Rime (Veronica Franco)/Terze rime/VIII

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Risposta della signora Veronica Franca.

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Risposta della signora Veronica Franca.
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VIII

Risposta della signora Veronica Franca

Veronica risponde dicendosi ancor soggetta ad uomo indegno, che le fa trascurare ogni altro amante. Forse un giorno, libera dal giogo, verrá a chi ora la supplica invano.

     Ben vorrei fosse, come dite voi,
ch’io vivessi d’Amor libera e franca,
non còlta al laccio, o punta ai dardi suoi;
     4e, se la forza in ciò d’assai mi manca,
da resister a Tarmi di quel dio,
che ’i cieio e ’l mondo e tin gli abissi stanca,
     7ch’ei s’annidasse fora ’l desir mio
dentro’l mio cor, in modo ch’io’l facessi
non repugnante a quel che piú desio.
     10Non che sovra lui regno aver volessi,
ché folle a imaginarlo sol sarei,
non che ch’un si gran dio regger credessi;
     13ma da lui conseguir in don vorrei
che, innamorar convenendomi pure,
fosse ’l farlo secondo i pensier miei.
     16Ché, se libere in ciò fosser mie cure,
tal odierei, ch’adoro; e tal, ch’io sdegno,
con voglie seguirei salde e mature.
     19E, poi ch’Amor anch’io biasmar convegno,
imaginando non si troveria
cosa piú ingiusta del suo iniquo regno.
     22Egli dal proprio ben l’alme desvia;
e, mentre indietro pur da ciò ti tira,
nel precipizio del tuo mal t’invia.
     25E, se ’l cor vostro in tanto affanno ei gira,
credete che per me certo non meno,
sua colpa, si languisce e si sospira;

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     28e, se voi del mio amor venite meno
(noi so, ma ’l credo), anch’io d’un crudel angue
soffro al cor gli aspri morsi e ’I rio veneno.
     31Cosi, quanto per me da voi si langue,
vedete ristorato con vendetta
de le mie carni e del mio infetto sangue.
     34E, se ’l mio mal vi spiace, e non diletta,
anch’io ’l vostro non bramo, e quel ch’io faccio
contra voi ’l fo da l’altrui amor costretta;
     37benché, s’oppressa inferma a morte giaccio,
coni’è ch’a voi recar io possa aita
nel martir, ch’entro grido e di fuor taccio?
     40Voi, s’a lagnarvi il vostro duol v’invita
meco, nel mio languir soverchio impietra
e rende un sasso di stupor mia vita:
     43via piú nel cor quella doglia penètra.
che raggela le lagrime nel petto,
e Puom, qual Niobe, trasfigura in pietra.
     4611 vostro duol si può chiamar diletto,
poiché parlando meco il disfogate,
del mio, ch’ai centro il cor chiude, in rispetto.
     49Io vi rispondo ancor, se mi parlate;
ma le preghiere mie supplici il vento
senza risposta ognor se l’ha portate,
     52se pur ebbi mai tanto d’ardimento,
che in voce o con inchiostro addimandassi
qualche mercede al grave mio tormento.
     55E cosí portar gli occhi umidi e bassi
convengo, e converrò per lungo spazio,
se morte al mio dolor non chiude i passi.
     58Del mio amante non dico; ché ’l mio.strazio
è ’l dolce cibo, ond’ei mentre si pasce
divien nel suo digiun manco ognor sazio.
     61E dal suo orgoglio pur sempre in me nasce
novo desio d’appagar le sue voglie,
ch’unqua non vien che riposar mi lasce;

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     64ma dal mio nodo Amor l’arretra e scioglie:
forse con lui fa un’altra donna quello,
ch’egli fa meco; e qual dá, tal ritoglie.
     67Cosí di quanto è ’l mio desir rubello
ai desir vostri, a la medesma guisa
ne riporto supplizio acerbo e fello.
     70Fors’ancor voi del vostro amor conquisa
altra donna sprezzate, e con la mente
dal piacerle v’andate ognor divisa;
     73e, s’a lei sète ingrato e sconoscente,
in suo giusto giudizio Amor decide
ch’un’altra si vi scempia e vi tormente.
     76Fors’anco Amor del comun pianto ride,
e, per far lagrimar piú sempre il mondo,
l’altrui desir discompagna e divide;
     79e, mentre che di ciò si fa giocondo,
de le lagrime nostre il largo mare
sempre piú si fa cupo e piú profondo:
     82ché, s’uom potesse a suo diletto amare,
senza trovar contrarie voglie opposte,
l’amoroso piacer non avria pare.
     85E, se tai leggi fúr dal destili poste,
perché ne la soverchia dilettanza
al ben del cielo il mondan non s’accoste,
     88tant’è piú’l mio dolor, quant’ho in usanza
d’innamorarmi e di provar amando
quest’amata in amor disagguaglianza.
     91Ben quanto a Tesser mio vo ripensando,
veggo che la fortuna mi conduce
ove la vita ognor meni affannando;
     94e, se potessi in ciò prender per duce
quella ragion, ch’or, da l’affetto vinta.
d’Amor sotto l’imperio si riduce,
     97sarebbe nel mio cor la fiamma estinta
de l’altrui foco, e di quel fora in vece
del vostro l’alma ad infiammarsi accinta.

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     100E, se l’ordine a me mutar non lece,
s’a disfar o corregger quel non viene,
ch’o ben o mal una volta il ciel fece.
     103posso bramar che chi cinta mi tiene
d’indegno laccio in libertá mi renda,
si ch’io mi doni a voi, come conviene:
     106ma, ch’altro in ciò fuor del desir io spenda,
e questo ancor con non picciola noia,
non è che piú da voi, signor, s’attenda.
     109Ben sarebbe compita la mia gioia,
s’io potessi cangiar nel vostro amore
quel ch’io altrui con diletto m’annoia.
     112A voi darei di buona voglia il core,
e, dandol, crederei riguadagnarlo
nel merito del vostro alto valore:
     115cosi verrei d’altrui mani empie a trarlo,
e in luogo di conforto e di salute
aventurosamente a ben locarlo.
     118Anch’io so quanto vai vostra virtute,
e de le rare eccellenti vostr’opre
molte sono da me state vedute.
     121Chiaro il vostro valor mi si discopre,
e s’io non vengo a dargli ricompensa,
Amor non vuol che tanto ben adopre.
     124Com’io’l potessi far, da me si pensa;
e, se, dov’al desio manca il potere,
il buon animo i inerti ricompensa,
     127che v’acquetiate meco è ben dovere:
forse ch’a tempo di miglior ventura
ve ne farò buon effetto vedere.
     130Tra tanto Tesser certo di mia cura
conforto sia, ch’ai vostro dolor giovi,
e mi faccia stimar da voi non dura,
     133fin che libera un giorno io mi ritrovi.