Rime (Veronica Franco)/Terze rime/XVI

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Della signora Veronica Franca

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Della signora Veronica Franca
Terze rime - XV Terze rime - XVII
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XVI

Della signora Veronica Franca

Ad un malèdico, che l’ha con suoi versi oltraggiata, risponde a lungo, e ribatte le ingiurie, che colpivano la condizione di lei.

     D’ardito cavalier non è prodezza
(concedami che ’l vero a questa volta
io possa dir, la vostra gentilezza),
     4da cavalier non è, ch’abbia raccolta
ne l’animo suo invitto alta virtute,
e che a l’onor la mente abbia rivolta,
     7con armi insidiose e non vedute,
a chi piú disarmato men sospetta,
dar gravi colpi di mortai ferute.
     10Men ch’agli altri ciò far poi se gli aspetta
contra le donne, da natura fatte
per l’uso, che piú d’altro a Tuoni diletta:
     13imbecilli di corpo, ed in nulla atte
non pur a offender gli altri, ma se stesse
dal difender col cor timido astratte.
     16Questo doveva far che s’astenesse
la vostra man da quelfaspre percosse,
ch’ai mio feminil petto ignudo impresse.
     19Io non saprei giá dir onde ciò fosse,
se non che fuor del lato mi traeste
Tarmi vostre del sangue asperse e rosse.
     22Spogliata e sola e incauta mi coglieste,
debil d’animo, e in armi non esperta,
e robusto ed armato m’offendeste;
     25tanto ch’io stei per lungo spazio incerta
di mia salute; e fu da me tra tanto
passion infinita al cor sofferta.

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     28Pur finalmente s’è stagnato il pianto,
e quella piaga acerba s’è saldata,
che da l’un mi passava a l’altro canto.
     31Quasi da pigro sonno or poi svegliata,
dal cansato periglio animo presi,
benché femina a molli opere nata;
     34e in man col ferro a essercitarmi appresi,
tanto ch’aver le donne agil natura,
non men che l’uomo, in armeggiando intesi:
     37perché ’n ciò posto ogni mia industria e cura,
mercé del ciel, mi veggo giunta a tale,
che piú d’offese altrui non ho paura.
     40E, se voi dianzi mi trattaste male.
fu gran vostro diffetto, ed io dal danno
grave n’ho tratto un ben, che molto vale.
     43Cosi nei casi avversi i savi fanno,
che ’l lor utile espresso alfin cavare
da quel, che nuoce da principio, sanno;
     46e cosí ancor le medicine amare
rendon salute; e ’l ferro e ’l foco s’usa
le putrefatte piaghe a ben curare:
     49benché non serve a voi questa per scusa,
che m’offendeste non giá per giovarmi,
e ’l fatto stesso parla e si v’accusa.
     52Ed io, poi che ’l ciel vòlse liberarmi
da si mortai periglio, ho sempre atteso
a l’essercizio nobile de l’armi,
     55si ch’or, animo e forze avendo preso,
di provocarvi a rissa in campo ardisco,
con cor non poco a la vendetta acceso.
     58Non so se voi stimiate lieve risco
entrar con una donna in campo armato;
ma io, benché ingannata, v’avvertisco
     61che ’l mettersi con donne è da l’un lato
biasmo ad uom forte, ma da l’altro è poi
caso d’alta importanza riputato.

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     64Quando armate ed esperte ancor siam noi,
render buon conto a ciascun uom potemo,
ché mani e piedi e core avem qual voi;
     67e, se ben molli e delicate semo,
ancor tal uom, ch’è delicato, è forte;
e tal, ruvido ed aspro, è d’ardir scemo.
     70Di ciò non se ne son le donne accorte;
che, se si risolvessero di farlo,
con voi pugnar porian fino a la morte.
     73E per farvi veder che ’l vero parlo,
tra tante donne incominciar voglio io,
porgendo essempio a lor di seguitarlo.
     76A voi, che contra tutte sète rio,
con qual’armi volete in man mi volgo,
con speme d’atterrarvi e con desio;
     79e le donne a difender tutte tolgo
contra di voi, che di lor sète schivo,
si ch’a ragion io sola non mi dolgo.
     82Certo d’un gran piacer voi sète privo,
a non gustar di noi la gran dolcezza;
ed al mal uso in ciò la colpa ascrivo.
     85Data è dal ciel la feminil bellezza,
perch’ella sia felicitate in terra
di qualunque uom conosce gentilezza.
     88Ma dove ’l mio pensier trascorre ed erra
a ragionar de le cose d’amore,
or ch’io sono in procinto di far guerra?
     91Torno al mio intento, ond’era uscita fuore,
e vi disfido a singoiar battaglia:
cingetevi pur d’armi e di valore.
     94vi mostrerò quanto al vostro prevaglia
il sesso femminil: pigliate quali
volete armi, e di voi stesso vi caglia,
     97ch’io vi risponderò di colpi tali,
il campo a voi lasciando elegger anco,
ch’a questi forse non sentiste eguali.

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     100Mal difender da me potrete il fianco,
e stran vi parrá forse, a offenderne uso,
da me vedervi oppresso in terra stanco:
     103cosi talor quell’uom resta deluso,
ch’ingiuria gli altri fuor d’ogui ragione,
non so se per natura, o per mal uso.
     106Vostra di questa rissa è la cagione,
ed a me per difesa e per vendetta
carico d’oppugnarvi ora s’impone.
     109Prendete pur de l’armi omai l’eletta,
ch’io non posso soffrir lunga dimora,
da lo sdegno de l’animo costretta.
     112La spada, che’n man vostra rade e fora,
de la lingua volgar veneziana,
s’a voi piace d’usar, piace a me ancora:
     115e, se volete entrar ne la toscana,
scegliete voi la seria o la burlesca,
ché l’una e l’altra è a me facile e piana.
     118Io ho veduto in lingua selvaghesca
certa fattura vostra molto bella,
simile a la maniera pedantesca:
     121se voi volete usar o questa o quella,
ed aventar, come ne l’altre fate,
di queste in biasmo nostro le quadrella,
     124qual di lor piú vi piace, e voi pigliate,
ché di tutte ad un modo io mi contento,
avendole perciò tutte imparate.
     127Per contrastar con voi con ardimento,
in tutte queste ho molta industria speso:
se bene o male, io stessa mi contento;
     130e ciò sará dagli altri ancora inteso,
e ’l saperete voi, che forse vinto
cadrete, e non vorreste avermi offeso.
     133Ma, prima che si venga in tal procinto,
quasi per far al gioco una levata,
non col ferro tagliente ancora accinto,

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     136de la vostra canzone, a me mandata,
il principio vorrei mi dichiaraste,
poi che l’opera a me vien indrizzata.
     139«Verunica» e’l restante mi chiamaste,
alludendo a Veronica mio nome,
ed al vostro discorso mi biasmaste;
     142ma al mio dizzionario io non so come
«unica» alcuna cosa propriamente
in mala parte ed in biasmar si nome.
     145Forse che si direbbe impropriamente,
ma l’anfibologia non quadra in cosa
qual mostrar voi volete espressamente.
     148Quella, di cui la fama è gloriosa,
e che ’n bellezza od in valor eccelle,
senza par di gran lunga virtuosa,
     151«unica» a gran ragion vien che s’appelle;
e l’arte, a l’ironia non sottoposto,
scelto tra gli altri, un tal vocabol dielle.
     154L’unico in lode e in pregio vien esposto
da chi s’intende; e chi parla altrimenti
dal senso del parlar sen va discosto.
     157Questo non è, signor, fallo d’accenti,
quello, in che s’inveisce, nominare
col titol de le cose piú eccellenti.
     160O voi non mi voleste biasimare,
o in questo dir menzogna non sapeste.
Non parlo del dir bene e del lodare,
     163ché questo so che far non intendeste;
ma senz’esser offeso da me stato,
quel che vi corse a l’animo scriveste,
     166altrui volendo in ciò forse esser grato;
benché me non ingiuria, ma se stesso,
s’altri mi dice mal, non provocato.
     169E ’l voler oscurar il vero espresso
con le torbide macchie degli inchiostri
in buona civiltá non è permesso;

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     172e spesso avien che ’l mal talento uom mostri,
giovando in quello onde piú nuocer crede:
essempi in me piú d’una volta mostri,
     175sí come in questo caso ancor si vede,
che voi, non v’accorgendo, mi lodate
di quel ch’ai bene ed a la virtú chiede.
     178E, se ben «meretrice» mi chiamate,
o volete inferir ch’io non vi sono,
o che ve n’en tra tali di lodate.
     181Quanto le meretrici hanno di buono,
quanto di grazioso e di gentile,
esprime in me del parlar vostro il suono.
     184Se questo intese il vostro arguto stile,
di non farne romor io son contenta,
e d’inchinarmi a voi devota, umile;
     187ma, perch’al fin de la scrittura, intenta
stando, che voi mi biasimate trovo,
e ciò si tocca e non pur s’argomenta,
     190da questa intenzion io mi rimovo,
e in ogni modo question far voglio,
e partorir lo sdegno ch’entro covo.
     193Apparecchiate pur l’inchiostro e’l foglio,
e fatemi saper senz’altro indugio
quali armi per combatter in man toglio.
     196Voi non avrete incontro a me rifugio,
ch’a tutte prove sono apparecchiata,
e impazientemente a l’opra indugio:
     199o la favella giornalmente usata,
o qual vi piace idioma prendete,
che ’n tutti quanti sono essercitata;
     202e, se voi poi non mi risponderete,
di me dirò che gran paura abbiate,
se ben cosí valente vi tenete.
     205Ma, perché alquanto manco dubitiate,
son contenta di far con voi la pace,
pur ch’una volta meco vi proviate:
     208fate voi quel, che piú vi giova e piace.