura, molto difettosa nella prima edizione e contraria spesso alla buona intelligenza dei componimenti.

Le non poche scorrettezze del testo ho tentato di emendare, e le raccolgo qui tutte (meno quelle puramente tipografiche), perché il lettore sappia se deve darmi ragione o torto: Cap. 1, v. 132 «s’offre» ho corretto in «s’opre» (per «s’apre»), come richiede la rima: la forma insolita è nel Petrarca (son. 31) ed è registrata dal [p. 386 modifica]Bembo;— II, 152 «per contento» corretto «pur contento»; — in, 35 «nobil foglie» c. «mobil foglie»; — iv, 14 «et la mia dura» c. «ed a mia dura»; — vii, 22 «del cui l’arco» c. «del cui arco»; — vii, 66 «d’arder per lei vieti ch’arda» c. «d’amor per lei» ecc.; — vii, 84 «niun» c. «in un»; — vii, 148 «tenesser» c. «tenesse»; — ix, 43 «sotto ’l son» c. «sotto ’l sol»; — x, 62 «eccetto» c. «eccesso»; — x, 72 «incauto» c. «incauta»;—xii, 33 «cagiona» c. «ragiona *; — xm, 13 «certo» c. «certa»; — xm, 51 «togli» c. «tagli»; — xm, 66 «servo» c. «serve»; — xiv, 43 «dal vostro» c. «del vostro»; — xiv, 49 «dal mio» c. «del mio»; — xiv, 62 «romar» c. «romor»; — xv, 39 «vostra» c. «nostra»; — xv, 71 «et co ’l» c. «ed io ’l»; — xv, 156 «possa» c. «posso»; — xvm, 30 «ch’umil amante» c. «ch’umil l’amante»; — xix, 96 «benigna» c. «benigno»; — xx,22«bucio» c. «buio»; — xx, 225 «di cui» c. «da cui»; — xx, 242 «pero» c. «peno», come vuole anche la rima; — xxi, 38 «inde» c. «onde»;— xxii, 67 «d’amor» c. «d’amar»; — xxii, 90 «provo» c. «prova»; — xxii, 124«saran» c. «farà»(potrebbe anche sostituirsi «faran»); — xxiii, 86 «opporsi» c. «opporti»; — xxiv, 74 «salso» c. «sasso»; — xxv, 111 «declinar» c. «declinan»; — xxv, 174 «l’assomiglia» c. «s’assomiglia»; — v. 261 «canto» c. «tanto»; — v. 314 «carne» c. «dame» (doppione di damme); — v. 413 «spada» c. «sponda»; — v. 480 «ormi» c. «orni»; — v. 527 «lungo» c. «lunga». -— Sonetto 11, v. 7 «a l’affetto» c. «a l’effetto»; — xm, v. 13 «È uman lodar» c. «l’uman lodar»; — son. xiv, v. 5 «se pur regno» c. «se pur vegno». Sono miei anche i sommari delle Terze rime (meno quello del cap. xxv) e i titoli dei sonetti.

    numero che le singole poesie hanno tra le Rime di vario argomento dell’edizione 1877: ccxlvi (son. i), ccxlvii (ii), ccxlviii (iii), ccxiix (iv), ccl (v), ccli (vi), cclii (vii), ccliii (viii), ccliv (xiv), cclv (xv), cclvi (xvii), cclvii (xvi), cclviii (xxxix), cclix (xviii), cclx (xix), cclxi (xx), cclxii (xxi), cclxiii (xxii), cclxii (xxiii), cclxv (xxiv), cclxvi (xxv), ccxlvii (xxvi), cclxviii (xxx), cclxix (xlii), cclxx (xliii), cclxxi (xxvii), cclxxii (xxviii), cclxxiii (xxix), cclxxiv (xxxi), cclxxv (xxxii), cclxxvi (xxxiii), cclxxvii (xxxvi), cclxxviii (xxxiv), cclxxix (xxxv), cclxxx (xxxvii), cclxxxi (xxxviii), cclxxxii (liii), cclxxxiii (cxc tra le poesie amorose), cclxxxiv (xl), cclxxxv (xli), cclxxxvi (xiii), cclxxxvii (xliv), cclxxx viii (xlv), cclxxxix (xlvi), ccxc (xlvii), ccxci (xlviii), ccxcii (xlix), ccxciii (l), ccxciv (li), ccxcv (lii), ccxcvi (capitolo vi), ccxcvii (canz. ii), ccxcviii (capitolo vii), ccxcix (canzone iii), ccc (son. ix), ccci (x), cccii (xi), ccciii, (xii), ccciv (liv) cccv (lv), cccvi (lvi), cccvii (lviii), cccviii (lix) cccix (lx), cccx (lxi), cccxi (lvii).

  1. Arturo Graf, Una cortigiana fra mille: Veronica Franco (in Attraverso il Cinquecento, Torino, Loescher, 1888, p. 293 sgg.). Nella monografia del Graf è intera la bibliografia sulla Franco: merita tuttavia di essere qui citato Giuseppe Tassini, Veronica Franco, celebre poetessa e cortigiana del secolo XVI, seconda edizione, Venezia, stab. tip.-lit. M. Fontana, 1888. Alle notizie compiute per ogni rispetto, date dal Graf, mi preme aggiungerne una sola, che riguarda la madre di Veronica. Il Graf (p. 296), dopo aver rilevato che Veronica non si guastò con la famiglia, per la disonesta professione che faceva, aggiunge acutamente: «Un’ultima congettura non parrà forse al tutto irragionevole, cioè che la buona mamma fosse stata a’ suoi tempi cortigiana ancor essa e, prima che mallevadrice, maestra alla figliuola». Le cose stanno proprio a questo modo. In certo Catalogo, noto agli studiosi, dove sono elencate le cortigiane di Venezia, e che dev’essere stato composto prima del 1570 e probabilmente verso il 1565, oltre l’indicazione del nome, domicilio e tariffa di V. Franco («Veronica Franca, a Santa Maria Formosa, pieza so mare, scudi 2»), troviamo infatti quest’altra nota, sfuggita al Graf e al Tassini, che riguarda la madre di lei: «Paula Franca, a Santa Maria Formosa, pieza lei medema, scudi 2».
  2. A. Salza, Madonna Gasparina Stampa secondo nuove indagini (nel Giornale storico d. letter. ital., 1913, i.xii, p. 1 sgg.), a cui rimando per la bibliografia della poetessa e per le notizie sulla sua vita.
  3. In questa riproduzione ho seguito gli stessi criteri adoperati nella collezione degli Scrittori, per ciò che riguarda la grafia. Ho corretto, dove occorreva, l’interpunzione, e tentato una sola correzione, stampando «ed a lei destinate le sue fatiche» dove la prima edizione dice: «et destinate le sue fatiche».
  4. Quello a G. I. Bonetto, a p. 130, che nella presente edizione ha il n. cclxiii.
  5. Quello a p. 173 sgg., che nella presente edizione ha il n. ccxcviii.
  6. Uno di Girolamo Parabosco (p. xxxviii), uno di Ippolita Mirtilla (p. xl), ed uno di Malatesta da Rimini (p. xli), che nella presente edizione si trovano nella prima parte dell’Appendice, rispettivamente coi numeri iii, i, iv.
  7. Alle rime della Stampa, in questa edizione, seguono quelle di Collaltino e Vinciguerra da Collabo e quelle di Baldassare Stampa, tolte dall’edizione 1738, ma non le altre in lode e in morte della poetessa. Tutti i documenti eie altre illustrazioni erudite dell’edizione della Bergalli furono tralasciati.
  8. Trovo in qualche bibliografia che questi sonetti furono anche ristampati nella Scelta nuova di rime de’ piú illustri et eccellenti poeti dell’età nostra del S. Girolamo Ruscelli, Venezia, Giacomo Simbeni, 1573. Un esemplare della Nazionale di Torino ha questo frontispizio, ma il resto dell’edizione non è se non il Sesto libro delle Rime di diversi (1553), dove i tre sonetti della Stampa vennero prima in luce. Si tratta forse di uno dei soliti ripieghi commerciali degli stampatori d’allora. Ad ogni modo, il Quadrio (II, 359) ci avverte che il Sesto libro suddetto fu nel 1573 ristampato «con titolo diverso, ma nella medesima forma». Io non ho potuto vederne altro esemplare.
  9. Così furon tolti tutti gli «et», che ho però lasciati dinanzi a «ad», «ed» e simili, dove la sostituzione dell’«ed» darebbe veramente suono cattivo: in questa limitazione, a non dire di altri, ho dalla mia l’esempio del Parini.
  10. Cfr. Elisa Minozzi, Gaspara Stampa, studio, Verona, Drucker, 1893, p. 87 sgg.
  11. Così furon tolti tutti gli «et», che ho però lasciati dinanzi a «ad», «ed» e simili, dove la sostituzione dell’«ed» darebbe veramente suono cattivo: in questa limitazione, a non dire di altri, ho dalla mia l’esempio del Parini.
  12. Cfr. Elisa Minozzi, Gaspara Stampa, studio, Verona, Drucker, 1893, p. 87 sgg.
  13. La [1] edizione ha soltanto le rime in lode della Stampa, la [iii] e la [iv] mancano di queste, e contengono invece gli altri tre gruppi.
  14. Ebbe una ristampa tra le Rime di diversi, libro II, Venezia, Giolito, 1547, p. 59, a non tener conto di qualche riproduzione fattane ai tempi nostri.
  15. Il vii è a p. 177 della edizione 1554, e ad esso la Stampa rispose con due sonetti, che tra le sue rime nella nostra edizione hanno i nn. cclxv, cclxvi; l’viii è a p. 131 della stessa edizione 1554, e ad esso la Stampa rispose con quello che nella presente edizione ha il n. cclxiv; tutti gli altri nella prima edizione stanno innanzi al canzoniere.
  16. Noto che questo sonetto accenna all’Arno e parrebbe non spettare allo Stampa; ma può essere stato scritto per incarico, in morte di donna fiorentina. Nello stesso Dialogo amoroso del Betussi, c. 37 a, c’è un altro sonetto, di Francesco Sansovino, pur esso in morte di una fiorentina.
  17. Cito la ristampa giolitina del 1548 da me veduta.
  18. In un esemplare delle Rime del Domenichl (1544), posseduto dalla Marciana (miscellanea n. 2450, op. 1) questo sonetto ha l’intitolazione Alla poetessa Stampa di mano cinquecentesca. Ma io non ritengo esatta questa indicazione, per il contenuto stesso del sonetto, nel quale, meglio che il ricordo «degli antichi e novissimi poeti», sarebbe stato opportuno quello di Saffo e dell’altre poetesse, a cui ricorsero alcuni lodatori della Stampa: chi pose quella nota manoscritta ignorava o non ricordava che oltre la poetessa c’era stato un poeta di quel medesimo nome.
  19. In un esemplare marciano di questa raccolta (93. D. 159), sul sonetto sta scritto, di mano del 500: In morte di m. Baldassare Stampa.
  20. Rime de diversi autori bassanesi ecc., Venezia, De Franceschi, 1576, p. 19.
  21. Queste Lettere della Franco hanno piú o meno evidenti affinità con le epistole delle Terze rime. Cosí, per citar le somiglianze principali, la tv (c. 10 b) è un affettuoso omaggio ad un reverendo, mandandogli «una di quelle operine»: la Franco si duole che esso abbia provato «disturbo e molestia dal mio viver intricato negli errori, e macchiato nel fango mondano»; la va (c. 14 b sg.) è diretta ad un malèdico, che l’ha insultata; nella xvi (c. 27 b sgg.) la Franco consiglia un innamorato a rendersi noto «nelle discipline e arti ingenue», il modo piú sicuro per • entrar nelle grazie di lei; la xxiv (c. 49) è scritta ad un amico che ringrazia «dell’offerta di venir a vedere il suo bel luogo»: «la qual io accetto in segnalata grazia, e me ne valerò, secondo il desiderio dell’amico dal quale depende il mio»; con la xxx (c. 61 b sg.) ringrazia un uomo cortese, che l’ha difesa assente, in luogo dove altri l’ingiuriava; la xxxxvi (c. 82 b sg.) è diretta ad un tale, a cui ella, credendolo autor d’una satira contro di lei, aveva mandato un capitolo ed un cartello di sfida, per dichiararsi lieta di saper da lui ch’egli non è autore della satira. Il poeta che scrisse poesie oltraggiose contro la Franco (né so se proprio ella se ne offendesse profondamente) pare certo che fosse Maffio Venier. Sulle poesie da lui scritte .contro la poetessa cortigiana, v. Graf, op. cit., p. 302 e 306 sg., ed ora anche Nicola Ruggieri, Maffio Venter, Udine, tip. Bosetti, 1909, p. 80 sg. A p. 8r il Ruggieri riferisce in parte un violentissimo sonetto che comincia:

    Veronica, ver’unica puttana.

  22. Il Fratta dedicò la raccolta (Padova, 12 maggio 1575) al sig. Alberto Lavezola. Vi hanno rime 31 rimatori, fra cui alcune donne, e fra gli altri Giuseppe Betussi (c. 16 a) e Baitolomeo Zacco, che fu in relazione poetica con la Franco. Per la stessa occasione si stampò un Panrgyricus, raccolta di versi latini di vari autori.
  23. Anche nelle Lettere della Franco sono alcuni accenni a questa raccolta per il Martinengo: vedi le lettere xvjii (c. 35), xxxi (c. 62 6), xxxvm (c. 71 a).
  24. Debbo la collazione di questi due sonetti alla gentilezza del dottor Roberto Cessi del R. Archivio di Stato di Venezia, che ringrazio.
  25. Il sonetto della Franco è del 1591, perché il Manfredi ringraziava con lettera da Nancy, 30 ottobre 1591, la scrittrice veneziana, della quale ignorava la morte già avvenuta. Cfr. Graf, op. cit., p. 327.