Rime di Vittorio Alfieri scelte e commentate (1912)/L'Etruria vendicata. Sunto del poemetto

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Rosolino Guastalla

L'Etruria vendicata. Sunto del poemetto ../Indice ../Indice dei nomi IncludiIntestazione 11 settembre 2022 75% Da definire

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L’ETRURIA VENDICATA



L’A. cominciò a scrivere questo poemetto nel maggio del 1778, «ma lo andava lavorando a pezzi, senza averne steso abbozzo nessuno, per esercitarsi al far rime, da cui gli sciolti delle ormai già tante tragedie lo andavano deviando (Aut., IV, 7°). Solo l’anno seguente fu terminato il primo canto; nell’81, mentre trovavasi a Roma, l’A. giunse al termine del secondo, ma non poté procedere oltre la prima stanza del terzo, essendo quello un tema troppo lieto, per il suo misero stato d’allora. (Ibidem, IV, 9°); nell’81 terminò il terzo canto e cominciò il quarto ed ultimo. L’Etruria fu poi stampata a Kehl nel 1788-’89, non per pubblicarla subito, con la data del MDCCC. La composizione di questo poemetto procedé dunque disordinata e saltuaria, dal che derivò una tal quale sconnessione che, con altri difetti, lo rende una delle meno pregevoli opere del nostro Poeta. Il Carducci, con soverchia indulgenza, ne scrisse nel modo che segue: «Questa Etruria presenta in piccolo l’immagine di quella epopea mista, che sola è possibile ai tempi moderni e, che fu tratteggiata fantasticamente dal Byron e allegoricamente dal Leopardi; vi è la elegia e la satira, la tragedia e la commedia... mescolanza che il grand’uomo non volle portare nel dramma». (Opere, II, 280).

Diamo dell’Etruria vendicata un rapido sunto:


A Lorenzino de’ Medici, dormente, appare, cinta dall’ombre dei piú illustri regicidi, la Libertà,

Che altera in vista il mondo signoreggia
E par che niuno estimi di sé degno,

e lo sprona, se vuole acquistare gloria immortale, a liberare la Toscana dalla tirannide di suo cugino Alessandro. A questo, pur dormente, apparisce il Timore, il quale gli minaccia la Morte, se non gli presterà onori come ad un nume. Alessandro, agghiacciato dallo spavento, caccia un urlo, al quale accorre con soldati Arrigo, confidente del principe. Alessandro gli ordina di adunare il consiglio. Poichè la sala ove questo deve raccogliersi è adorna delle pitture [p. 272 modifica]di Michelangelo celebranti le glorie della Casa medicea, l’A. ne prende occasione per lamentare che quel grande profanasse l’arte sua con simili obbrobriose figurazioni; ed esclama:

Oh scellerati tempi! Oh vilipese
Arti divine! oh cieca etade priva
D’ogni senno e valor! dal ciel discese
Tanto artefice dunque, affinché viva
Memoria eterna rimanesse al mondo
D’infami eroi, degni d’oblio profondo?

E di qui si fa strada a parlare della corruzione dei Papi e di Caterina de’ Medici (Canto II). Lorenzo si leva dal letto e, mentr’è per uscir dalla camera, gli si fanno incontro la madre e la sorella Bianca, l’una e l’altra eccitandolo a compiere la strage di Alessandro, che perseguita con le sue pretese la fanciulla, della quale già ha fatto arrestare il fidanzato. Lorenzo promette che libererà la patria dalla tirannide; ciò udendo,

O degno figlio, o veramente mio!
Grida la madre con feroce gioia:
Pèra, sí, pèra, per tua man quel rio:
Va’, tenta, e non temer ch’io schiava muoia,
Né che in preda al tirannico desio
La figlia io lasci, e a noi l’onor premuoia.
Noi pure un ferro, ardir noi pure avremo:
Se cadi tu, di nostra man cadremo.

Lorenzo esce e va al palazzo di Alessandro, ma una guardia non gliene lascia oltrepassare la soglia: allora, si appiatta in un luogo solitario presso l’Arno per colpire il tiranno che deve passare da quel luogo; e dal fiume sorge il fantasma del Savonarola che consiglia Lorenzo di non colpire alla cieca Alessandro, ma di coglierlo in un laccio, per mezzo di Bianca: a giustificare il suo consiglio, esso dice:

Ben é l’inganno abominevol, dove
Virtude ha loco e manifesta guerra:
Me già non strinse alle mendaci prove
Solo il cappuccio che viltà rinserra;
Piú mi v’astrinse assai ragion che muove
Da lunga esperïenza che non erra.
Sfidar vorresti a singolar tenzone
Chi al tuo brando mannaia e scettro oppone?
Stupida in te se la ferocia fosse
Allegarti potrei biblici esempi;

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Come il rettor del cielo ei stesso mosse
Con frode l’armi a far trafigger gli empi;
Come spesso al tradir prendean le mosse
Perfin donzelle da’ suoi sacri tempi.
Ma se d’ebraici eroi tu sdegni l’orme,
Dienti i greci e i latin piú illustri norme.
E Pelopida e Cassio e Bruto e quanti
Le man bagnar nel sangue di tiranni,
Forti eran pure, e non di frode amanti;
E tutti pure opraro in ciò gli inganni.
Che piú? Tu stesso al reo signor davanti
Non infingi ogni giorno, or già ben anni?
Tu il vedi pur, tu pur gli parli; e in core
Chiudendo l’odio, a lui dimostri amore.

Ciò detto, l’ombra scompare.

(Canto III). Si descrive l’assemblea ducale e si tratteggiano satiricamente le principali figure dei cortigiani. L’enumerazione procede lunghissima e alquanto noiosa, tanto piú che non ci è dato sapere a quali personaggi del suo tempo alludesse l’A.; solo è evidente, come osservò il Bertana, che nel vescovo accennato nell’ottava che ora riferirò è da vedersi il celebre Mons. Antonio Martini, traduttore del Nuovo e del Vecchio Testamento, uno dei piú solleciti ad aprire gli occhi al Cardinale di York intorno alla relazione di sua cognata con Vittorio Alfieri:

Chiude alfin la rassegna il non tradotto
Vescovo, che in volgare i libri santi
Traduce, e affoga al gran commento sotto:
Svela questi e perseguita gli amanti;
E mille ben coppie infernali ha rotto;
Niuno al sagace suo fiutar si vanti
Sfuggir: sol lascia delle mogli altrui
Partecipare il prence e i preti sui.

Aperta l’Assemblea e dette appena due parole, Alessandro cade svenuto, poiché gli ha tolto il respiro la triplice maglia ferrigna di cui si era, per prudenza, vestito. Riprese le forze, resta solo col suo confessore Plenario, che lo persuade a toglier di mezzo Lorenzo, suo implacabile nemico (Canto quarto). I cortigiani bilanciano vari partiti per ridonare al Sovrano l’abituale tranquillità. Un d’essi gli propone di andare nottetempo al palazzo di Bianca, di chiamarla con un segno ch’era solito farle il suo fidanzato (sí che essa lo creda in libertà) e, una volta avvicinatala, non sarà difficile al Principe conseguire il suo fine. Prima di uscire all’impresa, Alessandro dà ordine [p. 274 modifica] che si strozzi, sotto l’accusa di eresia, suo cugino Lorenzo. Il quale tornato intanto in casa, narra alla madre e alla sorella quale visione abbia avuta. Bianca gli dice che ha un presentimento che Alessandro venga inconsciamente ad offrirsi alla morte. Ecco, la sera, il Duca al balcone di Bianca; al fischio di un cortigiano, esso si apre e appare una fanciulla che somiglia in tutto la sorella di Lorenzo, ed è la Libertà in persona. Alessandro entra in casa, e suo cugino, dopo avergli rinfacciate le sue colpe, gli immerge il pugnale nel cuore e cosí, come quella di Rodomonte,

lagrimando sfuggía l’alma odïosa,
che fu sí cruda al mondo, e obbrobrïosa.