Rime (Vittoria Colonna)/Capitolo del trionfo di Cristo

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Capitolo del trionfo di Cristo

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Capitolo del trionfo di Cristo
Sonetti spirituali - Sonetto XXX



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CAPITOLO DEL TRIONFO DI CRISTO


 
Poichè ’l mio Sol, d’ eterni raggi cinto,
   Nel bel cerchio di latte fè ritorno,
   Dalla propria virtute alzato e spinto;
Già sette volte avea girato intorno
5 I segni, ove ne fa cangiar stagione,
   Chi porta seco in ogni parte il giorno;
E lasciando ’l nemico d’ Orione,
   Spronando i suoi corsier, leggier entrava
   Ad albergar col suo saggio Chirone.
10Tutta ornata di rose allor alzava
   Gli occhi a licenziar l’ ultime stelle
   L’ aurora, e i bei crin d’ or larga mostrava;
Quand’ io le voglie alla ragion rubelle
   Conobbi, essendo ’l dì, che ’l duolo antico
15 Fa, che con maggior forza io rinnovelle.
Allor del pianto amaro al dolce amico
   Pensier, che mi consola, e ben può darmi
   Tutto quel bene, onde ’l mio cor nutrico,
Stanca mi volsi, e ricordar pur parmi,
20 Ch’ egli allor preso avea l’ usate penne
   Per poter poi da terra alta levarmi;
Ma più che nettar dolce un sonno venne,
   E l’ alma, quasi del suo carcer fuore,
   Quel, che dall’ un volea, dall’ altro ottenne:
25E tanto ad alto, ove la scorse Amore,
   Volò, ch’ io vidi la mia luce ardente
   Mostrar più vivo il suo divin splendore.
Era ancor lungi sì, ch’ un’ altra mente
   Non la vedria, che ’l piacer falso in terra
30 Contra ’l dritto voler cieco consente;

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Ma colui, ch’ in un punto pace e guerra
   Può darmi e tor, tanto al suo dolce lume
   M’ avvezza, che non sempre il desio erra:
Onde strada al mio andar fece il costume
35 Di seguir l’ orme chiare, e fuggir l’ ombra,
   E diede al mio volar veloci piume:
E giunsi al Sol, ch’ agli occhi miei disgombra
   Quel d’ ignoranza, nel che a noi mortali
   Spesso ’l veder intorno appanna e adombra.
40Ed udì dir: perchè tra tanti mali
   T’ intrichi ognor? vien meco, acciò là scorga
   Spirti, ch’ al merto tuo non sono uguali.
Ma pria convien, che tutta umil mi porga
   Gli occhi, e intenti sì, che di quel poco
45 Raggio, che in me lampeggia, almen t’ accorga:
Onde la vista accesa a poco a poco
   Acquisti tal vigor, che non l’ offenda
   Maggior di questo assai più puro foco:
Convien, che ’l modo e la ragion tu intenda,
50 Come a chi quà su vien dolor si tolga,
   E di vero piacer la veste prenda;
E che sappi tra noi quanto si dolga,
   Che in terra vegga alcun, ch’ abbia già amato;
   Ch’ in ver gli scogli la sua barca volga.
55Che se s’ appaga e gode ogni Beato
   Nel mirar solo il primo eterno Amante,
   Il natural desio non è cangiato
D’ amar chi ama, anzi è ferma e costante
   Carità vera quì, che non si scema
60 Pel variar dell’ opre, o del sembiante.
Tu scorgi allor, diss’ io, com’ arde e trema
   Dinanzi ai raggi tuoi la mia virtute;
   E qual speme e timor l’ ingombri e prema.
Di fiamme vive, e di saette acute
65 Arso e punto fu il core il giorno, ch’ io
   Posi nelle tue man la mia salute.

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Vorrei gli umani error porre in oblio,
   Ch’ essendomi tu guida, a maggior cose,
   Ch’ a mio stato non lice, ergo ’l desio.
70Per man lieto mi prese, e non rispose
   Ai detti miei, ma allor seco mi strinse
   Sì, che nel suo splendor tutta m’ ascose:
Ond’ io potea (sì del suo bel mi cinse)
   Veder quasi in un specchio quel, che ’l Cielo
75 Sol per suoi prieghi agli occhi miei dipinse;
Ma pria sentì, com’ un squarciar di velo
   A me d’ intorno, e caldo e puro vento
   Tutta infiammarmi d’ amoroso gielo.
Fa, ch’ io possa ridir quel, che pavento,
80 Tu che lo stato, e la salute al mondo
   Amor donasti, e sei di te contento.
Io vidi allor un carro tal, ch’ a tondo
   Il Ciel, la terra, il mar cinger parea
   Col suo chiaro splendor vago e giocondo;
85Sovra l’ Imperador del Cielo avea
   Quel, che scese fra noi per noi scampare
   Del servir grave, e della morte rea.
E come molti empir l’ invidie avare
   De’ beni altrui, superbi trionfando,
90 Vil voglie d’ un ingordo empio regnare;
Costui vinse e donò ’l suo Regno, quando
   In sacrificio se medesmo diede,
   Col puro sangue il nostro error lavando.
Sua la vittoria, e nostra è la mercede:
95 Fece, che vita abbiam del suo morire
   Noi, ch’ eravam del gran nemico prede.
Io avea già di tanto aspro martire
   Da mille inteso, e in mille carte letto;
   E con sospir di quel solea gioire:
100Però dinanzi a sì novo cospetto
   Non mi fu dunque la mia scorta presta
   A trar d’ errore e dubbio l’ intelletto.

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Io vedea l’ onorata e sacra testa,
   Che suole aver di stelle ampia corona,
105 Di spine averla acute ora contesta:
E piagata la man, che toglie e dona
   Al Ciel corso, al Sol luce, ai mortal vita,
   Qui virtù, là su gloria eterna e buona.
Su gli omer santi, acciò ch’ al Ciel gradita
110 Sia l’ umil nostra spoglia, io vidi ’l legno,
   Ch’ a pianger sempre il primo error m’ invita;
Quel del nostro gioir securo pegno,
   Ch’ adorar con le man giunte si deve,
   Perch’ ei sostenne il nostro ver sostegno.
115Non fu alle sante spalle il peso greve,
   Quanto dovrebbe, oimè, del nostro affanno
   Tal rimembranza farne spesso lieve!
Sul carro, alla man destra, in real scanno
   La Vergin era d’ ogni virtù esempio,
120 Per cui possiam fuggir l’ eterno danno.
Costei fu innanzi a tutti i tempi Tempio
   A Dio sacrato, e vidi, e sapea come
   Con umiltà calcò ’l superbo e l’ empio.
Ai santi piè colei, che simil nome
125 Onora, vidi ardendo d’ amor lieta
   Risplender cinta dell’ aurate chiome;
La mosse a pianger qui ben degna pieta;
   Onde ’l Ciel vuol, che con egual misura
   In vece del dolor la gloria or mieta:
130Poi ch’ ella resse la sua fe secura,
   Non volse ’l piè fedel, nè strinse ’l pianto;
   Ma con cor fermo, e con pietosa cura
Sola rimase, e dentro al suo bel manto
   Mille chiare virtù davan conforto
135 All’ alta voglia, al grande animo santo.
Al sepolcro cercando il Signor nostro,
   L’ apparve vivo, e diede alto e felice
   Al gran mar delle sue lagrime porto.

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Beata lei, che ’l frutto e la radice
140 Sprezzò del mondo, e del suo Signor ora
   Altra dolcezza e sempiterna elice.
Io che da un altro Sol più vaga aurora
   Illustrata vedea, con altro caldo
   Di quel, che i nostri fiori apre e ’ncolora,
145Tenni qui gli occhi fisi, e ’l pensier saldo.

FINE