Rime varie (Alfieri, 1912)/LXVII. Il globo areostatico

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LXVII. Il globo areostatico

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LXVII. Il globo areostatico
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LXVII [xcvii].1

Il globo areostatico.

D’Arte a Natura ecco ammirabil guerra;
Quasi infuocato razzo a vol lanciarsi
Un globo immenso, e nell’aere librarsi,
4Portando al ciel due figli della terra.

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Amor che l’intelletto a’ suoi disserra,
Veggio turbato invidïoso starsi
Del non aver fatt’ei di vanni armarsi
8Uom, che dal nostro carcere si sferra.2
Desío di prisca libertade, è fama,
Ch’ali impennasse3 al volator primiero;
11Gloria i due, ch’or qui veggio, al volo chiama.
Duolmene, Amor; ch’era da te il sentiero:
Tu dovevi inspirar sí audace brama;
14Tu Leandro guidar per l’aure ad Ero.4


Note

  1. Il 3 di giugno del 1783 Giuseppe Michele e Stefano Montgolfier riuscirono a far sollevare un pallone di tela assai leggiera, foderato di carta e gonfiato con aria calda. Il prof. Charles e i fratelli Robert sostituirono poi all’aria calda del gaz idrogeno e opposero alla sua possibile fuga del taffettà spalmato di gomma elastica. Il 21 ottobre del 1783 si sollevarono nel migliorato apparecchio Pilatre de Roziers, che doveva due anni dopo miseramente perire in una nuova ascensione, e l’amico suo marchese d’Arlandes. Non c’è bisogno di dire come, dinanzi a’ nuovi prodigi, poeti di tutte le specie, grandi, piccoli, minimi, serii, burleschi, desser la via alle rime: il Monti scriveva nel 1784 la celebre ode al signor di Montgolfier, il Parini, un sonetto, allorché in Lombardia Don Paolo Andreani tentava anch’egli dei fulmini «l’inviolato impero»; Giuseppe Roberti scriveva de’ globi areostatici nel poemetto La moda, Lesbia Cidonia univa la sua voce a quella estatica di tutta l’Europa, Gaspare Cassola, l’abate Durini, il Bettinelli, il Fantoni cantavano palloni areostatici e volatori. (Vegg. Em. Bertana, Intorno al sonetto del Parini «Per la macchina areostatica, in Giorn. st. d. lett. it., XXX, 414 e segg.»). Anche la Musa dell’A., il quale essendo a Parigi, «vide due delle prime e piú felici esperienze delle due sorti [di globi areostastici], l’uno di aria rarefatta ripieno, l’altro d’aria infiammabile, e a cui pareva che a quella scoperta, per meritare il titolo di sublime, altro non mancasse che la possibilità o verisimiglianza di essere adattata ad una qualche utilità» (Aut., IV, 12°), anche la Musa dell’A., dico, non tacque, ma, bisogna pur confessarlo, la sua parola non fu questa volta né profonda né forte. Il nostro Poeta non intravvede, come il Monti, l’importanza della nuova scoperta, non si esalta dinanzi a ciò che l’uomo è stato capace di compiere, arra di quanto, forse potrà fare nel tempo avvenire, non è agitato, come il Parini, dal dubbio che essa possa accrescere l’infelicità, anzi che la felicità degli uomini; il suo sonetto, che meglio si direbbe un madrigale, si chiude con un gelido richiamo ad Ero e a Leandro. Il son. dell’A. fu scritto il 3 nov. 1783.
  2. 5-8. Veggo, dice l’A., Amore, che apre a’ suoi l’intelligenza, starsene tutto turbato e invidioso perché non forní di ale l’uomo, che, mercé sua, si libera dal nostro carcere mondano.
  3. 10. Impennasse, preparasse, fornisse, allusione alla favola di Dedalo (Ovidio, Metam. VIII, Dante, XVII, 109 e segg.) che fabbricò a sé e al proprio figlio Icaro le ale per uscire dal laberinto. Questo verbo ricorda lo spennare usato nel cit. luogo da Dante.
  4. 14. Leandro era un giovane greco di Abido il quale, per visitare la sua amante Ero, che abitava a Sesto, sull’altra riva dello Stretto, passava ogni notte a nuoto l’Ellesponto, e si annegò (vegg. su questo soggetto la bellissima eroide diciassettesima di Ovidio, e Dante, Purg., XXVIII, 73 e segg.)