Rivista di Cavalleria - Volume I/IV/Il passato, il presente e l'avvenire del cavallo italiano in rapporto al servizio militare I

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Il passato, il presente e l’avvenire del cavallo italiano in rapporto al servizio militare (I parte)

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Il passato, il presente e l’avvenire del cavallo italiano in rapporto al servizio militare (I parte)
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Il passato, il presente e l’avvenire del cavallo italiano


in rapporto al servizio militare




Nei giorni 26, 28 e 29 gennaio 1893 vennero lette da me, ai signori ufficiali del 15° reggimento artiglieria, tre conferenze sul tema seguente: Il passato, il presente e l’avvenire del Cavallo Italiano in rapporto al Servizio Militare.

Per circostanze speciali le suddette conferenze non vennero stampate, malgrado le cortesi sollecitazioni di numerosi amici; ma ora avendo ripreso e trattato più ampiamente l’argomento, memore dell’accoglienza avuta, lo presento sotto la stessa forma.

Chiunque debba servirsi del cavallo, sia come semplice mezzo di trasporto, sia come strumento efficace di guerra, sia come semplice divertimento sportivo, dovrebbe possedere un certo corredo di nozioni utili e dilettevoli dettate dall’ippotecnia.

Lo scopo adunque di queste conferenze è quello di essere utili e dilettevoli a tutti gli sportmens.


I. CONFERENZA.


Il passato del cavallo.


Origine mitologica. — In questa prima conferenza parleremo dell’origine e della storia del cavallo.

L’epoca storica della comparsa del cavallo si perde nelle favole della mitologia di cui diremo le più importanti.

La prima notizia si ha nel cavallo Pegaso il quale ci venne descritto assai grande e spaventevole, armato di corna in fronte fiero lo sguardo, di foco il fiato, di ferro i piedi (per significare la robustezza dell’unghia) e le ali come un’aquila.

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Pegaso, il cavallo alato, nacque nella cervice di Medusa, ingravidata da Nettuno, però altri lo dissero nato sul monte di Boetia dal sangue di Medusa uccisa da Perseo.

La mitologìa parla di Pegaso, cavallo velocissimo che fu donato da Nettuno a Bellorofonte per vincere il mostro con tre teste, detto Chimera.

Si narra da Strabone che il cavallo Pegaso si fermò primieramente sopra un monte di Boetia, dove con le unghie percuotendo un sasso, fece scaturire una fontana d’acqua viva, detta Hippocrene.

Bevendo a quella fontana, il cavallo Pegaso fu preso da Bellorofonte e destramente domato, avendogli Pallade fatto dono d’una briglia d’oro.

Così Bellorofonte fu stimato il primo fra gli uomini che fosse andato sopra un cavallo, e fu lui pure il primo che adoperò la briglia.

Ovidio disse che a Pegaso:

Sovra le nubi e presso a l’alte stelle
Scorrendo, il ciel fu terra e penna il piede.

La favola di Pegaso dimostra in quale gran conto di velocità fosse ritenuto il cavallo primitivo.

Lattantio invece afferma, che essendo incognito l’uso dei cavalli, ed avendone il mondo gran bisogno, Nettuno ne produsse, battendo la terra col suo tridente.

Virgilio ripete tale affermazione cantando:

E tu Nettuno, dal cui gran tridente
Già percossa la terra, fuor si vide
Prima produrre il bel destrier fremente.

L’invenzione del frenare e maneggiare i cavalli, secondo Virgilio, si deve attribuire ai Lapiti Peletroni di Tessaglia, prima della guerra di Troia, sebbene secondo altri, i Lapiti non avrebbero che perfezionato l’arte di cavalcare, già inventata da Bellorofonte.

Racconta Platone che gli uomini di Tessaglia furono sempre [p. 373 modifica]riputati illustri cavalieri, e Socrate fa fede che presso i Tessali fu sempre in grandissimo onore l’arte equestre.

La mitologia attribuisce ancora a Nettuno la produzione di altri cavalli per mezzo del suo tridente, e fra questi sono degni di menzione i cavalli Xanto e Cillaro che Giunone ricevette in dono da Nettuno, per donarli a Castore e Polluce, fratelli famosi domatori di cavalli selvaggi.

La mitologia adunque attribuisce a Nettuno, ossia al dio Marino, l’origine del cavallo, ed ai Lapiti l’arte del cavalcare, come canta Lucano:

Prima il destrier, de le mortali guerre
Presagio, uscì dai sassi, che percosse
Con la verga in Tessaglia il dio Marino.
Lui primeramente il ferro e i freni
Mercè le nuove redini del forte
Lapita domator sentì schiumando.

L’equitazione salì fin dai tempi antichi in molto onore, e Senofonte scrisse le prime norme dell’equitazione.

Etimologia — Il cavallo venne considerato come cosa grande, pregevole ed animale veloce per eccellenza.

Nel Sanscrito vi sono oltre cento quaranta nomi per il cavallo, che tutti hanno per radicale delle parole indicanti velocità, così ad esempio:

Atya, cavallo, da at andare, correre.

Kapala, cavallo, kap andare, correre.

Pélin, cavallo, da pel andare, spingere.

I greci lo chiamarono hippos e quando volevano significare cosa grande, componevano il vocabolo in questo modo: hippognomone, grande animo. Hippotyphia, grande fasto. Hippoporno, grande libertino.

I latini lo chiamarono Equo da egualità, perciocchè si attaccavano ai carri i cavalli apparigliati, come ancora si usa.

Però non mancano altri che fanno derivare Equo da Equore, mare, per indicare la sua origine favolosa.

I Germani chiamarono mara il cavallo, da cui venne marescalcus, maniscalco, essendo scalk, servo; però da altri si pensa [p. 374 modifica]che il vocabolo marescalcus sia formato da mares, cavallo in teutonico e da calcus, dal verbo latino calceare, calzare.

Per incidenza diremo che la carica di marescalcus fu di notevole importanza e ne venivano rivestite persone di elevato lignaggio. Difatti più tardi venne a significare la più alta carica della gerarchia militare col nome di maresciallo.

E siccome tutto ciò che avesse attinenza alle cose ippiche acquistava pregio e distinzione, così il direttore dell’addestramento dei cavalli si disse comes stabuli, ossia conte della stalla, che poi si trasformò in connestabile per indicare un grado militare eminente.

E per ultimo, per la stessa ragione, nacquero e furono molto onorifici gli ordini equestri.

Origine etnica. — Le prime traccie dell’origine etnica del cavallo appartengono alle epoche geologiche in cui vennero trovati dei resti fossili delle specie equine.

Prima dell’epoca terziaria e propriamente nel terzo periodo di quest’epoca, detto pliocene, non si trovarono finora resti fossili di equini quindi non si può attribuire l’origine etnica del cavallo ad una formazione geologica anteriore al pliocene.

Movendo dalle prime tradizioni della storia, s’incontra il cavallo sotto tutte le latitudini temperate, in varie regioni della zona torrida ed in molte contrade settentrionali.

Dappertutto il cavallo subì numerose variazioni di forme che si trasmisero alle sue generazioni.

Allo stato attuale della scienza si ammette la teoria della molteplicità dei centri di formazione per evoluzione degli esseri organizzati, secondo la teoria di Darwin.

Preequidi. — Tutte le specie equine attuali si riannodano a specie fossili qualificate preequidi, od antenati del cavallo, che costituscono forme estinte e modificate attraverso l’epoca terziaria, specialmente per una semplificazione progressiva delle dita del piede.

La geologia divide il terreno dell’epoca terziaria in tre strati o periodi e cioè: lo strato o periodo più profondo o inferiore, [p. 375 modifica]detto eocene, il mezzano detto miocene, ed il superiore detto pliocene che confina col periodo quaternario.

Le specie dei preequidi sono comparse nel periodo detto eocene, sotto forma di specie polidattili, ossia a dita multiple, ed arrivarono, passando i tre periodi, fino al pliocene di modificazione in modificazione fino alle specie monodattili degli equini.

Le modificazioni avvenute fra le diverse forme evolutive dei preequidi polidattili, seguirono la legge anatomo-fisiologica dell’uso e non uso funzionale. E cioè l’uso funzionale di una parte tende al suo maggiore sviluppo, ossia la rende ipertrofica, mentre il non uso funzionale ne ritarda il suo sviluppo, ossia la rende atrofica. Questa legge è costante in tutti gli organi.

Eocene. — Così i preequidi dell’eocene avevano cinque dita per ogni piede, e taluni solo quattro negli anteriori e tre nei posteriori, poichè l’uso preponderante del dito mediano, che appoggiava meglio sul suolo, ne favorì il suo sviluppo a danno delle dita laterali che s’impiccolivano.

Cosi il Phenacodus, che vorrebbe dire apparizione primitiva, è la forma più antica dei preequidi. Ha la testa d’un pachiderma, come chi dicesse di un maiale, con le estremità pentadattili.

Il Phenacodus venne trovato nell’eocene dell’America del Nord.

L’Eohippo, letteralmente cavallo-aurora; ha la testa simile al genere equus, la taglia di una volpe, quattro dita nelle anteriori e tre nelle posteriori, fra cui solo il dito mediano tocca il suolo, essendo le dita laterali più corte.

Rapportando l’Eohippo al tipo pentadattilo, si vede che nelle anteriori è sparito il pollice e nelle posteriori pollice e mignolo.

L’Eohippo venne trovato nell’eocene americano, ma nello strato prossimo al miocene.

Miocene. — I prequidi del miocene avevano solo tre dita, di cui solo il mediano appoggiava sul suolo, mentre le dita laterali arrivavano solo al terzo inferiore della prima falange od osso pastorale.

Cosi il Mesohippo, letteralmente cavallo di mezzo, ha la [p. 376 modifica]taglia di un piccolo poney, con un dito mediano molto sviluppato e due laterali atrofici.

Il Mesohippo venne trovato assieme a diversi altri tipi poco dissimili nel miocene amerìcano.

L’Anchitherium, animale vicino, presenta gli stessi caratteri del mesohippo, e venne trovato nel miocene europeo.

Pliocene. — L’Hipparion, cavallo piccolo, ha la testa simile a quella del cavallo e molta tendenza alla monodattilia, sebbene le dita laterali siano ancora molto sviluppate in confronto ai rudimenti che ancora si osservano nei metacarpiani e metatarsiani accessori dei cavalli attuali.

L’Hipparion venne trovato nel pliocene europeo ed in quello africano.

Il Protohippo, cavallo primiero, è già simile al cavallo in molte parti, ha i piedi con marcata tendenza alla monodattilia e venne trovato nel pliocene americano.

Fra questi tipi pliocenici ed il cavallo esiste un salto considerevole nelle forme di transizione; ma considerando, che le scoperte dei preequidi datano poco più da trent’anni e che una gran parte degli strati terrestri sono ancora ricoperti dal mare, si ha il diritto di supporre che la paleontologia scoprirà altre forme intermedie dell’evoluzione.

Equidi — Gli equidi fossili sono gli antenati diretti del nostro cavallo attuale. Essi si trovano in varie parti d’Europa, in Africa e nell’Asia, nei terreni quaternari fino al periodo attuale di terrazzamento, e specialmente in America ove si fecero le scoperte paleontologiche le più importanti.

Numerose sono le varietà dell’Equus fossilis con forme vicinissime al cavallo attuale, e fra le tante, l’Equus caballus, che si trova in molte stazioni paleolitiche con altri fossili quaternari, costituisce la forma più prossima agli equini.

Equini. — Gli equini esistono fin dalle epoche preistoriche in quasi tutte le regioni della terra; ma la questione della loro prima comparsa non è tanto semplice ad onta dei profondi studi di paleontologia.

L’opinione più accreditata sull’origine degli equini è quella [p. 377 modifica]che ammette la loro discendenza da parecchi stipiti autoctoni, i quali formarono molteplici centri d’evoluzione.

Marrons. — Anche al giorno d’oggi esiste il cavallo allo stato libero e perfettamente selvaggio; ma si ritiene che questi cavalli, a cui si dà il nome di marrons, siano ritornati liberi dallo stato domestico.

I cavalli selvaggi, o meglio i marrons, sono vivacissimi, robusti, veloci e vivono in frotte guidati da uno stallone, come i tarpani delle steppe della Siberia, della Tartaria e della Mongolia, i cimarrones delle Pampas e del Messico, ed i mustang del Paraguay.

I cavalli erranti dell’America sono cavalli rinselvatichiti o marrons discendenti da cavalli spagnuoli lasciati in libertà.

I tarpani sono più piccoli dei cavalli domestici, hanno la criniera breve e ispida, il mantello uniforme di tinta bruno-fulva, testa pesante, andatura velocissima e sono oltremodo selvaggi. Essi recano danni immensi alle proprietà, prediligono le cavalle domestiche, e dopo d’averle soggiogate le trascinano via con loro a vita libera.

Addomesticamento. — La maggior parte degli animali furono addomesticati dall’uomo nei tempi preistorici, quindi le tradizioni leggendarie in proposito ci servono a nulla di positivo.

La paleontologia dimostra che l’uomo nella lotta per la vita divenne, nei tempi preistorici, cacciatore, pastore ed agricoltore nelle tre fasi principali di civilizzazione progressiva, fasi caratterizzate dall’uso di armi e di utensili dell’epoca della pietra, del bronzo e del ferro.

Gli abitanti primitivi dell’epoca della pietra scheggiata, od epoca paleolitica, non conobbero nessun animale allo stato domestico. Essi davano la caccia agli animali per provvedere alla propria alimentazione.

Nel periodo della pietra levigata o neolitico, l’uomo cominciò l’addomesticamento degli animali; ma il cavallo non venne addomesticato prima dell’epoca del bronzo dagli ariani.

Gli ariani primitivi abitarono il centro dell’Asia, furono molto potenti in guerra e furono i primi a ridurre il cavallo selvaggio [p. 378 modifica]allo stato domestico non solo nell’altipiano asiatico, ma eziandio nei paesi conquistati.

Siccome le ricerche preistoriche dimostrano che l’epoca delle emigrazioni ariane risale a 19.337 anni av. C. così presso di noi la domesticità del cavallo avrebbe la sua più remota testimonianza verso l’epoca del bronzo.

Però il popolo mongolo, di razza gialla, conosciuto col nome di sciti, figura, fra i popoli dell’antichità, come il più abile nell’equitazione. Gli sciti quando furono incontrati dagli ariani, nell’espansione verso occidente, conoscevano già l’uso del cavallo.

Viene appunto riferito che l’arte di montare a cavallo sia stata inventata dagli sciti.

L’uso del cavallo presso gli altri popoli fu conosciuto molto più tardi, sebbene in tempi remoti, importato dall’Asia.

In Italia il cavallo pervenne dalle colonie greche nelle regioni meridionali e dai galli-celtici nelle regioni settentrionali.

Gli etruschi lasciarono monumenti in cui figura il cavallo adibito al servizio da sella e da tiro, ed i popoli del Lazio conobbero molto per tempo l’arte di domare il cavallo.

Gli antichi romani erano eminentemente fantaccini, ma quando si convinsero della necessità di una buona cavalleria, reclutarono cavallerie ausiliarie in gran parte nelle Gallie, ed importarono cavalli dalla Spagna, dalla Lusitania, dalla Mauritania, dalla Tessaglia e specialmente dalla Cappadocia, per cui la costituzione delle nostre razze ne subì una grande influenza.

In conclusione si può affermare che la domesticità del cavallo risale ad un’epoca remota incerta, ma non posteriore all’epoca del bronzo. La culla di questa domesticità fu l’Asia centrale per mezzo degli Ariani e degli Sciti che emigrarono in molte contrade ed incrociarono i loro cavalli con quelli delle razze autoctone.

Cavalli Italiani. — L’Italia nei primi tempi non era ricca di cavalli, poichè durante il dominio dei Re e sotto il regime repubblicano, i soldati romani combatterono a piedi, e cioè non si conosceva ancora l’impiego della cavalleria. Essi si servivano del [p. 379 modifica]cavallo per arrivare più presto sul campo di battaglia, ove giunti si appiedavano per combattere.

In allora i cavalli portavano gli zoccoli sferrati, quindi erano inetti a lunghe e faticose marcie. Più tardi con la ferratura ai piedi, il cavallo divenne un attivo strumento di guerra.

Sotto l’Impero Romano si diffuse la passione pel cavallo e venne in grande onore l’equitazione. Vi furono le corse nei circhi ad imitazione dei giuochi olimpici e l’Italia possedeva cavalli celebrati in tutto il mondo.

Ma per trovare delle prove storiche sull’allevamento del cavallo, bisogna arrivare fino a Carlo Magno, dove le ingenti masse di cavalieri coperti di ferro e le guerre incessanti combattute coll’ausilio della cavalleria, svilupparono l’allevamento di cavalli, alti e robusti capaci di portare le pesanti armature.

Alcune provincie furono rinomate per l’allevamento equino e furono famose alcune razze di Principi Italiani.

Napoletani — Il Reame di Napoli in quei tempi era fiorente di cavalli idonei ad ogni servizio e Carlo V Imperatore avendo ottima conoscenza e pratica di tutte le razze di cavalli e di tutte le arti cavalleresche, sempre elesse per servizio di sua persona i cavalli napoletani, perchè erano eccellenti in ogni genere di servizio e di mirabile bellezza.

La cavalleria dell’esercito napoletano era composta di ottimi cavalli indigeni pregiati anche all’estero e nella stessa Inghilterra.

In tempi non tanto lontani, esisteva ancora a Persano una mandria regia che produceva ottimi cavalli, ma venne soppressa dal Governo italiano e sostituita da un Deposito d’allevamento pulledri per l’esercito.

Siciliani — In Sicilia fioriva un tempo una bella razza di cavalli, di cui solevano far pompa i Re di Siracusa, essendo detti cavalli quasi simili a quelli napoletani, anzi con maggiore disposizione al servizio di sella per la leggerezza delle forme e per velocità.

Si narra che i cavalli di Agrigento si mandavano a correre in Grecia e spesso ne tornavano vincitori. Si narra eziandio che essendo venute meno le razze dei cavalli in Cappadocia, le [p. 380 modifica]ristorarono con le razze agrigentine, per consiglio dell’Oracolo di Delfo e divennero assai migliori di prima.

Sotto il dominio dei Borboni esisteva in Sicilia una mandria regia detta della Ficuzza, la quale costituiva un mezzo efficacissimo pel miglioramento equino, mercè una selezione procurata fra i prodotti di 3 anni, che il Re di Napoli permetteva agli allevatori di praticare fra i migliori pulledri gratuitamente.

Sardi. — Nell’isola di Sardegna, in epoca remota, i cavalli di quei luoghi alpestri erano eccellenti e godevano molta fama in guerra. In epoche recenti erano ancora molte le mandrie pregiate di cavalli.

Friulani. — Nel Friuli fu celebre l’antica razza di trottatori adatti specialmente pel tiro leggiero e per la sella, ed ancora oggi se ne possono trovare alcuni tipi pregevoli.

Maremmani. — Nelle Maremme toscane e romane in ogni tempo si allevarono cavalli stimati ed invidiati per la loro bontà e resistenza; per fortuna non è totalmente spenta la razza antica.

Pugliesi. — Nelle Puglie erano lodate le razze di alcuni principi, conti e marchesi. Similmente nella Terra di Bari, nella Terra di lavoro, nella Basilicata negli Abruzzi e nelle Calabrie molti allevatori si occuparono della produzione di cavalli pregevoli.

Mantovani. — Infine in altri tempi si producevano generosi cavalli nel Mantovano, nel Cremonese e nel Polesine e specialmente i cavalli mantovani erano i corridori vincitori dei premi che si distribuivano nelle corse stabilite nelle città di qualche importanza.

Inoltre nel Mantovano crescevano i cavalli da battaglia ritenuti fra i più nobili e fra i più degni come doni principeschi. Il Gonzaga teneva stalloni e giumente di Spagna, d’Irlanda, d’Africa, di Tracia e di Cilicia e per avere questi ultimi, egli coltivava l’amicizia dei Gransultani.

Ferraresi. — Erano pure pregiate le razze di Ferrara, di Urbino, di Vicenza e di Parma, non totalmente scomparse.

Conclusione. — Da quanto abbiamo esposto, possiamo conchiudere, che l’Italia ebbe un passato, nella produzione equina, [p. 381 modifica]veramente invidiabile; ma la fatale influenza delle guerre continue, arrestò ogni movimento progressivo nell’industria cavallina, la quale andò sempre più in decadenza. Al principio di questo secolo per opera di alcuni sovrani, vi fu un po’ di risveglio; ma gli italiani divisi e schiavi dello straniero lasciarono degenerare le loro razze equine. Inoltre le razze importate dai conquistatori si mescolarono con le razze indigene e peggiorarono le qualità naturalizzate, le quali caddero nell’avvilimento.

I cavalli si ridussero di numero e degenerarono nelle qualità, per cui gli Stati italiani per rimontare la loro cavalleria, si resero tributari dei paesi vicini.

L’Italia adunque già fiorente nella produzione cavallina, si ridusse in uno stato deplorevole per fatalità degli eventi.

La speculazione privata, cessando di essere rimuneratrice, si rese insufficiente non solo ai bisogni della guerra, ma anche ai bisogni dell’agricoltura.

Compiuto il riscatto Nazionale, l’industria equina rientrò in una nuova fase d’incremento e formò oggetto di generale preoccupazione per la produzione di cavalli per l’Esercito; ma per quanto si sia tentato di fare, è ancora lontano il momento in cui si potrà dire d’aver raggiunto lo scopo.

Ed ora dopo d’aver gettato uno sguardo sintetico sulla origine e sulla gloria del cavallo, passeremo ad esaminare le condizioni presenti, per ricavarne utili ammaestramenti per l’avvenire.