Rime (Veronica Franco)/Terze rime/VII

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VII

D’incerto autore

Un amante, non corrisposto da Veronica, si lamenta della crudeltá di lei, e la supplica umilmente di riamarlo, invocando l’aiuto d’Amore.

     Dunque l’alta beltá, ch’amica stella
con si prodiga mano in voi dispensa,
d’amor tenete e di pietá rubella?
     4Quell’alma, in cui posando ricompensa
di molt’anni l’error la virtú stanca,
dar la morte a chi v’ama iniqua pensa?
     7Lasso, e che altro a far del tutto manca
orribile ed amara questa vita,
e rovinosa in strada oscura e manca,
     10se non che sia col mal voler unita
d’una bellezza al mondo senza eguale
la forza insuperabile, infinita?
     13Ma perché da l’inferno ancor non sale
Tesifone e Megera ai nostri danni,
se scende a noi del ciel cotanto male?
     16Ben sei fanciul piú d’ingegno che d’anni,
Amor, e d’occhi e d’intelletto privo,
se ’l tuo regno abbandoni in tanti affanni.
     19Te, cui non ebbe di servir a schivo
Giove con tutta la celeste corte,
e ch’a Dite impiagar festi anco arrivo;
     22te, del cui arco il suon vien che riporte
spoglie d’innumerabili trofei,
contra chi piú resiste ognor piú forte;
     25te, cui soggetti son gli uomini e i dèi,
non so per qual destin, fugge e disprezza,
con la mia morte ne le man, costei.

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     28Ma, se contrario a quel che ’n del s’avezza,
ella sen va da le tue forze sciolta,
per privilegio de la sua bellezza,
     31a la tua stessa madre or ti rivolta,
ch’unico essempio di beltá fu tanto,
pur piagata da te piú d’una volta:
     34e, s’a lei toglie la mia donna il vanto
d’ornamento e di grazie, a lei che giova
l’esserti madre poi da l’altro canto?
     37Se vinta da costei Venere è in prova,
e se Minerva in scienzia e in virtute
a costei molto inferior si trova,
     40tanto piú scegli le saette acute:
che piú gloria ti fia di questa sola,
che di tutt’altre in tuo poter venute.
     43Per l’universo l’ali stendi, e vola
di cerchio in cerchio, Amor, e si vedrai
che questa il pregio a tutte l’altre invola;
     46me, s’al tuo imperio aggiunger la saprai,
quanto ’l tuo onor sovra i dèi tutti gio,
tanto maggior di te stesso verrai:
     49benché lo sventurato in ciò son io,
che, benché stata sia costei sicura
da l’armi ognor del faretrato dio,
     52non è stata però sempre si dura,
che non abbia ad Amor dato ricetto
per pietá nel suo sen, non per paura.
     55Com’ad ubidiente umil soggetto,
ad Amor ansioso e di lei vago
l’adito aperse del suo gentil petto;
     58quinci ’l suo desir proprio a render pago,
al suo arbitrio d’Amor Tarmi rivolse,
qual le piacque a fermar solingo e vago:
     61sí che, dovunque saettando colse
col doppio sol di quei celesti lumi,
a sé gran copia d’amadori accolse,

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     64e con leggiadri e candidi costumi
dilettò ’l mondo in guisa, che la gente
d’amor per lei vien ch’arda e si consumi.
     67Gran pregio, in sé tener unitamente
rara ilei corpo e singoiar beltate
con la virtú perfetta de la mente:
     70di cosí doppio ardor l’alme infiammate
senton lor foco di tal gioia pieno,
che, quanto egli è maggior, piú son beate.
     73Anch’io lo ’ncendio, che mi strugge il seno,
sempre piú bramerei che ’n tale stato
s’augumentasse e non venisse meno,
     76s’io non fossi, né so per qual mio fato,
in mille espresse ed angosciose guise
da iei, miser, fuggito e disprczzato:
     79ché, se ’l trovar l’altrui voglie divise
da le nostre in amor, è di tal doglia,
che restati le virtú del cor conquise.
     82quanto convien ch’io lagrimi e mi doglia
di vedermi aborrir con quello sdegno,
che di speme e di vita in un mi spoglia?
     85E, s’io mi lagno, e se di pianto pregno
porto ’l cor, che ’l duol suo sfoga per gli occhi,
miser qual io d’Amor non ha ’l gran regno.
     88Non basta che Fortuna empia in me scocchi
tanti colpi, ch’altrui mai non aviene
che ’n questa vita un si gran numer tocchi;
     91ché sospirar e pianger mi conviene
di ciò, che la mia donna, fuor d’ogni uso,
al mio strazio piú cruda ognor diviene;
     94e s’io, del pianto il viso smorto infuso,
del cielo e de le stelle mi richiamo,
ed or Amor, or lei gridando accuso,
     97che poss’io far, se, in premio di quant’amo,
giunto da l’altrui orgoglio a tal mi veggo,
che la morte ancor sorda al mio mal chiamo?

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     100E col pensier, ond’io vaneggio, or chieggo
d’Amor aita, ed or per altra strada
sempre invano al mio scempio, oimè, proveggo.
     103Ma, poi che’l ciel destina, e cosí vada,
che per sicura e dilettosa via,
dove ’l ben trovan gli altri, io péra e cada,
     106saziati del mio mal, fortuna ria;
poi, di me quando sarai stanca e sazia,
qual tuo gran pregio e qual acquisto fia?
     109E tu, Amor, dentro e fuor mi struggi e strazia,
ché tanto m’è 1 mio affanno di contento,
quant’ei l’orgoglio di madonna sazia.
     112Ben ai successi de le cose intento,
di lei m’assale immoderata téma,
che ’n lei vendichi ’l cielo il mio tormento.
     115Questo fa in parte la mia gioia scema,
anzi, s’io voglio raccontar il vero,
son sempre oppresso da una doglia estrema:
     118ché, se meco madonna usasse impero,
gratissimo il servirla mi saria
con affetto di cor vivo e sincero;
     121ma, che invece di spender signoria,
a dilettar la circostante turba
mi strazie sotto acerba tirannia,
     124questo m’afflige l’animo, e mi turba.
Né, per le mie querele e i miei lamenti,
l’opera incominciata ella disturba,
     127ma, quasi mar nei procellosi venti,
nel mio chieder mercé via piú s’adira,
e cela di pietá gli occhi suoi spenti:
     130da me torcendo altrove i lumi gira,
e gran materia è di sua crudeltate
quanto per me si lagrima e sospira.
     133O donna, pregio de la nostra etate,
anzi di tutti i secoli, se ’n voi
non guastasse l’orgoglio la beltate.

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     136ond’avvien che’l mio amor cosí v’annoi?
E, s’a morir davanti non vi vengo,
ancora offesa vi chiamate poi:
     139quanto faccio, e di quanto ch’io m’astengo,
di me le vostre voglie a render paghe,
vi spiace, e merto di vostr’odio ottengo.
     142Ma, perché ’i vostro sdegno ognor iti’ impiaghe,
dolci son di quel volto le percosse,
e de le vostre man candide e vaghe.
     145Qualunque affetto in voi giamai si mosse,
tutto fate con grazia: de’ vostri atti
chiunque il dotto e buon maestro fosse.
     148Quai tenesse con voi natura patti,
ancor de l’ire vostre e de l’offese
tutti gli uomini restan sodisfatti.
     151Farvi perfetta a tutte prove intese
l’influsso, donator d’ogni eccellenza,
e benigno la man verso voi stese:
     154quinci del ciel l’altissima potenza
si vede in molti effetti discordanti,
c’han di virtute in voi tutti apparenza.
     157Oh che dolci, oh che cari e bei sembianti,
ch’alte maniere quelle vostre sono,
da farvi i dèi venir qua giuso amanti!
     160E se, coni’io pur volentier ragiono
de le grazie, che ’I ciel tante in voi pose
con singoiar, non piú veduto dono,
     163non mi teneste d’ogni parte ascose
quelle vostre divine e rare parti,
di che vostra persona si compose,
     166non fóran si angosciosi da me sparti
sospiri, né di lagrime vedresti
svampando, cor misero, innondarti.
     169Ma, dond’avien che ’n me, lasso, si desti
la speme, che per prova intendo come
faccia sempre i miei di piú gravi e mesti?

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     172E pur chiamando di mia donna il nome,
vera, unica al mondo eccelsa dea,
convien ch’a lei mi volga, e ch’io la nome.
     175Dch, non mi siate cosí iniqua e rea,
che ’l mio mal sia ’l ben vostro e che m’ancida
quella vostra beltá, che gli altri bea!
     178Ma quell’Amor, che v’ha tolto in sua guida,
e che tien nel cor vostro il suo bel seggio,
la crudeltá per me da voi divida;
     181ch’io piangendo umilmente ancor vel chieggio.