Rivista di Cavalleria - Volume IX/V/Il nuovo I Tomo del regolamento d'esercizi/I

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Ettore Varini

Il nuovo I Tomo del regolamento d'esercizi
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Il nuovo I Tomo del regolamento d'esercizi
I. Sul nuovo regolamento.
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I.

Sul nuovo regolamento.

Sul nuovo regolamento di equitazione hanno già scritto alcuni competenti ufficiali dell’arma e da essi furono delle cose sane e giuste, per quanto non sempre concordi tra di loro.

Mi sia lecito pertanto esprimere serenamente, scevro da qualsiasi preconcetto, il mio convincimento, radicato in me dalle esperienze e da lunghe riflessioni.

Chieggo venia agli egregi colleghi se nel corso di queste mie considerazioni dirò cose già dette, oppure dovrò contraddirli.

Il solo amore all’arma ed il vivo desiderio di vedere da tutti applicati quei sani principii d’equitazione che la pratica costante ha consacrati, mi induce a prendere la penna, ben lieto se la mia parola raccoglierà l’approvazione dei miei colleghi.

E poichè il primo a scrivere sul nuovo regolamento è stato il mio caro amico e collega Caprilli, contro cui sorsero l’egregio colonnello Sartirana ed il capitano Filippini in difesa del nuovo regolamento, così dirò la mia opinione prendendo le mosse da quanto disse e scrisse il Caprilli nel fascicolo II° di questa Rivista.

Non spenderò troppe parole dilungandomi a ragionare intorno alle piccole pecche lamentate dal Caprilli, perchè furono già ampiamente discusse da chi mi ha preceduto in questa disamina del nuovo regolamento, ma mi diffonderò invece nel toccare ciò che per me forma la sostanza, la vita del regolamento, l’alito del nuovo e più sano indirizzo della nostra equitazione.

Anzitutto tributiamo una parola di calda, viva ammirazione e riconoscenza a coloro che si adoperarono alla formazione di esso, tributo ch’è doveroso di rendere se non si vuol passare per degli ingrati.

Se l’opera da essi compiuta, non ha raggiunta l’eccellenza, la perfezione, non essendo dato a nessuno il toccare la perfettibilità, è stata [p. 490 modifica]però opera buona, saggia e fondata su salde basi che non tarderà a dare i suoi benefici flutti.

Il nuovo regolamento ha sancito, senza mettere in non cale l’equitazione di maneggio, la precedenza dell’equitazione all’aperto su quella di scuola, propriamente detta di maneggio. E ciò è stata cosa logica ed avveduta. Infatti non si può comprendere come si possa giungere a formare degli abili combattenti, i quali poi in caso vero dovranno agire attraverso a qualunque terreno, tenendoli costantemente in maneggio, dove non possono apprendere che una equitazione artificiale monca e non corrispondente a ciò che deve sapere il nostro soldato in campagna.

L’anno scorso, quando già si preludiava ad un cambiamento d’indirizzo nell’equitazione militare, io, rispondendo ad altro articolo del Caprilli, concernente l’equitazione, così chiudevo il mio scritto:

«Ad ogni modo, la riforma del nostro regolamenio in tutto ciò che concerne l’equitazione e l’istruzione delle rimonte, a mio avviso s’impone: tanto più che dalla maggior parte dei reggimenti la parte artistica non è più curata come pel passato.

«E tale riforma è tanto più necessaria davanti ai perfezionamenti delle armi moderne ed all’impiego nuovo, improntato a maggiore velocità nelle mosse, che avrà la cavalleria nelle future guerre. Facciamo in modo da non presentare il fianco a chi ci denigra e ci vorrebbe sopprimere come arma inutile.

«Se però, noi, non perfezioneremo il modo di usare della nostra arma, il cavallo, certamente le argomentazioni contro la cavalleria nelle guerre future verrebbero ad avere un serio fondamento.

«Ed è perciò ch’è assolutamente necessario dare alla cavalleria un nuovo indirizzo, accrescendo le sue prerogative di velocità e resistenza alle celeri andature, piegando a questo concetto anche l’equitazione.

«Chi avrà il coraggio di una tale riforma, avrà il suffragio della maggior parte degli ufficiali di cavalleria e si sarà reso benemerito dell’arma.»

Se dunque, ritornando al nuovo regolamento, è stato sancito che l’assetto del cavaliere si forma tenendolo lungamente a cavallo e portandolo fuori, all’aperto, a respirare l’aria ossigenata non appena il suo assetto e le condizioni di clima lo consentano, parmi che ciò sia stata una sanzione ben salutare ed abbia finalmente sfatala la vecchia credenza che riteneva bastasse a formare l’assetto della nostra recluta una ripresa in maneggio ogni giorno, torturando uomini e cavalli in una equitazione che annerva ed irrigidisce, cose queste contrarie alla essenza della vera equitazione.

Lunghe e progressive galoppate all’aperto, su terreno buono e vario, mantenendo uomini e cavalli calmi e tranquilli, formano invece l’assetto del nostro cavaliere e svegliano prontamente in esso lo spirito d’individualità a cui s’informa il nuovo regolamento, preparano e creano nel soldato quel carattere aggressivo di cui ha tanto bisogno il soldato di cavalleria per giungere a superare ed adempiere le [p. 491 modifica]svariate e non facili missioni alle quali sarà chiamato in tempo di guerra.

L’equitazione al’aperto, quella di campagna, per tutti i tempi, forma della gente pratica, la quale mostra così facendo di mirare al vero scopo, la guerra; tutto ciò che ci allontana e distoglie da essa, va considerato come superfluo anzi nocivo. Ed è perciò che l’equitazione di maneggio, da non confondersi con quella di alta scuola, confusione troppe volte fatte, intendendo dire per equitazione di maneggio la sola parte di essa che sancisce e consacra i principî elementari e fondamentali di equitazione, deve considerarsi come mezzo, e dicasi pure utile, ma non scopo della cavalleria.

Occorre non dimenticare che bisogna avere per principio: che i maneggi non devono servire che per le reclute, pei cavalli giovani, e per le reclute dell’anno precedente che hanno bisogno d’essere rimesse ad apprendere i principî fondamentali ed elementari d’equitazione. Premesso ciò lo squadrone deve montare fuori, e se non può uscire dal quartiere, perchè fa troppo freddo, o piove troppo forte, bisogna accontentarsi di passeggiare i cavalli.

Il maneggio conduce all’amore della parata; il lavoro all’aperto, come ho già detto, fa della gente pratica come occorre a noi in campagna.

Il lavoro per tutti i tempi mantiene uomini e cavalli in buona salute, li rende docili ed atti alla guerra.

Ora il pretendere dalla recluta che sappia far partire il cavallo al galoppo dal passo com’è contemplato nel nuovo regolamento, non mi pare che sia all’unisono con lo spirito a cui s’informa il regolamento stesso, poichè la partenza al galoppo dal passo non fa più parte della equitazione elementare, ma è un esercizio già complicato, il quale presuppone in precedenza le andature laterali e quindi la riunione.

Così praticata dalle reclute si risolverebbe in disordine, perchè il soldato ignaro di equitazione di alta scuola non farebbe che disturbare il cavallo con false e scorrette chiamate speronandolo inutilmente — ed il cavallo in tal modo maltrattato e malamente chiamato sfogherebbe il suo cattivo umore collo sprangare calci contro l’assito del maneggio.

L’esperienza dovrebbe servire a qualche cosa. Quindi per le ragioni qui sopra espresse, sarebbe opportuno ed utile che tale prescrizione venisse soppressa nel nuovo regolamento o meglio omessa in quello definitivo.

Le maggiori semplificazioni volute dal Caprilli circa il tagliate ed il cambiamento trasversale, allegando a sostegno della sua proposta, la limitata intelligenza dei nostri soldati, i quali facilmente confondono il tagliate col cambiamento trasversale e così pure le altre, che non accenno per brevità, non posso dividerle, poichè le ragioni da lui addotte non mi convincono. Ed anche perchè se è doveroso per parte di tutti adoperarsi affinchè siano introdotti nei nostri regolamenti le migliorie e tutti quei cambiamenti che la lunga pratica suggerisce, non è opportuno anzi nocivo il lasciarsi vincere dalla smania di tutto modificare, [p. 492 modifica]quando le modiflcazioni che si vogliono introdurre non hanno una ragione ben fondata.

L’abbattere è molto facile, è il ricostruire che è molto più difficile, perciò siano conservati tutti i comandi di maneggio come sono nel nuovo regolamento anche perchè col troppo semplificare si correrebbe il rischio di ricadere nella confusione.

Ciò che più deve importare a noi si è la sostanza di esso, la vita nuova che vi aleggia, lo spirito nuovo e moderno a cui presto o tardi tutte le cavallerie del mondo dovranno addivenire e respirare, se non vorranno venir meno al difficile compito che loro compete nelle future guerre — e la sostanza, come ho già dello al principio di queste mie considerazioni, è ottima e non dobbiamo esitare a riconoscerlo.

Il Caprilli non avrebbe dovuto muovere appunto alla prescrizione contenuta nel regolamento provvisorio che vuole, in briglia, le redini sempre tutte e quattro impugnate dalla mano sinistra. Questa prescrizione voluta dal regolamento, non solo la vorrei conservata per le ragioni già espresse dal signor colonnello Sartirana, ma anche perchè essa allontana la possibilità di ritornare all’applicazione delle andature laterali e quindi della riunione, contro cui ebbi occasione di scrivere dimostrandone l’inutilità.

Quindi plaudo interamente a tale prescrizione del regolamento e mi auguro di vederla comparire come tassativa nel regolamento definitivo.

Ciò che vorrei fosse anche tassativo nel regolamento, mentre ora è lasciato in facoltà dei comandanti di squadrone, è l’uso delle staffe fin dal principio dell’istruzione.

Da ciò il cavaliere trarrebbe grande vantaggio; poichè obbligarlo a cominciare dal più difficile per giungere al più facile parmi cosa poco corretta e logica in un sistema di equitazione. Senza calcolare che l’istruzione a cavallo senza staffe irrigidisce il cavaliere e dà una posizione in sella, secondo il mio debole modo di vedere, sbagliata e contraria alla vera e forte equitazione.

Come ben disse il collega Filippini, la prescrizione di spingere il tallone in basso, avrebbe voluto significare «un ritorno a quel passato e a quel regolamento che si vuol dimenticare». Non mi dilungo quindi a combatterla.

In quanto alla ceduta in aria nel salto degli ostacoli che il Caprilli vorrebbe fosse e più meglio specificata nel regolamento, pur dividendo la sua opinione, debbo anche riconoscere che nel regolalamento c’è quanto basta pel nostro soldato.

Non convengo invece con lui che sia abolito il morso, troppe sono le ragioni che ci consigliano a non fare un passo così radicale che mi credo dispensato di doverle accennare, tanto più che esse sono già a conoscenza dei lettori della Rivista.

Sono anch’io d’avviso invece col Filippini che «un morso snodato ad aste dritte e robuste e con quattro redini, prenda il posto del’attuale morso a cannone intero e relativo filetto». [p. 493 modifica]

Ed ora che ho parlato della istruzione delle reclute, parte II, non voglio nè posso chiudere questo mio scritto senza prima toccare anche la parte IV del regolamento provvisorio e dire brevemente e serenamente, quale sia la mia opinione.

Senz’altro mi unisco col Caprilli nello invocare la sopressione del paragrafo a) «Perfezionamento nell’equitazione di scuola».

Si sono formati in tal modo due regolamenti, il primo «Istruzione delle reclute», il secondo «Perfezionamento nell’equitazione di scuola» l’uno in contraddizione coll’altro.

Se ciò mostra le diverse tendenze e concessioni reciproche che devono necessariamente essere avvenute in seno alla commissione tra gli egregi compilatori del nuovo regolamento, non è men vero che dopo tanto faticare nello edificare (V. Premessa ― Istruzione delle reclute), si sia poi ricaduti nella vecchia tendenza, abbattendo ciò che con tanto sforzo e coraggio s’era costruito.

Si è tentata una nuova maniera, già entrata nel sangue dell’arma, ma le abitudini e la tradizione che hanno non poco peso nella vita degli uomini, non hanno permesso al nuovo verbo che una semi-incarnazione.

Chi ben legga però la premessa, dovrebbe ritenere tale perfezionamento, (si sarebbe detto meglio ornamento, poichè il perfezionamento lo dobbiamo intendere sul terreno di manovra, nella equitazione di campagna e non in maneggio), esteso ai soli ufficiali, graduati e cavalieri scelti.

Pur tuttavia così come è formulato lascerà sempre campo a chi volesse di rituffarsi nell’antico più classico, ciò che non si vorrebbe.

Perciò è assolutamente necessario, pur conservando il paragrafo a), in omaggio agli antichi maestri di alta scuola, che fu gloria italiana, che il regolamento sia più esplicito, e stabilisca tassativamente che il perfezionamento nell’equitazione di scuola deve intendersi impartito ai soli ufficiali, graduati e cavalieri scelti.

Così modificato il paragrafo a), accontenterebbe conservatori e progressisti, la parte riguardante le reclute ne uscirebbe omogenea e più salda e la nostra arma avrebbe una norma sicura colla quale proseguire nel duro ma pur bello cammino della nostra carriera.

Farò anch’io un voto visto che l’esempio è contagioso.

Mi auguro che fra non molto scompaia dalla nostra arma ogni ragione di rivalità in tutto ciò che ha attinenza alla equitazione militare e che gli ufficiali tutti stretti da un solo sentimento, da un solo scopo, rispettosi i più giovani di ciò che fu gloria italiana nella storia della equitazione e meno intransigenti i più vecchi, si diano sinceramente e lealmente la mano onde concorrere tutti indistintamente a formare dei combattenti a cavallo veramente forti ed agguerriti in difesa del Re e della Patria.

Lodi, 25 marzo 1902.

Ettore Varini

Capitano nei cavalleggeri di Lodi.



Note