Rime (Andreini)/Capitolo II

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Capitolo II

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Sonetto CXLI Madrigale XCVI

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Cap. II. con ogni terzo verso del Petrarca.


D’
Amor, di lui, che ’l cor mi strugge, e sface

Doler mi voglio con pietosi accenti
     Hor che ’l Cielo, e la Terra, e ’l vento tace.

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Alato Arciero (ohime ) perche consenti,
     Che quel, che ’n terra adoro unquà non degni
     Gli alti pensieri, e i miei sospiri ardenti?
Se di lagrime son bagnati, e pregni
     Questi occhi miei, anzi miei vivi fonti
     Tù l’ vedi Amor, che tal arte m’insegni.
Sola trà queste Valli, e questi Monti
     Scorro vagando, e sospirando dico
     O passi sparsi, ò pensier vaghi, e pronti.
Io chiamo l’empio mio dolce nemico;
     E gli rimembro ad alta voce, come
     Proverbio ama chi t’ama è fatto antico.
Per lui, le cui maniere, il viso, e ’l nome
     Porto nel core hò tanti affanni, ch’io
     Non hò tanti capelli in queste chiome.
Nel procelloso Mar del pianto mio
     Spinta dal vento di caldi sospiri
     Passa la Nave mia colma d’oblìo.
Deh quando havran mai fine i miei martiri,
     Se à schiera à schiera (ohime) nascer li veggio
     Ove, ch’io posi gli occhi lassi, ò giri?
Così corro al mio fin, ne me n’avveggio,
     E perche i giorni miei sien crudi, e rei
     Il mal mi preme, e mi spaventa il peggio.
Quant’io v’ami ò mio Sol mostrar vorrei ,
     Ma senza prove ò spirto di mia vita
     Non vedete voi ’l cor ne gli occhi miei?
O miseria d’Amor sola e ’nfinita,
     Fuggo me stessa per seguir altrui;
     E bramo di perir, e chieggio aìta.
Conosco ben, ch’io non son più qual fui.
     Languisco, e moro; e sol questo m’avviene
     Per mirar la sembianza di colui.

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Ei non mi danna, e non mi trahe di pene;
     Nè si mostra al mio mal crudo, ò pietoso,
     Ma pur come suol far trà due mi tene.
Così lo stato mio sempr’è dubbioso;
     E se scoprirli il mio tormento bramo
     Tanto gli hò à dir, che ’ncominciar non oso.
Io pur son presa come pesce à l’hamo,
     O come Damma da veloci cani ,
     O come novo uccello al visco in ramo.
Quanto sièno i tuo’ colpi acerbi, e strani,
     E quanto ardenti sièn le tue facelle
     Amore io ’l sò, che ’l provo à le tue mani.
Nemica destra il cor mi parte, e svelle
     S’avvien, ch’i’ veggia per mia fiera sorte
     Torcer da me le mie fatali stelle.
Romita Valle del mio mal consorte,
     E voi fronzute selve, e cavi sassi
     Quante volte m’udiste chiamar morte?
Com’Aspe al mio parlar quel crudo stassi,
     E pur lo prego, e vado notte, e giorno
     Perdendo inutilmente tanti passi.
Io deverei fuggir quel viso adorno;
     Ma seguon gli occhi il lor vivace lume,
     Et io, che son di cera al foco torno.
Havrai Fera crudel sol per costume
     Di goder del mio duolo, e trarmi sempre
     De gli occhi tristi un doloroso fiume?
Sostener de’ miei guai le dure tempre,
     E l’alterezza tua soffrir tacendo
     Per me non basto, e par, ch’io me ne stempre.
Ahi pur convien, ch’io mi disfaccia ardendo
     Seguendo ogn’hor la ’ncominciata impresa,
     Ond’hò già molto amaro, e più n’attendo.

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Da un’amoroso tarlo hò l’alma offesa,
     E mi sento morire, e non mi giova
     Nasconder, nè fuggir, nè far difesa.
Non è chi al pianto mio si pieghi, ò smova,
     Ed a gli affanni miei son congiurate
     Le stelle, e ’l Cielo, e gli elementi à prova.
O chiare luci, che le mie ’nfiammate,
     O de’ pensieri miei porto felice
     Di me vi dolga, e vincavi pietate.
Vivrò misera me sempre infelice?
     Sì, che sperar altro non posso amando.
     Tal frutto nasce di cotal radice;
Ma mentre vado (ohime) pace gridando,
     Nè m’ascoltano fuor, che i boschi, e l’onde
     In tristo humor vò gli occhi consumando.
Ahi pria, che sièno al mio voler seconde
     L’indurate sue voglie, mancheranno
     A l’aere i venti, à la terra herbe, e fronde.
Amor crudele arroge danno a danno,
     Perch’io nel Regno suo mai sempre viva
     Pascendomi di duol, d’ira, e d’affanno.
Così d’ogni speranza in tutto priva,
     Di pene sazia, e di piacer digiuna
     Sempre convien, che combattendo viva.
Ma spariscon le stelle ad una, ad una:
     Convien, ch’aspetti à disfogar miei guai,
     Che ’l Sol si parta, e dia loco à la Luna.
Disprezzato mio cor fà tregua homai
     Con le miserie tue noiose tanto.
     Non pianger più non hai tù pianto assai?
Hor sia quì fine al mio amoroso canto.