Rime (Veronica Franco)/Terze rime/XIII

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Della signora Veronica Franca

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Della signora Veronica Franca
Terze rime - XII Terze rime - XIV
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XIII

Della signora Veronica Franca

La donna disfida a morte l’amante, che è con lei corrucciato; tuttavia, s’egli cercherá pace, s’azzufferá si con lui, ma nelle voluttuose risse d’amore.

     Non piú parole: ai fatti, in campo, a Tarmi,
ch’io voglio, risoluta di morire,
da si grave molestia liberarmi.
     4Non so se ’l mio «cartel» si debba dire,
in quanto do risposta provocata:
ma perché in rissa de’ nomi venire?
     7Se vuoi, da te mi chiamo disfidata;
e, se non, ti disfido; o in ogni via
la prendo, ed ogni occasion m’è grata.
     10II campo o Tarmi elegger a te stia,
ch’io prenderò quel, che tu lascerai;
anzi pur ambo nel tuo arbitrio sia.
     13Tosto son certa che t’accorgerai
quanto ingrato e di fede mancatore
fosti e quanto tradito a torto m’hai.
     16E, se non cede Tira al troppo amore,
con queste proprie mani, arditamente
ti trarrò fuor del petto il vivo core.
     19La falsa lingua, ch’in mio danno mente,
sterperò da radice, pria ben morsa
dentro ’l palato dal suo proprio dente;
     22e, se mia vita in ciò non lía soccorsa,
pur disperata prenderò in diletto
d’esser al sangue in vendetta ricorsa;
     25poi col col tei medesmo il proprio petto,
de la tua occision sazia e contenta,
forse aprirò, pentita de l’effetto.

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     28Or, mentre sono al vendicarmi intenta,
entra in steccato, amante empio e rubello,
e qualunque armi vuoi tosto appresenta.
     31Vuoi per campo il segreto albergo, quello
che de l’amare mie dolcezze tante
mi fu ministro insidioso e fello?
     34Or mi si para il mio letto davante,
ov’in grembo t’accolsi, e ch’ancor Torme
serba dei corpi in sen l’un l’altro stante.
     37Per me in lui non si gode e non si dorme,
ma ’l lagrima! de la notte e del giorno
vien che in fiume di pianto mi trasforme.
     40Ma pur questo medesimo soggiorno,
che fu de le mie gioie amato nido,
dov’or sola in tormento e ’n duol soggiorno,
     43per campo eleggi, accioch’altrove il grido
non giunga, ma qui teco resti spento,
del tuo inganno ver’ me, crudel infido:
     46qui vieni, e pien di pessimo talento
accomodato al tristo officio porta
ferro acuto e da man ch’abbia ardimento.
     49Quell’arme, che da te mi sará pòrta,
prenderò volentier, ma piú, se molto
tagli, e da offender sia ben salda e corta.
     52Dal petto ignudo ogni arnese sia tolto,
al fin ch’ei, disarmato a le ferite,
possa ’l valor mostrar dentro a sé accolto.
     55Altri non s’impedisca in questa lite,
ma da noi soli due, ad uscio chiuso,
rimosso ogni padrin, sia diffinita.
     58Quest’è d’arditi cavalier buon uso,
ch’attendon senza strepito a purgarsi,
se si senton l’onor di macchie infuso:
     61cosi o vengon soli ad accordarsi,
o, se strada non trovano di pace,
pòn del sangue a vicenda saziarsi.

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     64Di lai modo combatter a me piace,
e d’acerba vendetta al desir mio
questa maniera serve e sodisface.
     67Benché far del tuo sangue un largo rio
spero senz’alcun dubbio, anzi son certa,
senza una stilla spargerne sol io;
     70ma, se da te mi sia la pace offerta?
se la via prendi, l’armi poste in terra,
a le risse d’amor del letto aperta?
     73Debbo continuar teco anco in guerra,
poi che, chi non perdona altrui richiesto,
con nota di viltá trascorre ed erra?
     76Quando tu meco pur venissi a questo,
per aventura io non mi partirei
da quel ch’è convenevole ed onesto.
     79Forse nel letto ancor ti seguirei,
e quivi, teco guerreggiando stesa,
in alcun modo non ti cederei:
     82per soverchiar la tua si indegna offesa
ti verrei sopra, e nel contrasto ardita,
scaldandoti ancor tu ne la difesa,
     85teco morrei d’egual colpo ferita.
O mie vane speranze, onde la sorte
crudel a pianger piú sempre m’invita!
     88Ma pur sostienti, cor sicuro e forte,
e con l’ultimo strazio di quell’empio
vendica mille tue con la sua morte;
     91poi, con quel ferro ancor tronca il tuo scempio.