Rime (Veronica Franco)/Terze rime/XXI

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Della signora Veronica Franca

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Della signora Veronica Franca
Terze rime - XX Terze rime - XXII
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XXI

Della signora Veronica Franca

Scrive all’amante, da cui s’è allontanata: incauta, che senza di lui non ha un momento di pace.

     Io dicea: — Mio cor, se ciò mi fanno
l’armi mie proprie, quelle, onde mi punge
la fortuna crudel, che mi faranno? —
     4S’io stessa, col fuggir dal mio ben lunge,
sento che ’l duol via piú mi s’avvicina,
che la partenza mia mel ricongiunge;
     7al mio languir contraria medicina
certo avrò preso al vaneggiar del core,
che per misera strada m’incamina.
     10Lassa, or mi pento del commesso errore,
anzi non mossi cosí tosto il passo
dal dolce loco, ov’abita ’l mio amore,
     13ch’io dissi: — Oimè! dunque è pur ver ch’io lasso
quella terra e quell’acque, ove ’l mio sole
di splendor rende ogni altro lume casso? —
     16E, se ridir potessi le parole,
che volgendomi indietro al caro suolo
dissi, qual chi lasciar ciò ch’ama suole.
     19vedrei gli augelli ancor con lento volo
seguirmi ad ascoltar il mio lamento,
alternando in pia voce il mio gran duolo;
     22vedrei qual giá fermarsi a udirmi ’l vento,
e quetar le procelle, e i boschi e i sassi
moversi a la pietá del mio tormento.
     25Ma per troppo gridar afflitti e lassi
sono i miei spirti, onde giá i pesci e Tonde
le mie miserie a meco pianger trassi.

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     28Tanta rena non han d’Adria le sponde.
quante volte il suo nome allor chiamai,
com’or qui ’l chiamo, ov’Eco sol risponde.
     31Co’sospiri arsi e col pianto bagnai
l’amate spoglie, e di lui in vece accolte
al seno me le strinsi e le basciai,
     34dicendo: — O spoglie, che giá foste avvolte
intorno a quelle membra, che da Marte
sembrano in forma di Narciso tolte;
     37se ’l ciel mi riconduce in quella parte
onde stolta parti’, non sará mai
che quinci ’l fermo piè volga in disparte. —
     40Non fu pietra né pianta, ov’io passai,
che non piangesse meco, e forse allora
non mi dicesse: —Folle! ove ne vai? —
     43Dal cerchio estremo, ove fan la dimora
scintillando le stelle, certamente
meco pianger mostrár la notte ancora.
     46Ben vidi ’l sol levar chiaro e lucente;
ma, perché gli occhi ad abbagliarmi e ’l core
un piú bel lume impresso avea la mente,
     49scorso del sol mi parve lo splendore;
o fu, forse, ch’udendo ’l mio gran pianto,
anch’ei si scolori del mio dolore.
     52Oh com’è privo d’intelletto, e quanto
colui s’inganna, che nel patrio nido
viver può lieto col suo bene a canto,
     55e va cercando or l’uno or l’altro lido,
pensando forse che la lontananza

ai colpi sia d’Amor rifugio fido!
     58Fugga pur l’uom, se sa: la rimembranza
del caro obbietto sempre gli è d’intorno,
anzi porta in cor viva la sembianza.
     61S’io veggo l’alba a noi menar il giorno,
mirando i fiori e le vermiglie rose,
che le cingon la fronte e ’l crin adorno,

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     64— Tal — dico, — è ’l mio bel viso, in cui ripose
tutti i suoi doni il cielo, e la natura
la sua eccellenza piú ch’altrove espose. —
     67Poi, quando scorgo per la notte oscura
accendersi lá su cotante stelle.
Amor, ch’è meco, si m’afferma e giura
     70che quelle luci in cielo eterne e belle
tante non son, quante virtú in colui,
che poi crudo del sen l’alma mi svelle.
     73E, per far i miei di piú tristi e bui,
dal mio raggio lontan, sempre al cor vivo
ho ’l sole ardente, onde pria accesa fui:
     76al qual piangendo e sospirando scrivo.